Vi racconto come (non) funziona la denuncia digitale

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16 Ottobre 2015

“I funghi, anche detti miceti, sono organismi, unicellulari o complessi, che ingenuamente furono classificati da Linneo come piante, per essere elevati al rango di regno da Nees nel 1817. Si riproducono velocemente e alcuni tra essi,  i parassiti, si nutrono di organismi viventi, portandoli a volte gradatamente a morte”

Per i pochi di voi che saranno sopravvissuti alla prima frase, vorrei raccontare una storia. Che comincia con questa immagine:

 

funghi

Combattuto al pensiero che una cordata di puffi stesse tentando la scalata ostile a qualche gruppo industriale italiano, stamane mi sono fermato a fotografare, fuori dall’ufficio, questa colonia di invasori, ignorando l’epifania che la metafora avrebbe scatenato nel corso del pomeriggio quando, improvviso come un fulmine che squarcia il cielo, ho realizzato di avere smarrito il badge aziendale.

Il fatto porta con sè, oltre all’invocazione di un nugolo di santi del calendario di Frate Indovino, lo spiacevole corollario di dover effettuare una denuncia di smarrimento presso la Polizia.

Sapete quella cosa inutile per cui tu entri in un commissariato, dal sapore vagamente kafkiano e, precipitato nei meandri di una coda in cui il funzionario Minosse assegna al rispettivo girone migranti, vittime di borseggi, persone in evidente stato confusionale che dichiarano di voler invadere il Cipango e malcapitati smarritori della qualunque; dicevamo, smarrito in questo abisso che guarda in te prima che tu guardi negli occhi il maresciallo, tu pretendi di denunciare lo smarrimento di un documento.

L’appuntato di turno ti guarda con sospetto: se hai perso la carta di identità, annuisce ticchettando con la penna e ti rassicura: “Ora ci penso io. Favorisca la carta di identità”.

E mentre la pioggia cade fitta e attendi che la prima neve ti ricopra, il tempo scorre inesorabile. Nessuno avvierà mai un’indagine per quello smarrimento e il poliziotto alla fine ti chiede: “distrazione con una z?”.

Quello è il momento cristallino in cui percepisci di contribuire in modo significativo al valore sottratto della nazione. L’inno di Mameli ti risuona in testa e, se lo registri e schiacci play ascoltandolo al contrario, una voce satanica sussurra: “Ma davvero pensi che qualcuno ci farà qualcosa con ‘sto foglio di carta?“.

Appunto, inutile affliggersi: la denuncia di smarrimento è ‘uno fratto PIL’, l’inverso della produzione di ricchezza.

Oggi, così, mentre allenavo la mente all’ipotesi di questa incombenza nefasta, una voce amica ha accennato a una possibilità neppure contemplata fino a pochi momenti prima: “Ma lo sai che è possibile fare le denunce online?”

Non credo alle mie orecchie.

Googlando ‘denunce via web‘, un sito bruttarello ma semplice mi seduce invitandomi a una semplice registrazione, grazie alla quale, per mezzo di un banalissimo user-id e di una password, accederò all’empireo della denuncia digitale, evitando d’un colpo la coda in questura e giustificando le stime al rialzo del Fondo Monetario Internazionale.

Il sito mi chiede subito, come nel lancio di una moneta, se desidero inviare la mia denuncia alla Polizia dello Stato o ai Carabinieri. Una coloratissima mappa dell’Italia mi invita, successivamente, a identificare la mia questura preferita e, infine, accedo alla pagina dove potrò effettuare la denuncia.

E qui il ghigno di Mameli echeggia mefistofelico. Il cavallo di trojan è dentro le mura e gli Achei della pratica inutile mettono a ferro e fuoco la mia pazienza.

La pagina web, infatti, quasi fosse la trasposizione digitale dell’appuntato analogico di cui poc’anzi, non mi consente di inserire il mio documento di identità.

Se seleziono ‘Carta di identità’, lo spazio bianco per inserire il numero non si attiva.

Se inserisco il numero, non posso selezionare ‘Carta di identità’.

Do la colpa a Mountain View e chiudo Chrome.

Ma la stessa sorte mi attende con Microsoft, Mozilla, Safari.

Prima che contempli la possibilità di riportare in vita Netscape con una respirazione bit a bit, improvvisamente il sistema accetta la mia carta di identità.

Un mistero eleusino che non è lecito interrogare oltre: LEVEL 2.

Sono trascorsi 15 minuti e posso presentare la denuncia: la cosa curiosa del sito è che non è possibile inserire un testo a mano. La Polizia dello Stato, solerte con il cittadino, identifica infatti delle categorie (Armi, Documento, Carta di Pagamento, Titolo) e, all’interno delle stesse, precisi oggetti che è possibile smarrire.

Solo quelli, nient’altro: la vertigine della lista.

Nella categoria ‘Documento’, alla voce badge non c’è quello aziendale: ci sono solo i badges di ministeri ed enti pubblici (nonché quello della FAO, se ti prendono per fame).

Credo si tratti di un incentivo di stampo vagamente governativo: è la volta buona, l’eventualità di smarrire il badge aziendale è probabile come un successo politico di Pierluigi Bersani.

Sotto la voce tessera, tra le diverse possibilità, ecco invece, nuovamente, l’epifania: Tessera raccoglitore funghi.

Mentre mi interrogo sulla nemesi di un porcino, l’unica possibilità attraverso cui la macchina si riconcilia con l’uomo e le sue blasfemie è ‘badge di Poste SPA‘.

Seleziono l’opzione e, nelle note, scrivo pazientemente: “Non ho smarrito il badge di Poste SPA“.

Sono passati 40 minuti e sono finalmente vicino alla conclusione: digito invio sulla tastiera e….

Ora, Luciano, puoi presentarti in questura per completare la tua denuncia. Gli orari sono: bla bla bla“.

Una gita analogica in commissariato comporta: coda al girone di Minosse (spesso più di un’ora), stesura della denuncia (minuti 4), refusi dell’appuntato (minuti 3) per un totale di 67 minuti.

Questa straordinaria procedura digitale mi consente, invece, di risparmiare i 4 minuti, dopo averne persi altri 45. Totale: 108 minuti di insostenibile spossatezza della burocrazia.

Possibile che, anche quando l’Italia digitalizza, il servizio non mette al centro il cittadino, ma solo l’interesse di chi sta in ufficio e sbriga la pratica?

Mentre il gufo che è dentro di me sbatte le ali tenebroso, la user experience soffoca, l’engagement è ai livelli di un pensionato lappone che osserva un salmone risalire la corrente; e il premier fa lo story telling parlando di ‘Italia con segno più e mondo che non si sente tanto bene’ (del resto, Dio e Marx sono morti da quel tanto, mentre tentavano di fare denuncia).

Qualcuno, su Facebook, mi mette pure in guardia: “Guarda che questa è solo la parte migliore. Se ti presenti in questura con la richiesta online, nessuno troverà il tuo file, ti guarderanno con occhio torvo e il rumore tachicardico di un Modem a 56k scandirà la trilogia mozartiana ‘Riflessione, scazzameno e vaff…”.

Ok, basta così. Rimaniamo sobri.

I funghi intanto crescono, silenziosi e asessuati, allargandosi come una metastasi inerziale e tetragoni a ogni rottamazione: la muffa prospera nell’illusione del cambiamento, mentre la pioggia cade fitta e domattina, col mio cestino, vado nel bosco a raccogliere badges.

 

 

 

TAG: Agenda Digitale, burocrazia, digitale, PA, pubblica amministrazione
CAT: P.A., Qualità della vita

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