Cosí vicine, cosí lontane, ai tempi del Coronavirus…

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18 Marzo 2020

From Fiammetta to Susan:

Carissiam Susan,

ti ricordi quando ti dicevo che prima o poi ti sarei venuta a trovare a Bruxelles quando il cugino belga di mio marito Udi si sarebbe sposato con la sua fidanzata cinese?

Bene. Doveva succedere a maggio, ma tutto è saltato con l’esplosione del Coronavirus in Cina, perché ovviamente la famiglia di lei non si sarebbe potuta muovere, mentre noi, all’epoca, ancora credavamo di poterlo fare. “Per fortuna non abbiamo comprato i biglietti” ci siamo detti, considerandoci fortunati per aver risparmiato quelle qualche centinaio di Euro che adesso, in prospettiva, ci fanno ridere, confronto al fatto che ora, in quanto freelancer, ci siamo praticamente ritrovati disoccupati dall’oggi al domani.

Ironia della sorte, all’inizio di tutta questa storia, guardavamo i lontani “parenti” cinesi dall’alto in basso, come fossero degli sfigati, isolati nel loro virus e nella loro dittatura, e come se invece “noi”, non importa se italiani, israeliani, americani o quant’altro (ho citato in modo puramente casuale i tre passaporti che girano in casa) potessimo invece esimerci da un virus in grado di distruggere un’intera città in Cina ma che, secondo noi, per qualche ragione inspiegabile, non avrebbe mai raggiunto né Milano, né Tel Aviv, né New York.

Ed eccoci qua, dai diversi angoli del mondo, dopo aver visto i nostri cari in Italia barricati in casa ormai da un mese per cercare di fronteggiare il pericolo, a non avere imparato ancora nulla da tutti loro.

A Tel Aviv, dove hanno chiuso tutte le scuole e gli uffici ormai da una settimana, la gente continua ad andare in spiaggia. Spopolano gli appelli tra gli italiani in Israele che supplicano gli israeliani di stare a casa, ma tutti, come nel resto dell’Europa e degli USA, pensano di essere speciali, che “qui”, ovunque esso sia, il virus non arrivi, o se arriva, non ci “tocchi”…

Così mentre io mi barrico in modo preventivo, con i genitori dei compagni di asilo di mio figlio che fino a ieri mi prendevano in giro, penso a te, e al fatto che chissà quando ci rivedremo…

Sembra ieri che sei partita da Gerusalemme. Nel frattempo sono passati quasi 2 anni.

E a Bruxelles come state vivendo questo incubo dell’invasione del Corona nei nostri corpi ma, soprattutto, nelle nostre vite?

From Susan to Fiammetta:

Come sai ho sempre sperato in questo matrimonio belga per poterti rivedere presto. Ora si tratta solo di aspettare un altro po’ e sono sicura che come si dice: “se sono rose fioriranno”. Il matrimonio s’ha da fare.

Ho pensato spesso di venirti a trovare perché devo dire che ad un certo punto la nostalgia di Gerusalemme e Tel Aviv è diventata tangibile. Per non parlare della voglia di sole.

A proposito di sole. Oggi è arrivata la prima vera giornata di sole dell’anno. E quando dico dell’anno mi riferisco al fatto che era dalla fine di agosto del 2019 che non c’era una giornata soleggiata senza nuvole in agguato.

Risultato? La gente è uscita e andata al parco, in un paese dove le restrizioni di assembramento sono molto recenti, le scuole sono chiuse da due giorni, così come ristoranti, teatri, pub.

Io lavoro da qualche mese come freelance per Euronews e dovrei iniziare a lavorare da casa. Se possibile. Ma credo che non sia molto possibile.

Per due motivi:

1) si chiama Sami, ha quasi tre anni ed ha una passione sfrenata per iPhone e computer.

2) ci sono limitazioni tecniche legate al fatto che il web non sostiene software per la TV.

Diciamo che imporre restrizioni di movimento ai giornalisti durante l’avvenimento di una delle storie più sconvolgenti dell’era moderna è come mettere dei leoni in gabbia.

Ma voi a Tel Aviv siete davvero in spiaggia ?

E Udi che non è italiano riesce a capire la tua scelta ?

From Susan to Fiammetta:

Cominciamo dalla prima domanda. Quanto alla spiaggia fino a ieri c’era il pienone, tanto che persino Bibi ci ha redarguiti, sottolineando che si tratta di una questione di “vita o di morte”, ma pur aumentando le restrizioni giorno per giorno (ormai è quasi tutto chiuso salvo beni di prima necessità) non hanno ancora optato per la quarantena totale come in Italia e, forse per questo, gli israeliani sembrano ancora non volersi arrendere al fatto che si tratta di giorni (ormai qui i contagi continuano ad aumentare a ritmi di cinquanta al giorno)  fino a quando si cominceranno a contare i morti anche qua.

