Non solo Baltimora: a Chicago foto “scomode” e proteste inguaiano la polizia

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3 Giugno 2015

Immaginiamo di fare un viaggio nel Midwest americano. Immaginiamo di partire da Baltimora, nel Maryland, schivando le sassaiole degli afroamericani impegnati nella quotidiana rivolta contro la polizia bianca e i suoi innumerevoli abusi. Immaginiamo di lasciare per un attimo l’impeto di quella madre tanto osannata dall’opinione pubblica benpensante, capace di inserirla a piacimento in ogni contesto possibile, dalla contestazione del primo maggio a Milano in poi. In fondo, l’unica immagine di Baltimora rimane quella. Per questo noi fingiamo di esserci, cercando di vedere altro. Magari non a Baltimora, magari nella regione dei Grandi Laghi. Illinois, per l’esattezza. Chicago, per la precisione.

Da Baltimora a Chicago in aereo ci si impiega poco meno di due ore. In macchina sono quasi 11, in un itinerario che incontra Pittsburgh, Youngstown, che sfiora Cleveland -famosa per le finali NBA e per il suo LeBron James- e che passando per Toledo, South Bend e Gary, arriva a Chicago.

Perché Chicago? Perché a Chicago in questi giorni l’atmosfera non è che sia proprio distesa. In realtà a Chicago l’atmosfera non è mai stata distesa, nonostante il lago offra innumerevoli possibilità di relax, e nonostante sia considerata una delle città più belle degli Stati Uniti. Da Al Capone fino a John Di Fronzo, cavalcando circa un secolo di storia, la cosiddetta Chicago Outfit non ha mai smesso di imperversare nell’area e nel paese. D’altronde se Chicago spesso è considerata la città della violenza per antonomasia, un motivo ci dovrà pur essere. Non tutti ad esempio si ricordano della Ripper Crew, un’organizzazione a culto satanico che tra il 1981 e il 1982 si rese responsabile della sparizione di 18 donne, trovate amputate e mutilate secondo macabri rituali.

Senza però indugiare troppo sul passato e sui crismi nefasti di una città che al netto di tutto resta comunque una più affascinanti di tutti gli Stati Uniti, andiamo a capire per quale motivo Chicago sia nuovamente finita sotto le luci della ribalta.

A Chicago da tempo la polizia è sotto accusa per trattamenti poco equi, discriminati e discriminanti secondo l’etnia del presunto colpevole, del detenuto, del semplice “fermato”.  Recenti dati diffusi dalla Roosevelt University parlano di 16 arrestati per possesso di marjuana tra gli afroamericani ogni ragazzo bianco fermato per lo stesso motivo. Un rapporto sedici a uno.

Il 26 maggio il Chicago Sun Times ha pubblicato una foto risalente al 2003 in cui due uomini del reparto per le Operazioni Speciali (SOS) della Polizia, gli ufficiali Timothy McDermott e Jerome Finnigan, tengono un uomo afroamericano inginocchiato e immortalato con delle corna di cervo a mo’ di copricapo,  in quella che può tranquillamente rivelarsi come un’umiliazione massima. L’uomo viene esposto come un trofeo di caccia, in un’inquietante ritratto di disumanità.

La foto, come già detto, risale al 2003. Nel frattempo il buon Finnigan, durante tutti questi anni, ha pensato bene di partecipare in qualità di poliziotto a un gruppo criminale autore di rapine e incursioni private, sgominato nel 2007. L’inchiesta portò di fatto allo scioglimento del suddetto corpo (il SOS), e per Finnigan si concluse con la condanna a 12 anni di reclusione.

McDermott invece fu licenziato nel 2013, dopo che la procura federale decise di condividere con la Polizia la meravigliosa polaroid ricordo. Il Chicago Police Department non la prese certo bene, tant’è che si decise internamente, attraverso votazione, per il licenziamento o per la sospensione.  Prevalse la prima linea con 5 voti a 4. L’opinione con cui la maggioranza espresse la sua scelta fu quella secondo cui “trattare un uomo afro-americano non come un essere umano, ma come un animale braccato è vergognoso e scuote la coscienza.”

