Salerno, il compromesso storico anni quaranta

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8 Marzo 2024

Le ricorrenze: Marzo- Aprile 1944, la svolta di Salerno ( in copertina il Secondo Governo Badoglio); il 21 agosto 1964, moriva il Migliore e di quella perdita, bene o male, risentiamo tuttora. Il 25 aprile 1974, la Rivoluzione dei garofani inaugurò un nuovo percorso socialista non solo in Portogallo. 

Ottanta anni addietro si posero le basi dell’Italia moderna post e antifascista. Abbiamo già ricordato il Codice di Camaldoli che, varato nel luglio 1943, diede origine alla dottrina sociale dei cattolici determinati a scendere in politica per riportare nello Stato, in specie nei suoi rapporti con i cittadini, la concezione democratica e di universalità dei diritti. L’anno successivo, drammatico e cruciale, si apre, politicamente, nel segno della cosiddetta “svolta di Salerno” che si concentra nel ritorno politico del compagno Ercoli, al secolo Palmiro Togliatti, rientrato ai primi di marzo dall’URSS dopo circa venti anni di esilio dall’Italia. Dopo altri 20 anni, nel ’64, sessanta anni fa,  Togliatti morirà a Yalta, dove scrisse il suo ultimo storico memoriale, quasi una summa della sua azione politica. Personaggio controverso, divisivo, amato ciecamente dai compagni della sinistra e inviso alla parte politica avversa che tuttavia mai smentì il giudizio di un politico “Migliore”, di alta capacità cognitiva politica e dal carisma inossidabile. Superò impunemente molte prove, dall’attentato del giovane catanese Pallante nel 1948, alla morte di Stalin ed al successivo XX Congresso del PCUS che, radiato il maresciallo vincitore della Guerra Mondiale, scardinò i principi su cui il comunismo riuscì a proliferare in Europa e nel mondo. Sopravvisse anche all’Ungheria, con i distinguo che lo resero celebre ma che traevano ispirazione dal pensiero gramsciano.

Lo spaccato del 1944 in Italia era drammatico: al Nord la guerra imperversava e il CLNAI, unica forza di contrasto militare ai nazi-fascisti e che lottava in piena Repubblica di Salò, lamentava l’incomprensione degli Alleati e la mancanza di rifornimenti militari per un non occulto lavoro ai fianchi da parte degli inglesi. In realtà, Churchill da sempre temeva che la presenza degli scomodi alleati comunisti avrebbe successivamente, a guerra finita, scomposto i vecchi assetti europei. A Sud, il paese, pur liberato, era tuttavia sotto la tutela della Commissione alleata di controllo, dove l’Unione Sovietica occupava un ruolo soltanto consultivo. Il primo governo Badoglio rappresentava l’unità nazionale con la partecipazione di rappresentanti di tutte le forze politiche presenti nel Comitato di Liberazione Nazionale ma era un Governo sotto tutela anche se i  partiti che lo componevano (PCI, PSIUP, DC, PLI, PDA, Democrazia del Lavoro) cominciavano a discutere di assetti futuri. In primis la questione Istituzionale, con socialisti e azionisti schierati con il motto “Repubblica subito”. È qui che entra in gioco Ercoli, che appena arrivato gela tutti, perché il suo rientro aveva lo scopo, su preciso impulso dell’Unione Sovietica, di trovare un compromesso unitario tra partiti antifascisti, monarchia e Badoglio, accantonando quindi temporaneamente la questione istituzionale. Alla fine, con la mediazione di Enrico De Nicola, si decise di soprassedere sull’abdicazione del Re, accettando la formula del passaggio di poteri al figlio Umberto quale Luogotenente del Regno e rinviando, a dopo la guerra, la consultazione elettorale per un’Assemblea Costituente. E qui appare il compagno mediatore Ercoli che appone il sigillo su una decisione non sua, ma di Stalin, ma che poi difenderà come fosse stata propria.

