«Non abbiate paura delle periferie: lì accadono le cose più interessanti»

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27 Novembre 2015

“Polveriera sociale” si scriveva ben prima della strage di Parigi a proposito delle periferie dimenticate, figurarsi ora che la narrazione collettiva le vuole inchiodate a un destino di frustrazione e odio. Se è un luogo comune, certo è anche il luogo comune delle paure collettive: povertà, emarginazione, degrado. È forse ragionevole oggi avere uno sguardo diverso?

A 68 anni Paolo Bizzeti sta per partire per una delle periferie del mondo. Va a compiere il lavoro per cui si preparato tutta una vita: «Nelle periferie succedono cose più interessanti che altrove, cose che altrove non sono possibili», dice. Negli ultimi decenni, Bizzeti ha percorso in lungo e largo la Turchia sulle orme di san Paolo. Nelle stesse terre dove iniziò la predicazione dell’apostolo, papa Francesco ha deciso di inviarlo come vescovo: è lui il nuovo vicario apostolico dell’Anatolia, primo gesuita a ricoprire questo incarico dopo una successione ininterrotta di vescovi cappuccini. L’ultimo, Luigi Padovese, è stato ucciso e decapitato nel 2010 dal suo autista, al grido di Allah Akbar. Da allora, la sede è rimasta vuota.

Un Vicariato apostolico è una sorta di diocesi in terra di missione; quello dell’Anatolia copre la metà orientale della Turchia, un territorio più grande dell’Italia. I cattolici latini sono poche migliaia: «Ma se ci fosse una reale libertà religiosa e la Chiesa cattolica avese personalità giuridica, parecchi uscirebbero allo scoperto», aggiunge il vescovo Paolo. È una terra carica di memoria per la cristianità. Anche se per ragioni contingenti la sede episcopale è Alessandretta (Iskenderun), il centro gravitazionale di questo angolo di mondo è Antakya, l’antica Antiochia di Siria, dove per la prima volta i discepoli di Gesù furono chiamati cristiani.

Questa è l’intervista che abbiamo raccolto qualche giorno prima della partenza del “Biz”, così lo chiamano affettuosamente gli amici, per la Turchia. 

Bizzeti
Il vescovo Paolo Bizzeti, nuovo vicario apostolico dell’Anatolia

Si aspettava di essere scelto come vescovo?
L’elezione a vescovo è arrivata inaspettata, tanto più in Anatolia. Mi ha sorpreso. Ma è come se ci fosse un filo rosso che mi lega alla Turchia lungo la mia vita.

Come si è sentito il giorno dell’ordinazione?
Ho provato una grande gioia, in chiesa c’erano quasi mille persone, le conoscevo tutte. Sono venute tutte le persone che ho accompagnato negli anni di Bologna e di Firenze. Era come vedere tutta la mia vita nei volti delle persone.

Che cosa conosce della Turchia?
Ho una buona conoscenza generale del paese, ci viaggio dal 1978. Sono stato fondatore di una piccola onlus (AMO, Amici del Medio Oriente, ndr), che promuove il dialogo, corsi formativi e pellegrinaggi nelle terre bibliche. Il legame con quelle terre è profondo. Ma è un altro mondo, e questo comporterà fatica e necessità nuove.

Parla già il turco?
A livello basico. Imparare bene la lingua sarà il mio primo impegno. Ma i primi compiti non saranno sul fronte pubblico, con la gente, ma la riorganizzazione delle persone nel Vicariato.

Che cosa mette in valigia?
Mi sono sempre occupato di Bibbia, la prima cosa per me sarà continuare a leggerla, coniugandola con i luoghi e le comunità. Quanto al trasloco, direi che la parte più pesante è la biblioteca, il resto si trova là.

Perché una diocesi cattolica latina in una terra che, oltre a musulmani sunniti e alawiti, ha già tante comunità cristiane ortodosse, armene, cattolico-orientali?
Questi sono luoghi preziosi per la cristianità. Le comunità cristiane ci sono da sempre, quelle in Europa sono venute dopo. Antiochia è il centro più significativo. In Turchia vengono in pellegrinaggio cristiani da tutto il mondo, come a Gerusalemme.

