Il Nobel che ci insegna (anche) a prenderci cura della felicità

12 Ottobre 2015

Accogliamo con un bell'”Urrà!” la decisione dell’Accademia di Svezia, che ha dato il premio Nobel per l’economia allo scozzese Angus Deaton.

Un Nobel di quelli assai condivisibili, un po’ come quello dell’anno scorso di Tirole: dato a uno studioso dalla comprovata carriera, che chi scrive ha studiato soprattutto per i rilevanti contributi in tema di economia dello sviluppo e della povertà, ma che ha disseminato la letteratura di articoli scientifici sempre intelligenti, probanti e rilevanti per il loro ambito di applicazione.

Poiché mi interessano assai i temi di benessere soggettivo e felicità, va detto che Deaton ha prodotto articoli e studi assai interessanti anche rispetto a questo delicatissimo, e forse molto fragile, tema.

In particolare, nel 2010, insieme all’altro Nobel per l’economia (2002) Daniel Kahneman, ha firmato uno studio in cui, sostanzialmente, discute gli indicatori di felicità tradizionalmente usati dai ricercatori che dedicano i loro studi al tema happiness: notoriamente, le risposte alle domande sulla felicità sono soggette a numerose distorsioni, legate alla loro intrinseca soggettività e alla difficoltà, per lo studioso, di isolare l’effetto del contesto sulla nostra risposta alla domanda: “Quanto sei felice?“.

Nel 2010, Deaton e Kahneman, utilizzando i dati della Gallup, che monitorava un campione di 1000 cittadini americani con diverse domande sulla loro percezione di felicità, arrivarono a distinguere tra benessere emotivo (emotional well-being) e soddisfazione generale per la vita (life satisfaction). Il primo è un elemento della propria percezione di felicità molto legato al contesto e risponde a domande del tipo: “Quanto sei felice ora?“, mentre la life satisfaction, tipicamente, riguarda domande del tipo: “Considerando ogni aspetto della tua vita, quanto ti senti felice in una scala da 1 a 10?

Sono due aspetti diversi perché, nel primo caso, se io rispondo alla domanda “Quanto sono felice ora?” subito dopo aver picchiato l’alluce nello stipite della porta (o, viceversa, appena dopo aver trovato una banconota di 100 euro in strada), sicuramente le mie risposte saranno influenzate da queste variabili contingenti.

Per quanto attiene alla soddisfazione per la vita, invece, se il questionario è ben congegnato, essa dovrebbe mostrare un andamento più costante e strutturale.
Se mi consentite l’ardita metafora, è come se la felicità contingente fosse il meteo della nostra felicità (per sua natura volatile e legato al contesto) mentre la life satisfaction pertiene più al clima (le condizioni strutturali) del benessere di una persona.

Naturale, quindi, che più soldi significano più life satisfaction.

Mentre non è detto che più soldi si traducano in più emotional well-being.

Il contributo di Deaton e Kahneman è importante perché, per esempio, risolve in un colpo solo il cosiddetto ‘paradosso di Easterlin‘, quello per cui reddito e felicità non sono legati da una relazione lineare.

Come detto, tuttavia, data la stessa natura soggettiva degli indicatori di cui si parla, Deaton insiste molto su come viene costruito il questionario sottoposto alle domande del campione di turno.

In un altro articolo molto interessante del 2013, per esempio, scritto insieme a Stone, il neo premio Nobel mostra proprio questo.

Utilizzando sempre i dati della Gallup, che raccoglie informazioni sul benessere soggettivo su un campione casuale di 1000 persone negli USA, con domande giornaliere, il ricercatore ha condotto un esperimento interessante: per parlare potabile, ad un sotto-campione di persone le domande sul benessere soggettivo (anche quelle relative alla soddisfazione generale) sono state fatte prima (o dopo) quelle relative alla loro valutazione della situazione politica (in prossimità di elezioni per il Parlamento in America).

Il risultato interessante è che i fattori di contesto (le valutazioni del quadro politico, in questo caso) hanno un impatto sulla percezione di felicità delle persone.

Per esempio, se a un cittadino statunitense di origini africane viene chiesto il proprio giudizio su Obama e, poi (il dopo è cruciale), di dichiarare il proprio livello di felicità, si mostra che quella persona risponderà alla domanda in modo sensibilmente diverso da un suo omologo che, però, risponde prima alla domanda sulla felicità e poi a quella su Obama.

Insomma, l’ordine delle domande può impattare sui livelli di life satisfaction che, in ultima analisi, potrebbero essere usati a fondamento di decisioni pubbliche del governo rispetto all’adozione o meno di certe politiche.

Se qualcosa ci dice questo Nobel, è che bisogna sempre essere rigorosi, quando si fa ricerca accademica di qualità. Lavorare sodo e lavorare duro, spesso con decenni di studi e lavori che sono ispirati, di fatto, a una grande motivazione per il proprio lavoro e un amore vero per una disciplina, quale l’economia come regina delle scienze sociali, che necessita di attenzione e prudenza più di ogni altra nelle conclusioni dei suoi professionisti più rilevanti nell’arena del dibattito pubblico.

 

 

TAG: #NobelPrize, economia, felicità, happiness, Nobel
CAT: Qualità della vita, Scienze sociali

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