Il palcoscenico storico propone la foto di Ercoli che torna in Italia per prendere le redini del partito comunista o meglio dei comunisti italiani. Ma nel backstage ci sono altri comprimari. Dopo l’armistizio del ‘43, era stato inviato in Italia, il sovietico diplomatico Vyšinskij, noto inquisitore dei processi di Mosca, e si era fiondato al Sud dove il Governo era ancora balbettante con Ministeri sparsi tra Napoli, Brindisi e Salerno. Il Ministro degli Esteri, Raffaele Guariglia era bloccato nella Roma occupata dai tedeschi, e a Salerno ne faceva le veci l’Ambasciatore Renato Prunas. Ben presto, a gennaio, questi diventa l’interlocutore di Vyšinskij, arrivando ad una risoluzione in base alla quale da parte del governo italiano non vi era «alcuna obbiezione o difficoltà a instaurare rapporti diplomatici”. Di questi colloqui viene informato Togliatti nella notte tra il 3 e 4 marzo e dal giorno 14 si attivano ufficialmente quindi le relazioni diplomatiche tra l’Italia e l’Unione Sovietica. Togliatti- Ercoli può dunque partire e, dopo un avventuroso viaggio tra Egitto e Algeria, sbarca al porto di Salerno il 27 marzo.

Nella foto in occasione del 1° Congr. dell’ANPI, il Politburo italiano del PCI. Sono riconoscibili Palmiro Togliatti, alla sua destra Luigi Longo, suo futuro successore, alla sua sinistra Pietro Secchia, capo della Organizzazione, poi caduto in disgrazia nel 1955.

La missione da compiere è chiara: dare volto e forza alla presenza comunista nel Governo Monarchico di Badoglio per la futura politica comunista in Italia. Dopo il primo colloquio con Vyšinskij, in merito alla collaborazione con l’URSS, Prunas rilevò:«…una eventuale iniziativa in questo senso dovrebbe essere accompagnata da un mutamento nell’atteggiamento del partito comunista italiano, oggi violentemente antigovernativo. Posizione del resto sterile e che conduce ad un vicolo cieco da cui converrebbe che la nostra situazione interna fosse girata. Aggiungo che tale eventuale modificazione nell’atteggiamento del partito comunista non potrebbe a sua volta non esercitare una decisa influenza anche sull’atteggiamento degli altri cinque partiti. Ciò che potrebbe probabilmente condurre alla costituzione di quel largo Governo democratico, che è il comune scopo di raggiungere.»[1]

Nasce così il 22 aprile, il secondo Governo Badoglio, il Governo “diffuso” con a Salerno la Presidenza del Consiglio, il Ministero dell’Interno, Educazione Nazionale, Lavori Pubblici, Agricoltura, Grazia e Giustizia. Il Ministero dell’Industria era a Vietri, quelli della Marina e della Guerra erano rimasti a Brindisi. Durò poco succeduto poi nel giugno ’44, dopo la liberazione di Roma, dal Governo di Ivanoe Bonomi.

La scelta compromissoria di Togliatti fu comunque accettata dai dirigenti comunisti perché sapevano bene chi fosse stata la fonte primaria che aveva architettato il piano di ingresso dei comunisti del Governo, soffocando le pulsioni rivoluzionarie dei comunisti italiani. Un piano, più che tattico, straordinariamente strategico ma che lasciò strascichi. Si formarono due surrettizie correnti. Una guidata da Giorgio Amendola che si guadagnò così il ruolo di Compagno di destra smarcandosi dai più rigorosi esegeti della tradizione comunista internazionale come Luigi Longo, Mauro Scoccimarro e Pietro Secchia.

