L’anello che non tiene

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4 Aprile 2021

Tanti anni fa, quando ero in quinta liceo, la mia professoressa di Italiano decise che sarebbe stato importante per noi futuri maturandi ascoltare dei seminari sulla letteratura italiana del XX secolo. Così, invitò il suo amico Luigi Blasucci a parlare di Montale e Leopardi a noi ragazzi della V B del Liceo Dini di Pisa. La professoressa si chiamava Maria Are; vorrei ringraziarla, dovunque sia adesso.
Blasucci è un grandissimo critico letterario ormai quasi centenario. Poco prima della pandemia, l’ho visto due o tre volte mangiare una pizza nel localino senza pretese vicino a dove lavoro. Avrei anche voluto salutarlo, chiedergli come sta. Affabile com’è sempre stato, mi avrebbe risposto. Non ho avuto il coraggio, e non perché lo vedessi malridotto, anzi. Ma perché tornavano alla mia memoria degli sprazzi di quei seminari.
Di Montale, ci parlò della poetica e usò la poesia I Limoni per spiegarla. E’ una poesia che da allora talvolta rileggo. Il narratore, o forse si dovrebbe dire poeta, si aggira per le terre scoscese della sua Liguria che versano sul mare. Intorno a sé ci sono orti ed alberi di limoni, con il loro odore e silenzio. E’ una bella immagine, ma – tutto d’un tratto- lo scenario naturale apre ad una visione esistenziale. Il narratore si chiede se, in quel contesto, si possa magari trovare “l’anello che non tiene” della Natura, un pertugio dove rintracciare il senso della nostra esistenza.
Succede di chiederselo anche non tra i limoni, o magari più spesso di ripensare a momenti in cui si vive in pienezza. Dino Risi disse che l’istante più felice che ci sia concesso è salire le scale di corsa al primo appuntamento. L’ho provato e coglie l’idea. Ma ne aggiungerei altri, e molti sono legati alla musica. Tra i meno privati ricordo una sera con dei miei amici, tutti alquanto brilli, a commentare criticamente le canzoni italiane trasmesse da Radio Subasio durante il mitico programma “Per un’ora d’amore”. Fateci caso, diversi testi di canzoni italiane hanno lo stesso refrain: non la amo, amo solo e per sempre te, te lo dico in poesia citando fiori e cielo, e quando faccio l’amore con lei penso solo e soltanto a te (ma intanto lo faccio con lei). L’esempio più bello è “Tu mi rubi l’anima” dei Collage, una bella canzone di pop melodico che andava alla fine degli anni settanta (arrivò seconda a Sanremo 1977) e che è una hit fissa quando canticchio sotto la doccia o mentre vado in bici (attività sportiva concessa da regolare decreto). Per coloro che attribuiscono questo approccio solo al mai domo egoismo maschile, rimando all’ascolto di Città vuota di Mina.
Ma, col passare degli anni, l’odore dei limoni è rimasto. E, senza pretese di esistenzialista che sarebbero parecchio ridicole, guardo le piante di limoni in modo diverso da tutte le altre. Ho scoperto, strada facendo, che si può spiegare la realtà intorno a noi in termini soltanto materiali. La cosa non mi disturba, tutt’altro. In un principio di evoluzione generale trovo una specie di conforto, perché non vorrei sentirmi dissimile dai limoni o altre manifestazioni naturali gentili. E poi l’averlo compreso manifesta la grandezza dell’uomo, unica specie a riflettere su sé senza pretendere di essere il centro di tutto. Riconduce quella “infinita soggettività” di cui parla Franco De Masi ad un principio umile. Ma rimane la curiosità per afferrare quell’anello che non tiene, specie in una stagione di dolore e di necessario isolamento.
Nel finale di Crimini e Misfatti, un film assai notevole di Woody Allen, il suicida Prof. Levy (modellato su Primo Levi) ricapitola alcuni brandelli di esistenza. Con una certa ironia, nel film si incrocia la storia di un delitto senza espiazione con quella di un mezzo regista fallito, innamorato deluso e finalmente mollato dalla moglie. Ma le parole del Prof. Levy forse toccano l’anello che non tiene.
“Per tutta la vita siamo messi di fronte a decisioni angosciose, a scelte morali. Alcune di esse importantissime, la maggior parte meno importanti. E noi siamo determinati dalle scelte che abbiamo fatto, siamo in effetti la somma totale delle nostre scelte. Gli avvenimenti si snodano così imprevedibilmente, così ingiustamente. La felicità umana non sembra fosse inclusa nel disegno della creazione, siamo solo noi, con la nostra capacità di amare, che diamo significato all’universo indifferente. Eppure la maggior parte degli esseri umani sembra avere la forza di insistere e perfino di trovare gioia nelle cose semplici: nel loro lavoro, nella loro famiglia e nella speranza che le generazioni future possano capire di più.”
E, in sottofondo alle parole di Levy, l’orchestra suona una bellissima canzone americana, I’ll be seeing you, la canzone del cuore dei soldati angloamericani che erano venuti a salvarci nella seconda guerra mondiale.

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