Al tempo di san Paolo Antiochia era uno delle grandi metropoli dell’antichità, oggi è periferica persino per la Turchia.
Nelle periferie succedono cose interessanti, lo vediamo nella Bibbia: tutte le cose importanti si sono svolte alla periferia degli imperi. Anche oggi Antiochia è meno provinciale di tante altre città europee: vi si celebra già la Pasqua con una data unificata fra cattolici e ortodossi, da 15 anni. Qui ci sono cattolici latini, cattolici orientali, greco-ortodossi, c’è una presenza della Chiesa protestante, ci sono gli alawiti e i mulsulmani sunniti. Come al tempo del nuovo testamento è un crocevia, si respira aria ecumenica.

Il Vicariato ha un territorio vasto ma appena 5mila fedeli: chi sono?
A differenza della costa egea, dove ci sono anche molti cattolici di origine europea, in Anatolia sono cristiani cattolici autoctoni. Da questi parti, c’è un ecumenismo di fatto, per cui dove manca la chiesa latina i cattolici latini vanno nelle chiese-orientali, persino in quelle ortodosse, e viceversa. Proprio perché sono una piccola minoranza, qui i cristiani colgono più facilmente ciò che ci unisce, come diceva Giovanni XXIII. Vorrei aggiungere anche che oggi tutte le grandi religioni si trovano di fronte alle medesime sfide, a cominciare dall’ambiente. È la sfida della gestione della casa comune. È importante che non facciamo deperire questo mondo.

Da dove comincerà come vescovo?
Mancando da cinque anni il vescovo, c’è stato un certo abbandono nel Vicariato. Voglio lavorare per un rinnovamento del modo di essere chiesa sulla scia di papa Francesco. Il mio primo intento è ricostruire una squadra di preti, religiosi e laici. L’altra emergenza sono i rifugiati che arrivano dalla Siria.

Arriva in un momento complicato: tensioni politiche interne in Turchia, il conflitto irrisolto con i curdi, un aereo russo abbattuto su ordine del primo ministro turco a poche decine di chilometri da Antiochia, e la guerra siriana oltre il confine.
In Turchia la situazione politica attuale è destinata ad evolvere per affrontare fino in fondo la composizione plurale della paese, e garantire libertà di espressione alle voci del dissenso. In generale, il momento di tensione è innegabile. Ma così si vive in parecchie parti del mondo. Le persone dicono: ci sono attentati, ma dove non ci sono? Sono in tutto il mondo. D’altra parte, se guardiamo la vita dell’apostolo Paolo, come la descrive nelle Lettere e negli Atti degli apostoli, non è che la situazione fosse tranquilla anche allora.

Almeno lui non aveva il problema della lingua.
Certo, aveva un vantaggio linguistico e culturale, tutti parlavano il greco della koinè, l’ellenismo aveva creato un’area molto più omogenea di quella che c’è oggi. A questo livello dunque le cose erano facilitate. Per altri versi la situazione era difficile, i cristiani di allora si presentavano con un carico di novità non gradita, perché alla fine il Vangelo è sempre scomodo, e questo avveniva allora come oggi.

Prova soggezione andando a fare il mestiere di san Paolo nella terra di san Paolo?
San Paolo è irraggiungibile, ma è il mio punto di rifermento, insieme a Barnaba, figura sottovalutata che ha avuto un ruolo decisivo nelle prime comunità e nella vita di Paolo. Era un grande mediatore e ha saputo valorizzare la diversità.

Quali sono le debolezze che sente di più mentre si accinge a partire?
La prima è che a 68 anni non ho più l’energia di 20 anni fa. La lingua poi sarà una grossa sfida. Il fatto di essere stranieri ti mette in una condizione di debolezza. L’essere percepiti come appartenente una piccola sètta: anche questo è una spina della carne. Inoltre, la diocesi non ha una lira in cassa, e può contare su poche persone nella pastorale. Parliamo peraltro di luoghi dove dei cristiani sono stati uccisi, anche recentemente. In Siria c’è stato anche il rapimento di Paolo Dall’Oglio, mio confratello, che non sappiamo che fine ha fatto.

