Maura Manca, chi è la psicologa che spiega gli adolescenti (agli) italiani
La sua chioma rossa non passa certo inosservata. La si vede spessissimo in tv, chiamata a commentare fatti che hanno per protagonisti gli adolescenti, la si sente altrettanto spesso per radio intervenire sulle problematiche legate al mondo dell’adolescenza. Ma non tralascia di aggiornare i suoi blog su diverse piattaforme online e la si “incontra” ormai anche su diverse giornali cartacei. E’ Maura Manca. Chi ha avuto la fortuna di seguire uno dei convegni che organizza o ai quali partecipa, la prima cosa che pensa che sia una forza della natura, a giudicare dalla grinta e dalla passione che mette in quello che fa. Questa volta, qui, sugli Stati Generali, parliamo invece un po’ di lei.
Psicologa, Psicoterapeuta, libera professionista, docente universitaria, presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, direttore di AdoleScienza Magazine online, blogger… mettiamo in fila tutte queste cose?
Devo dire che le mie giornate sono piuttosto piene e ricche di emozioni, non mi mancano le cose da fare e non è sicuramente facile stare dietro a tutto, il fatto che adoro il mio lavoro però mi aiuta veramente tanto. Direi che in primis sono una Psicologa, ho fatto una scelta tanti anni fa, quando ho deciso di lasciare la mia Sardegna per dedicarmi anima e corpo alla parte clinica. La carriera universitaria, invece, non era programmata, durante il lavoro di tesi, su un argomento a caso, il bullismo in adolescenza, mi sono avvicinata al mondo della ricerca e ci sono cascata mani e piedi. Sono rimasta a collaborare con l’insegnamento di psicopatologia dell’adolescenza e ho iniziato la mia attività di ricerca sulle problematiche adolescenziali. Pian piano ho iniziato a fare anche la didattica e mi ricordo ancora la prima volta quando avevo davanti un’aula di 300 ragazzi che avevano più o meno la mia età e mi tremavano completamente le mani.
E’ passato tanto tempo da allora, ho girato varie Università e ora sono approdata all’Aquila. Vengo da una famiglia di professori: nonna, mamma e zia erano insegnanti e l’attitudine all’insegnamento credo di averla appresa quando ero molto piccola. La cosa che mi dà più soddisfazione è che ancora dopo tanti anni gli allievi mi dicano che apprezzano la passione che metto quando parlo e quando spiego e che spero che non mi passi mai. Nel 2013 mi sono presa qualche anno di pausa dall’università e ho continuato ad insegnare solo ai master e alle scuole di specializzazione. Nel mentre per non annoiarmi, ho deciso di creare AdoleScienza.it, oggi un portale, un magazine online di riferimento per migliaia di utenti che racchiude tutta la mia attività professionale, nato dal lavoro che svolgo quotidianamente con i genitori e con gli adolescenti dentro il mio studio.
Ho creato l’Osservatorio Nazionale Adolescenza che oggi rappresenta un riferimento nazionale per la quantificazione delle principali problematiche adolescenziali perché svolge ricerca su tutto il territorio nazionale su circa 8/10.000 adolescenti l’anno. Alla fine sono arrivati i blog che sono uno spazio in cui posso esprimere liberamente il mio pensiero, le mie opinioni e commentare i fatti di cronaca. Devo dire che il mio cervello è sempre in attività e adesso ho una serie di altre cose in cantiere che stanno andando in porto che ancora non posso svelare.
Quando e perché hai scelto di focalizzare la tua attività sugli adolescenti?
È nato tutto durante la mia tesi di laurea, dovevo somministrare una serie di questionari sul bullismo ai ragazzi dai 14 ai 19 anni. Quando sono entrata in quelle classi mi sono divertita molto, mi hanno fatto rivivere tutte le dinamiche della mia adolescenza, quelle tipiche della classe e della scuola. In parallelo, ho visto tutti i disagi che c’erano e quanto non ci fosse un reale ascolto e contenimento. Ho analizzato i dati uno ad uno, ho cercato di leggere dentro quei questionari tutto ciò che loro si portavano dentro e ho deciso che quello sarebbe stato il mio lavoro. Ancora oggi quando passo davanti a quella scuola mi ricordo la prima volta che ho varcato la porta di una scuola per poi non uscirne più.
Hai un blog sull’Espresso, da qualche settimana anche sul portale dell’ Agi, spesso sei in televisione o in radio e, lo dico per esperienza diretta, non ti tiri mai indietro quando c’è da commentare un fatto di cronaca, scrivere un commento per un giornale. Due domande: primo, come ti organizzi per fare tutto? Seconda: non hai paura di sovraesporti e diventare l’esperta pret a porter sulla falsariga di altri, svilendo però così la tua professionalità?
