Le armi e l’industria nelle urne, l’ennesimo tormento sul fascismo alle spalle

2 Giugno 2024

Inizia la settimana che porterà alle elezioni europee dei prossimi 8 e 9 giugno. Sarebbe bello credere che il voto si porterà via questo sfiancante clima da campagna elettorale. Ma è più razionale e onesto ricordare che la campagna elettorale permanente è il marchio della politica di questi anni lugubramente pigri: un po’ perchè è quasi tutto quel che sa fare quasi tutta la classe politica, e un po’ perchè il calendario frammentato degli appuntamenti elettorali riproporrà presto occasioni per misurarsi col consenso dei cittadini. Per concentrarsi su di esso, enfatizzando la portata di elezioni locali, invece che sui problemi dei cittadini stessi, insieme vittime e corresponsabili di questa stortura.

Sia come sia, le elezioni europee che abbiamo davanti avrebbero molte ragioni per essere considerate le più importanti della storia del voto europeo. Confrontandole col voto del 2019 e del 2014, le differenze di contesto saltano all’occhio, a tutto vantaggio della rilevanza del voto prossimo venturo. Diversi eventi epocali di diretta pertinenza delle istituzioni continentali sono accaduti dal 2019, e vale la pena di ricordarli, in estrema sintesi. Nel 2020 è scoppiata la pandemia da Covid 19, l’economia mondiale ha subito effetti negativi choccanti, in seguito ai quali le banche centrali di tutto il mondo e le istituzioni europee in particolari hanno approntati piani di politica economica espansivi per migliaia di miliardi. Tra questi, il PNRR. Queste politiche, prevedibilmente, avrebbero generato in ogni caso effetti inflazionistici, che sono stati però violentamente accellerati e accentuati, sulle materie prime necessarie all’industria e ai trasporti e a valle su tutto il restto, dalla guerra d’invasione promossa dalla Russia contro l’Ucraina. Così, il mondo e l’Unione Europea si sono trovate a fronteggiare, contemporaneamente, l’onda lunga della pandemia, i suoi effetti sanitari ed economici, un’ondata di inflazione molto violenta e una guerra alle porte, combattuta su un territorio geografico, simbolico e valoriale contiguo al proprio, e “scoprendo” la debolezza dei propri strumenti bellici e la fragilità della propria iniziativa diplomatica.
Nel frattempo, proprio nello stesso periodo, sono venute a maturità anche altre questioni epocali, come quelle della transizioni energetica. È infatti stato la Commissione Europea uscente ad approvare la messa al bando di tutti i motori a combustione a partire dal 2035. Un divieto che ha trovato l’industria di diversi paesi fortemente impreparata – è il caso di quel che resta dell’automotive italiano -, ed è solo un esempio di quanto la transizione energetica e ambientale può costituire un punto di crisi economico, politico e sociale.

È dunque evidente che, rispetto a cinque e a dieci anni fa, queste elezioni europee che arrivano impongono – imporrebbero – al dibattito questioni centrali, davvero europee, tecnicamente riguardanti questioni importanti per le quali le istituzioni continentali sono primariamente responsabili. Votiamo infatti un Parlamento europeo, dagli equilibri del quale scaturirà una Commissione europea, che saranno direttamente investiti di scelte importanti. Più facile porre le domande che dare le risposte. Più facile, ma non meno necessario. L’Unione Europea, nata in nome della pace dopo la più grande catastrofe bellica di tutti i tempi, la Seconda Guerra Mondiale, come deve preservare il valore supremo della pace? Ora che si parla (comprensibilmente) di riarmo in chiave difensiva, ora che dall’altra parte dell’Oceano un presidente pregiudicato potrebbe puntare i piedi per chiedere a tutti di rispettare i patti e di investire di più nella NATO, quale idea di rapporto con gli armamenti si dà l’Unione Europea? E all’Ucraina è giusto, saggio, prudente, lungimirante, dare armi e benestare per difendersi colpendo obiettivi in territorio russo? Giorgia Meloni, senza troppo enfatizzare il punto, ha detto che l’Italia continuerà a sostenere la causa ucraina, ma senza supportarla negli attacchi in territorio russo, ritenendolo ”non necessario“ e preferendo sostenere la fornitura di difese aeree. È una linea chiara, e non solitaria, in Occcidente, della quale sarebbe bello parlare con chiarezza, in campagna elettorale, come della questione industriale-ambientale, o della complicata situazione dei conti pubblici italiani alla prova di nuove regole europee. Cercando di spiegare alla distrazione degli elettori qual è la vera posta in gioco. Non succede, non solo per colpa di chi fa politica.

Così, anche nella penultima settimana di campagna elettorale, attorno alla presidente del Consiglio la parola principale è stata “fascismo”, e viene il sospetto che continuare a far parlare degli orrori dei progenitori politici sia comunque meglio, per chi governa, che parlare dei casini di oggi. Come sempre, peraltro, ci ricordiamo di più gli ultimi episodi, e così al centro della memoria a breve termine di tutti noi c’è la celebrazione per il centenario della morte di Giacomo Matteotti, leader socialista ucciso – ha detto la presidente del Consiglio – da “squadrismo fascista”. Da sinistra si è polemizzato, sottolineando che ancora non basta, che era giusto e doveroso richiamare esplicitamente le responsabilità di Mussolini, avendole rivendicate lui stesso. Personalmente, avrei sottolineato invece “il passo avanti”, se non fosse che esso avviene, probabilmente non per caso, pochi giorni dopo le polemiche seguite a un altro anniversario, il 50esimo per la strage neofascista di Piazza Della Loggia a Brescia. Per quell’occasione, mentre il Presidente Mattarella indicava le colpe del “terrosismo nero”, la presidente del Consiglio ha condannato, genericamente, tutti i terrorismi.
Si vede che, per condannare il fascismo, devono essere passati almeno cent’anni.

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CAT: Partiti e politici

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