A distanza di due anni il giudice di Cook County Thomas Allen ha dunque chiesto di togliere il sigillo alla foto, nonostante le pressioni della Polizia e del legale di McDermott, che invece chiedevano riservatezza, ufficialmente perché “si sarebbe diffusa la foto di un uomo ufficialmente non identificato”, ossia l’afroamericano.

Va detto che McDermott da tempo ha provveduto a presentare ricorso contro il suo licenziamento, mentre il commissario di polizia Garry McCarthy si è affrettato a dichiarare alla stampa come “Le azioni spregevoli di questi due ex ufficiali” non abbiano posto  “nel nostro reparto di polizia o nella nostra società”, bollando il tutto come “vergognoso”.

“In qualità di sovrintendente territoriale di questo corpo -così McCarthy- e come un residente della nostra città, non voglio tollerare questo tipo di comportamento, ed è per questo nessuno di questi ufficiali lavora per il Chicago Police Dpt., oggi. I nostri cittadini meritano di meglio rispetto a tutto ciò, così come le migliaia di uomini e donne oneste che operano in questo reparto”.

Nel frattempo iniziano a trapelare anche altre informazioni, come quella raccolta direttamente dalla bocca di Finnigan che, interrogato sulla faccenda, spiegò ai federali come quell’uomo fosse stato  arrestato “per essere in possesso di 20 sacchi di erbaccia” e che addirittura fosse proprietario dei fucili imbracciati dai due “difensori dell’ordine” nella famigerata foto.

Tuttavia, come scrivono Frank Principale e Kim Janssen sul Chicago Sun Times,

l’Ufficio di presidenza del dipartimento di polizia degli Interni dice che è stato in grado di identificare l’uomo afro-americano nella foto.Finnigan e McDermott non hanno presentato alcun rapporto di arresto che coinvolga l’uomo, secondo i documenti del tribunale. Tramite fonti interne alla polizia si apprende come Finnigan abbia detto all’FBI che lasciarono andare subito l’uomo senza trattenerlo, in quanto non aveva avuto gravi precedenti penali, aggiungendo che la foto è stata scattata nel “impulso del momento.” La persona che ha scattato la foto non è stato comunque identificato.

Nel giugno 2013 McDermott, interrogato dal membro degli affari interni Sergente Michael Bartz, ha detto che Finnigan lo chiamò per scattare una foto, e lui si è seduto per farsi immortalare, senza pensare troppo a quel che stesse facendo. Dopodiché “è subito alle sue faccende quotidiane”. McDermott ha detto anche di ignorare l’identità dell’uomo afroamericano.

Nel frattempo hanno iniziato a librarsi nell’aria le prime difese pubbliche verso McDermott, definito “professionista impeccabile e ottimo poliziotto” dall’ex commissario di polizia Phil Cline, mentre lo stesso McDermott si è detto “imbarazzato dalla presenza in quella fotografia”, definendo il tutto come “un errore di gioventù”.

Intanto il legale di McDermott, Daniel Herbert, ha impedito all’ex poliziotto di rilasciare altre dichiarazioni alla stampa. In realtà da quanto emerge dalle documentazioni in mano ai federali, McDermott sarebbe stato imputato ben quattro volte in passato in seguito a comportamenti non regolamentari, con una complessiva ammenda di 162000 dollari. Stranamente però questi precedenti non sono arrivati fino all’udienza contro il Dipartimento di Polizia.

 

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Si legge sempre sul Chicago Sun Times che McDermott sarebbe

il figliastro dell’ex sovraintendente del Police Chicago Dept. Thomas Byrne, che ha anche parlato con entusiasmo di lui durante l’udienza alla polizia. Byrne era una figura potente all’interno dell’amministrazione dell’ex sindaco Richard M. Daley e poi ha continuato ad amministrare il Dipartimento di Vie e servizi igienico-sanitari, sempre sotto Daley.