Solo la morte, purtroppo, ci apre gli occhi. Anche io, all’inizio, quando vedevo quello che succedeva in Italia, facevo fatica ad accettare la realtà, i conti non “mi tornavano”. Ci ho messo qualche settimana a capire la disperazione, non solo di che perdeva i propri cari, ma anche solo delle mie amiche, blindate a casa con i bambini senza possibilità di uscire e non sapendo più cosa inventarsi. Infine, la rassegnazione dei  miei genitori, che così giovani non sono,  che l’unica figlia e nipote che hanno vivono a 4000 mila chilometri di distanza e che, allo stato attuale, sono bloccati in una specie di “isola”, Israele, dai cui confini non si può scappare salvo via areo, ma i cui voli per e dall’Italia ormai non esistono più. Non sapere quando ci rivedremo è qualcosa che non mi fa dormire la notte e forse anche per questo Udi, per rispondere alla tua seconda domanda, vedendo la mia disperazione accrescere giorno per giorno, non si sta comportando da “israeliano” ma da nostro connazionale, e si sta autoquarantenizzando assieme a Enrico e me.

Ormai ci stiamo abituando, ci si abitua a tutto, soprattutto in Israele dove le situazioni di emergenza sono all’ordine del giorno.

Anche se so per certo che in qualche modo ne usciremo tutti, tutto quello che sta succedendo nel mondo, con i numeri di morti che non fanno che aumentare mentre quelli delle borse (e dei nostri conti in banca da cittadini medioborghesi) che non fanno che diminuire, non mi da pace. Passo le giornate a leggere articoli e statistiche, sia di economia sia di epidemiologia, ma faccio davvero fatica a vedere la luce infondo al tunnel.

Mi sveglio la mattina con quella strana sensazione di aver solo fatto un brutto sogno. Poi, per prima cosa, controllo il telefono e subito mi ricordo che quello che stiamo vivendo non è un incubo ma una realtà distopica.

Eppure, ogni giorno, anche in questi “giorni sbagliati”, il sole sorge e i fiori continuano a sbocciare. Io faccio Ikebana e posto le foto delle mie composizioni floreali per condividere un po’ di belllezza con i miei amici sparsi per il mondo: le uniche certezze a cui mi aggrappo in momenti come questi.

Tu invece, cara Susan, come fai a non sprofondare nel baratro?

From Susan to Fiammetta 

Carissima,

il Belgio entra in lockdown da oggi e sinceramente non so come sarà la mia vita, posso dire che l’arrivo della primavera e la luce del sole che entra dalle finestre dopo sei mesi di grigiore totale aiuterà a non sprofondare nella depressione.

Io potrò andare a lavoro, ma mi aspettano comunque tantissime ore a casa coi bimbi, in pigiama a guardare infiniti episodi di Paw Patrol e una vecchia puntata di Superman degli anni cinquanta che Sami è riuscito a scovare su Amazon e che ora ci impone svariate volte al giorno.

Ciò detto, non possiamo davvero lamentarci, perché abbiamo la salute, un frigorifero pieno e una connessione internet. Penso ai miei amici che hanno dei membri della famiglia che sono disabili, penso ad altri amici che sono immunodepressi e che hanno da poco vinto la battaglia contro il tumore, una vittoria che va tenuta strettissima e che non si può certo mettere alla mercé di un virus così infido come il Covid19. Loro sì che sono barricati in casa e immagino dovranno rimanerci per molti mesi, anche quando noi torneremo ad una vita normale.

Facciamo volentieri tutti i sacrifici che vanno fatti per il bene della collettività. Certo è che sarebbe tutto più semplice se avessimo in dotazione il materiale protettivo necessario. Mi chiedo perché il mondo sia riuscito a creare uno smart phone o un’automobile per ogni singolo abitante di questa terra, ma non si riescono a produrre sufficienti mascherine per proteggere le persone che devono uscire di casa per andare a lavoro o a fare la spesa. Qui in Belgio non ci sono. E non sappiamo quando e se arriveranno.

Io, per sopravvivenza, mi tiro su la sciarpa e il collo del maglione. Sembro un bandito, ma mi ha detto un medico, è meglio di niente.

Attendiamo tempi migliori, intanto vediamo quali saranno i cambiamenti sociali alla fine di questo periodo. Ti faccio un esempio: prima trovavo un po’ da idioti condividere momenti di vita quotidiana sui social, adesso, invece, inizia ad avere un suo perché.

Ti abbraccio a distanza, mia cara Fiammetta. A presto e “bon courage”, come di dice da queste parti.

 

 

TAG: Corona, coronarvirus
CAT: società

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