Su Cucchi un difficile dissenso

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1 Novembre 2014

Con pudore e con umana compassione mi azzardo ad esprimere tre dissensi rispetto alla ondata di sdegno che si è sollevata sulla tragica vicenda di Cucchi, le sue motivazioni, la contemporanea, macabra esposizione della morte come urlo di giustizia.

Rispetto chi disegna il nostro Paese come sentina di ogni complice comportamento tra apparati statali: il racconto di molte e tragiche vicende non solo politiche ne giustificano il perdurante convincimento e la sdegnata condanna,  ma la storia non scritta degli anni settanta narra anche di non poche strumentalizzazioni e di artate mistificazioni. In molti casi, non ultimi i processi sui fatti di Genova, la magistratura ha saputo invece leggere le prove e trarre le conseguenze penali. E’ il caso Cucchi anomalo? Non lo sappiamo, almeno sino a quando non leggeremo le motivazioni e non solo il dispositivo della sentenza: non paia la solita tiritera del garantista del caso, è sostanza per poter fare poi il percorso a rovescio e cioè capire se l’indagine ha fornito alla magistratura tutti, ma veramente tutti gli elementi per decidere e l’impegno che dobbiamo prendere è non lasciare Cucchi come lo lasceranno i giornali; lo faranno scivolare via sino alla sentenza della Cassazione accarezzando l’umore popolare e la scarsa memoria. Impegnamoci a ritornare a parlarne anche non dovesse più riempire di Like  queste pagine.

Seconda considerazione fuori luogo e contro corrente: cosa significa questa esposizione social del cadavere tumefatto?  La esposizione della morte come giustizia, o come infame ingiustizia è un lungo racconto umano; anche lo Stato ne fece uso quando espose il cadavere sanguinante di Aldo  Moro nella R4 nel centro di Roma. Serve a ottenere giustizia? No, e se la giustizia fosse un atto emotivo allora avrebbe ragione la barbarie delle teste mozzate infilate sulle picche e le crocifissioni esemplari volute dagli zelanti estremisti della Sharia. Vogliamo passare di linciaggio in linciaggio, da Cucchi allo Stato? L’esempio pubblico non serve a nulla, porta con sé  un tragico significato vendicativo ed è ai miei occhi l’ultimo oltraggio dei vivi a un morto, in qualunque modo lo si voglia interpretare.

L’equivoco che con la sua crudezza alimenta è: vogliamo giustizia dallo Stato o vendetta contro lo Stato? Perché il solo far nascere il dubbio porta già ad una risposta, la vendetta, che non servirà alla famiglia e danneggerà ognuno di noi. Pensiamoci quando condividiamo quella foto sulle nostre pagine.

Terza considerazione, sempre fuori luogo e controcorrente: dove la giustizia non arriva può invece arrivare la politica: sui fatti specifici lo può fare con una parola e con un provvedimento  il ministero degli interni ma lo può fare il Parlamento perché  il nodo si chiama in un modo solo: carcerazione preventiva,  della sua applicazione nel nostro Paese. Ecco, io non ho foto di cadaveri da mostrare per urlare l’ingiustizia ma so bene che il male parte da lí, da una infame abitudine ad abusare della carcerazione preventiva come metodo di indagine e come forma di “pressione” per ottenere la prova regina della confessione, una condanna detentiva immediata quasi senza processo per la quale non vogliamo usare la parola appropriata: tortura. Non è che questa è la violenza usata contro Cucchi, la prima e quella vera? Non lo Stato ma ancora la politica è la protagonista delle nostre vite e sulla carcerazione preventiva la responsabilità e’ la codardia della politica.

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CAT: Giustizia

Un commento

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  1. Paolo Fusi 10 anni fa

    Sono d’accordo con l’argomentazione centrale di Flavio Pasotti, e certamente non condivido di per se l’esposizione delle immagini dei poveri resti di Stefano Cucchi. Ma in un’epoca di tale indifferenza, quale quella in cui viviamo, quella foto serve a non farci dimenticare. Dopodiché concordo: giustizia, e non vendetta. Ma la famiglia Cucchi dice la cosa più giusta e condivisibile: non hanno sbagliato i magistrati della Corte d’Appello, qui si tratta di un’inchiesta penale svolta (come quasi sempre accade) con superficialità, faciloneria, approssimazione, incapacità professionale – se non vogliamo pensare al peggio. La famiglia Cucchi ha il sacrosanto diritto di esigere la verità.

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