Resta comunque da capire perché McDermott sia stato licenziato, soprattutto se si confronta il suo con altri casi simili. Un poliziotto si immortalò davanti al jet della Southwest Airlines Baltimora-Chicago -guarda un po’ i casi della vita- che si schiantò nel dicembre 2005 sull’incrocio adiacente all’aeroporto, provocando la morte di un bambino di cinque anni. Quel poliziotto dopo che la foto fece il giro del web venne sospeso per un giorno. Ci fu anche il caso di un comandante di polizia che pubblicò una foto in cui un manifestante si prostrava di fronte ai poliziotti in assetto antisommossa: in quell’occasione nessuna sospensione, ma soltanto una piccola nota di biasimo.

Tutto questo mentre sullo sfondo montano già da tempo le proteste nei confronti di presunti abusi sessuali dei poliziotti su detenuti afroamericani e ispanici. Eclatante il caso di Angel Perez, 33enne che denunciò un episodio di violenza sessuale nei suoi confronti. Così il legale del giovane, l’avvocato Epstein (i fatti risalgono al 2012):

Il passaggio peggiore è dove il mio cliente descrive che l’ufficiale stava strofinando qualcosa di metallico sulla schiena e che, infine, l’ha penetrato con esso in maniera violenta. Ciò ha trascinato il mio cliente in un attacco di panico e l’ha mandato in iperventilazione. Respirava molto pesantemente e piangeva. La loro unica preoccupazione era che non risultasse vittima di un’aggressione. Gli hanno messo uno straccio in bocca, gli hanno detto di essere tranquillo, di smettere di piangere e di calmarsi

Tutto questo –a quanto pare- per costringerlo a utilizzare 170 dollari di proprietà della polizia per incastrare uno spacciatore di sua conoscenza. Il caso fiu trattato dal The Guardian durante lo scorso marzo

Sempre nel mese di marzo infatti i manifestanti hanno cercato di sensibilizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla presenza di un “Black Site”, situato in Homan Square: un magazzino abbandonato usato dai “reparti speciali della polizia” per attività non meglio specificate, sempre al confine tra il lecito e l’illecito. D’altronde già il Guardian in passato aveva condotto un’inchiesta atta a far luce sull’impressionante serie di torture perpetrate lungo i decenni dalla Polizia di Chicago. A inizio maggio il consiglio comunale della città ha stabilito un maxi risarcimento (circa 5,5 milioni di dollari) per le famiglie e le vittime –afroamericane- degli abusi penitenziari e detentivi, avvenuti sotto la giurisdizione del controverso comandante Jon Burge, dal 1972 al 1991. Fu proprio un ex detective di Chicago, Richard Zuley, a incarnare uno tra i più feroci torturatori di Guantanamo, sempre –a detta del Guardian, in un articolo dello scorso febbraio- con la preferenza su detenuti appartenenti a minoranze etniche.

Particolare anche l’arringa dell’avvocato Herbert, legale di McDermott: “Cosa si può dire sull’eventualità che questo individuo non si esibisse in uno spettacolo di Natale nel quartiere, era vestito come una renna e aveva preso il vestito da renna in un altro luogo?”, si è chiesto l’avvocato del poliziotto.

Secondo il Chicago Sun Herbert ha addirittura ipotizzato che “quelli nella foto non fossero fucili, ma bastoni”, sottolineando la mancanza di informazioni sul luogo e sulla data della foto. Dopodiché ha avanzato la possibilità che quell’uomo afroamericano “fosse consenziente”. Vestito da renna e consenziente a farsi fotografare a mo’ di trofeo. Non male come deriva.

Insomma, la situazione non è certo delle più rosee, non resta che attendere l’udienza del 10 giugno, dove presumibilmente uscirà la sentenza.

Intanto nel nostro gelido viaggio tra bianchi, neri, corna e fucili, tra Baltimora e Chicago l’unica differenza pare essere quella tra la periferia e il centro dell’Inferno.

TAG:
CAT: America, discriminazioni

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