La vaccinazione contro il covid-19, un dovere civile di ognuno di noi

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23 Marzo 2021

Mercoledì 17 marzo ho ricevuto la mail del referente covid del Politecnico di Milano in merito all’adesione alla campagna di vaccinazione. Ovviamente con Astrazeneca. Ero al corrente che qualche mio collega era già stato chiamato, ma chissà perché pensavo che il mio turno non sarebbe stato imminente. Il giorno dopo ho ricevuto la mail con cui mi comunicavano che, qualora EMA, AIFA e Regione Lombardia avessero sbloccato la campagna di vaccinazione in breve tempo, la somministrazione della prima dose del vaccino era prevista per il fine settimana. Venerdì mi è stato comunicato che mi dovevo presentare domenica alle 14:45 in un ospedale di Milano e che bastava arrivare 15 minuti prima per espletare le procedure di accettazione.

Non ho mai avuto dubbi in merito alla necessità che ognuno di noi si vaccini contro questa insidiosa, ma in tanti casi terribile, malattia, ma non nascondo che una leggera apprensione si stava subdolamente insinuando tra i miei pensieri. OK, ci siamo, è arrivato il mio turno… Quelli erano proprio i giorni in cui uno dei temi principali della discussione nazionale era la sicurezza del vaccino Astrazeneca e l’opportunità di bloccare la campagna di vaccinazione per permettere agli organi competenti di approfondire l’eventuale connessione tra la somministrazione del vaccino e alcuni tragici eventi di trombosi che hanno portato al decesso delle persone vaccinate.

Domenica mi sono presentata in ospedale un quarto d’ora prima e dopo meno di un’ora ero già sulla strada del ritorno. Organizzazione perfetta. Questo è stato uno dei due lati della medaglia della sanità lombarda, quello che funziona, ma l’altro lato urla vendetta: mia madre ultra ottantenne è da più di un mese che si è registrata e non sa ancora niente. Come lei praticamente tutti i suoi amici e conoscenti della stessa età. Ogni giorno, quando ci sentiamo al telefono, mi dice: “sai, Sonia, non mi hanno ancora chiamato. Spero tanto che venga vaccinata entro Pasqua, come è stato pubblicamente promesso, perché questa situazione è una vergogna”. Come darle torto? Io non potevo posticipare la mia vaccinazione per lasciare il posto a una persona più fragile di me; quello era il mio turno con due sole possibilità: dentro o fuori. Potendo mandare mia madre al posto mio, lo avrei fatto di buon grado.

La fase post-vaccinazione è andata molto bene: solo un leggero indolenzimento muscolare e un po’ di spossatezza, ma non ho avuto febbre. Spero ovviamente che non si presenteranno sintomi avversi nelle prossime settimane, ma ho accettato con serenità e consapevolezza qualunque cosa dovesse succedere, altrimenti non avrei aderito alla campagna di vaccinazione. Parliamoci chiaramente: nessuno può escludere che la somministrazione di un vaccino non sia causa di reazioni avverse, tanto più se si stratta di un prodotto nuovo privo di uno storico consolidato. Ma il punto non è questo. A mio avviso la questione è molto profonda è riguarda il rapporto tra noi e la società, tema purtroppo molto critico soprattutto in Italia: il fatto che, nascendo, ci troviamo automaticamente inseriti in un contesto sociale con cui impariamo a relazionarci, ci impedisce di porci una domanda semplicissima, ma cruciale: io voglio vivere in cima al monte Cervino o in mezzo alla foresta Amazzonica, o insieme alle altre persone? Noi abbiamo sicuramente la libertà di decidere cosa fare della nostra vita e quindi di rispondere a questa domanda, ma dobbiamo essere pienamente consapevoli che ci sono delle conseguenze inevitabili in entrambe le scelte. Già, noi abbiamo solo la libertà di rispondere a quella domanda, non di creare il mondo a nostra immagine e somiglianza. Il mondo in cui viviamo infatti è dato, è il risultato di un’evoluzione millenaria sia dal punto di vista naturale, sia sociale. Sostanzialmente il tema è esattamente lo stesso di quello che mi si è presentato quando ho ricevuto la mail per aderire alla campagna vaccinale: dentro o fuori.

Già… dentro o fuori, ma da cosa? Ovvio, dalla società. Se scegliamo di vivere in mezzo alla jungla o sul Cervino, nessuno ci chiederà se vogliamo farci vaccinare, ma dobbiamo accettare che molto probabilmente prima o poi ci mangerà l’orso, la tigre, che moriremo per il morso di un animale velenoso, o che moriremo per un terribile virus che vive solo in quei luoghi reconditi, o magari per una banale polmonite… Già… nella jungla non esistono gli ospedali e le farmacie dove possiamo acquistare un antibiotico.

Altrimenti possiamo scegliere di vivere in mezzo alle altre persone, godere i benefici di un’organizzazione sociale che è sicuramente migliorabile, ma che con il tempo ha portato alla realizzazione di una rete di infrastrutture di cui ogni giorno usufruiamo senza neanche rendercene conto: quando andiamo a comprare il latte, dobbiamo camminare a fatica disboscando le erbe alte, o utilizziamo una strada asfaltata, magari percorsa in bicicletta, in autobus o in macchina (tutti strumenti prodotti e venduti grazie alla diversificazione delle attività del mondo di cui facciamo parte)? Se ci viene la febbre, telefoniamo o mandiamo una mail al nostro dottore, o prendiamo un appuntamento nel suo ambulatorio, o in casi gravi andiamo direttamente al pronto soccorso. Nella jungla, se abbiamo la febbre ce la teniamo sperando che passi presto.

Inconsapevolmente tutti noi abbiamo scelto di vivere nella società. Consapevolmente tutti noi abbiamo accettato i rischi che comporta la nostra scelta: se prendiamo la macchina possiamo essere coinvolti in un incidente stradale, se prendiamo l’aereo sappiamo che potrebbe cadere, se camminiamo per strada potremmo trovarci in mezzo a una sparatoria. Siamo tutti consapevoli di questi pericoli, ma neanche ci pensiamo. O forse qualcuno di noi, prima di uscire di casa, ripassa mentalmente l’elenco dei casi avversi che potrebbero accadere? Penso proprio di no. Gli eventuali, e fortunatamente rari, casi avversi legati alla vaccinazione contro il covid devono essere equiparati a uno dei tanti rischi che accettiamo ogni giorno per il fatto stesso che viviamo in una comunità. La pandemia ha sbattuto in faccia a tutti noi con violenza la fragilità della nostra vita e della nostra società. Dovrebbe però suscitare anche la consapevolezza che ha colpito l’intera comunità e che solo una comunità unita potrà debellare questo terribile virus e risollevarsi per guardare il nostro futuro con occhi nuovi. Per questo motivo ritengo che la vaccinazione sia un dovere civico. Ma posso dire senza retorica che, a due giorni dalla somministrazione del vaccino, avere avuto la possibilità di recarmi in ospedale per fare la mia parte è stato un onore, parola che non ho mai usato in vita mia, lo posso garantire. E’ stato un piccolo gesto che ha un enorme valore per l’intera collettività di cui faccio parte.

 

TAG: #Coronavirus #Covid19, AstraZeneca
CAT: salute e benessere, società

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