Come scrive Alberto Lombardo[2], Amendola incarnava una posizione rigida e ben precisa “in cui ai partiti comunisti viene affidato il compito di guidare politicamente la lotta contro l’imperialismo e per la difesa della pace, in nome della sovranità nazionale. In questa azione e solo in questo modo, aperto e senza dissimulazioni, si può compiere il ruolo dei comunisti di agire come “partito nazionale”, ossia che incarna gli interessi della nazione, contro le forze che invece ne svendono gli interessi. I massimi dirigenti, accanto a Togliatti, spiegano la politica attuale del partito con l’obiettiva situazione di fatto e le nuove condizioni in essa maturate.»[3]. Una politica dal sapore molto pragmatico che poi si configurerà nell’Amnistia erga omnes, anche per gravi crimini, mentre non si procederà alla “bonifica politica” dei reduci fascisti dall’esercito, dall’amministrazione e dalla magistratura. Anni dopo, nella Costituente, 1947, Togliatti farà votare l’art 7 sui rapporti Stato-Chiesa, operazione che non gli valse la gratitudine di De Gasperi il quale poi, dopo il suo viaggio negli USA, estromise i partiti socialista e comunista dal governo. Solo nel 1962, la figlia di Kruscev e il marito Ajubei direttore dell’Izvestia si recheranno in visita da Papa Giovanni XXIII.

Passeranno 17 anni e nel 1964, poche ore prima della sua morte, Togliatti scrive nel memoriale di Yalta:

Nel complesso, noi partiamo, e siamo sempre convinti che si debba partire, nella elaborazione della nostra politica, dalle posizioni del XX Congresso. Anche queste posizioni hanno però bisogno, oggi, di essere approfondite e sviluppate. Per esempio, una più profonda riflessione sul tema della possibilità di una via pacifica di accesso al socialismo, ci porta a precisare che cosa noi intendiamo per democrazia in uno Stato borghese, come si possono allargare i confini della libertà e delle istituzioni democratiche e quali siano le forme più efficaci di partecipazione delle masse operaie e lavoratrici alla vita economica e politica. Sorge così la questione della possibilità di conquista di posizioni di potere, da parte delle classi lavoratrici, nell’ambito di uno Stato che non ha cambiato la sua natura di Stato borghese e quindi se sia possibile la lotta per una progressiva trasformazione, dall’interno, di questa natura. In paesi dove il movimento comunista sia diventato forte come da noi (e in Francia), questa è la questione di fondo che oggi sorge nella lotta politica. Ciò comporta, naturalmente, una radicalizzazione di questa lotta e da questa dipendono le ulteriori prospettive” (Palmiro Togliatti, Il Memoriale di Yalta, Promemoria sulle questioni del movimento operaio internazionale e della sua unità”, Yalta, agosto 1964).[4]

La storiografia ufficiale ci consegna un ritratto in cui la doppiezza del PCI diventa dominante, ma nulla ci dice sulla cognizione obiettiva di un partito costretto suo malgrado a lasciare la rivoluzione bolscevica sia perché inadatta alla tradizione politica italiana sia perché obiettivamente non percorribile. Abbandonare la strada dello scontro radicale in favore di una più lenta ma efficace penetrazione nel tessuto sociale e amministrativo del paese fu una scelta tipicamente togliattiana, presbite e unica nel suo genere che consacra il Migliore come tale. In fondo la sua doppiezza altro non è che il frutto di scelte politiche adeguate ai tempi: dalla cieca fedeltà assoluta all’Unione Sovietica all’adeguamento progressivo al sistema democratico attraverso tutti gli strumenti possibili come quelli della Cultura che per Togliatti fu un importante grimaldello d’accesso all’atrio democratico. Fu lungimirante e politicamente presbite, specialmente quando si accorse che il processo era talmente lungo da non poter sopportare attese eccessive, quasi avesse previsto gli eventi del novembre 1989.

[1] Promemoria del segretario generale agli Esteri Prunas per il capo del governo Badoglio su un nuovo colloquio con Vyshinsky Archiviato il 27 agosto 2014 in Internet Archive, 12 gennaio 1944.
[2] Lombardo A. Dalla “svolta di Salerno” alla “via italiana al socialismo”. Lariscossa.info, 21 gennaio 2021
[3] P. Secchia, 1973, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945, Feltrinelli, Milano, 1975, pp. 397-8
[4] Lombardo A., ibidem

TAG: Art 7 Cost., la politica del PCI, Mauro Scoccimarro, Palmiro Togliatti, pietro secchia, Salerno e la sua svolta
CAT: Partiti e politici, Storia

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