Ad agosto è stato visto vivo a Raqqa, dicono.
Sono notizie che prendo con le pinze. Non è la prima volta che si sentono in questi due anni. Spero che il mio amico Paolo sia vivo e possa star bene, ma non basta una voce isolata che dice questo. A tutt’oggi non abbiamo nessuna pista, nessuna prova sicura, nemmeno su chi siano i rapitori. Perciò, non è che uno parte sprizzando energia da tutti i pori, ma lo fa in modo umile, accettando un rischio.

Alcune settimane fa un’altra stagione di scandali ha investito il Vaticano. Una parte riguarda la gestione del patrimonio di Propaganda Fide: sono risorse che dovrebbero sostenere le chiese povere.
La Santa Sede fa quello che può, di situazioni così come in Anatolia ce ne sono molte. Papa Francesco sta tentando una amministrazione diversa, meno incentrata sui bisogni interni e più a favore dei poveri e delle chiese più povere. Ma poi non è nemmeno corretto voler contare sugli aiuti di Roma: le Chiese locali devono reggersi sulle proprie gambe. Se no, si fa come certi missionari americani delle sètte che arrivano con le valigie piene di dollari e creano grandi comunità, avendo grandi risorse.

È senso comune che il denaro apra molte strade.
Non è un modo di fare evangelico. Molte volte questo ha stravolto il senso delle missioni. Questo è anche neocolonialismo. Invece, la gente deve capire la Chiesa non è il luogo dove si viene a bussare per chiedere aiuti: la Chiesa è il luogo dove si incontra Gesù, dove si diventa fratelli, il resto seguirà.

Continuerà ad organizzare pellegrinaggi?
Tutti quanti vogliono venire in Europa, forse ha un senso andare di là, fare una specie di controesodo. Il mio intento è costruire dei ponti, fra la cristianità di là e di qua, con reciproco vantaggio. Conto di accompagnare personalmente i pellegrini che vogliano fare non turismo religioso, ma leggere la Bibbia nei luoghi di cui parla e incontrando le pietre vive, che sono le comunità cristiane locali, per alimentare uno scambio fecondo, secondo lo stile paolino che intendo perseguire.

Che cosa è la sapienza?
In tutta la cultura del Medio e Vicino Oriente, la sapienza è l’arte di vivere, e quest’arte di vivere comprende anche l’arte del buon morire.

Il suo predecessore è stato ucciso. Lei ha paura della morte?
Certamente là ci sono dei pericoli, ma la nostra vita è esposta a rischi anche su una qualunque strada delle nostre città, dove statisticamente ci sono più morti che per attentati in Oriente. L’importante è che la morte ci trovi vivi, vivi avendo speso la nostra vita per noi e per gli altri.

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Paolo Bizzeti è entrato nella Compagnia di Gesù nel 1966, è prete dal 1975. È stato rettore della Residenza Antonianum di Padova e docente di Teologia biblica. È autore di una Guida biblica, patristica, archeologia e turistica alla Turchia (Edb, 2014). Il 1° Novembre è stato ordinato vescovo a Padova, il prossimo 29 novembre prenderà possesso della Cattedrale dell’Annunciazione a Alessandretta (Iskenderun) come vicario apostolico dell’Anatolia.

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In copertina, Paolo Bizzeti e sullo sfondo la città di Antiochia (Antakya), Turchia

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Leggere la Bibbia nei luoghi di cui parla. Un momento del pellegrinaggio guidato da p. Bizzeti a Antiochia

Leggere la Bibbia nei luoghi di cui parla. Un momento del pellegrinaggio guidato da p. Bizzeti a Antiochia

Gruppo di pellegrini italiani a Akdamar, sullo sfondo la chiesa armena di Santa Croce (X sec.)

Gruppo di pellegrini italiani a Akdamar, sullo sfondo la chiesa armena di Santa Croce (X sec.)

TAG: Anatolia, Antiochia, Chiesa cattolica, Paolo Bizzeti, san paolo, Turchia
CAT: Religione

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