Se per quello ho anche un blog su Skuola.net in cui parlo direttamente ai ragazzi dandogli consigli pratici. I due blog dell’Espresso e dell’Agi sono uno spazio di riflessione e di espressione di ciò che penso. Scrivere a me scarica, è un mio canale espressivo e mi dà emozioni positive. È sempre una sfida, non sai se l’argomento che decidi di trattare funzione, non sai quello che ti diranno e come ti commenteranno perché devo dire che le persone tante volte non si regolano. Io leggo tutto e dalle critiche costruttive cerco sempre di imparare.
È vero, sono sempre in prima linea e pronta a commentare tutto ciò che succede, lo faccio però solo ed esclusivamente degli argomenti di mia competenza, non sono e non voglio essere una tuttologa. Se mi chiamano anche in tv o nei giornali per parlare di argomenti che non riguardano la mia specializzazione rinuncio perché credo che in questo ambito posso essere di aiuto perché sono molto preparata, in altri, direi cose che letto su un libro. Quando parlo di preparazione per me significa, non solo anni e anni di studio che non si deve interrompere mai, ma soprattutto competenze cliniche, cioè aver visto in pratica quelle specifiche situazioni. In questo modo credo di non rischiare di sovraespormi e se dovessi accorgermene, sono pronta a fare un passo indietro.
Questa vita non ruba tantissimo tempo, la verità è che mi viene facile scrivere, tante volte ci metto veramente poco a buttar giù un articolo perché è davvero il mio pane quotidiano, ho talmente tanto studiato e visto casi su casi che a volte vengono in automatico. Altre è un po’ più difficile e quando è così mi prendo il mio tempo. Non tolgo spazio a me perché questo non è solo il mio lavoro, è anche la mia vita.
Cerco di organizzarmi e di non dare spazio nella mia giornata a fesserie inutili. Se non perdi tempo, rimane tanto tempo.
Sei stata consulente per il programma di Rai Due Mai più bullismo. Intanto hai pubblicato il tuo secondo libro, sull’autolesionismo negli adolescenti. Perché la scelta di questo argomento: dalle notizie sui giornali non sembra un problema molto diffuso…
Ho iniziato l’avventura da Consulente Psicologo di un programma televisivo dove ho lavorato dietro le quinte ed è stato molto formativo. Oggi, con Mai più bullismo, stiamo andando avanti con la seconda stagione, è una squadra che non si è mai fermata e abbiamo continuato a lavorare sempre perché ognuno di noi ha sposato la mission del programma. Ora speriamo solo che gli diano più spazio, in modo tale che possa essere un utile strumento per tutti, adulti e adolescenti.
L’autolesionismo nell’era digitale, invece, è il mio ultimo libro, è un testo un po’ controverso per me, è nato circa dieci anni fa e poi è stato accantonato e tirato fuori dal cassetto più volte, fino a che non ho preso la decisione di concluderlo e metterci un punto. In parallelo al bullismo mi sono sempre occupata anche di tutte quelle forme di aggressività e di attacco rivolte a se stessi.
Quando ho mosso i primi passi qui in Italia non c’era quasi niente, ho lavorato fianco a fianco con dei colleghi americani, ho tradotto e creato strumenti di misura e ho fatto un lavoro di valutazione e diagnosi sistematico. In questi anni ho visto tantissime braccia e gambe tagliate, tantissime ferite, tanto dolore e solitudine.
Si ha paura di parlare dell’autolesionismo e questo mi fa imbestialire perché sono tantissimi gli adolescenti che si fanno del male da soli e che vivono chiusi nella loro sofferenza o si nascondono nei rifugi virtuali. Il libro è il primo testo che in Italia analizza in maniera esaustiva il rapporto tra autolesionismo e social media da cui oggi non si può prescindere e spero davvero serva a sensibilizzare l’opinione pubblica, smettendo di aver paura di parlare anche di questi argomenti perché i ragazzi e i genitori ne hanno veramente bisogno.
Il tuo primo libro è intitolato Generazione Hashtag: che adolescenza sta formando la Rete?
Generazione Hashtag non è il mio primo libro, in effetti è il mio sesto libro. È però il testo del cambiamento, di quando ho smesso di scrivere solo per gli addetti ai lavori e mi sono dedicata ai genitori e a tutti coloro che vogliono capire in maniera scientifica e nello stesso momento chiara gli adolescenti di oggi. È un libro che delinea l’adolescenza tecnologica, quella che tecno-media tutte le relazioni, quella dello smartphone come protesi dell’identità, che parla e comunica in maniera instant e smart e perde ogni forma di sentimento.
La tecnologia ha influenzato questi ragazzi da un punto di vista dell’organizzazione di pensiero, di modalità di apprendimento, di problem solving, di renderli un po’ troppo schiavi e poco autonomi da un punto di vista psichico perché troppo abituati a delegare e poco a pensare e ad assumersi delle responsabilità. Ci tengo a sottolineare, che non è una guerra contro la tecnologia, è solo una battaglia per un uso consapevole.
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