Semmai voleste prendere una casa su Marte

17 Settembre 2023

L’uomo è sempre stato un essere curioso e il suo interesse per l’esplorazione e la comprensione dell’universo circostante, migliaia di anni fa, ha spinto il suo sguardo verso il cielo. Ma oggi non ci limitiamo a osservare i corpi celesti con interesse e ammirazione, bensì con il desiderio di conquistarli. La colonizzazione di altri pianeti è diventata una delle questioni più interessanti e pressanti della nostra epoca. Dopo molti decenni di esplorazione spaziale e di visioni fantastiche dell’espansione umana nell’universo, ora siamo alle soglie della realtà, pronti a realizzare il sogno di colonizzare altri mondi.

A quasi 50 anni dall’ultima volta che un astronauta ha messo piede sulla superficie della Luna, la NASA, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), l’Agenzia di Esplorazione Aerospaziale del Giappone (JAXA), l’Agenzia Spaziale Canadese (CSA) e una serie di aziende private, ha dato vita alla missione Artemis con l’obiettivo di non limitarsi a rivisitare la Luna, ma di creare il primo avamposto umano oltre l’orbita terrestre[1].

La missione Artemis ha il compito di garantire una presenza umana e robotica a lungo termine sulla Luna e sulla sua orbita e, in caso di successo, di rappresentare una tappa intermedia prima dell’invio di astronauti su Marte[2]. Per farlo, la NASA utilizzerà SLS (Space Launch System), un sistema di lancio spaziale a forma di razzo modulare superpesante. Si tratta del razzo più potente creato dall’umanità, in grado di inviare la navicella Orion, quattro astronauti e un grosso carico direttamente sulla Luna in un’unica missione[3].

Data l’ampiezza del progetto, la missione è divisa in fasi. Il primo lancio senza equipaggio è avvenuto nel novembre 2022 e Artemis I è tornato con successo sulla Terra nel dicembre 2022, dopo quasi un mese di volo oltre la Luna, dimostrando le capacità della capsula Orion, del suo modulo di servizio e del gigantesco razzo SLS[4].

Una panoramica completa di Gateway, compresi gli elementi dei partner internazionali. Costruita con partner commerciali e internazionali, Gateway è fondamentale per un’esplorazione lunare sostenibile e servirà da modello per le future missioni su Marte[5]

Il piano della NASA prevede il prossimo lancio di Artemis II con quattro astronauti a bordo nel 2024, con l’obiettivo di fare il giro della Luna. Seguiranno Artemis III nel 2025, che atterrerà sulla Luna e vi rimarrà per circa una settimana[6], e le missioni Artemis IV e V nel 2027 e 2028, che consegneranno Gateway, una piccola stazione spaziale a gestione umana in orbita attorno alla Luna, in due arrivi[7].

Dietro a tutta questa azione, ci sono molte domande sull’abitabilità e il sostentamento umano a una tale distanza dalla Terra, dato che la Luna non è il luogo più adatto per vivere ed è circa mille volte più lontana della Stazione Spaziale Internazionale. La ricerca di un’alternativa per utilizzare le risorse in loco continua.

Una casa su un altro pianeta

Il progetto di un’acciaieria su Marte[8]

Finora sono stati progettati degli alloggi sigillati per la stazione spaziale lunare, nei quali gli astronauti potranno vivere e condurre ricerche durante la visita all’avamposto lunare. Il modulo abitativo si basa sulla navicella attualmente utilizzata per trasportare carichi alla Stazione Spaziale Internazionale[9]. Per quanto riguarda la base di alloggio per gli astronauti sul nostro satellite, la NASA ha assegnato un contratto da 57,2 milioni di dollari a Icon, Texas, USA, per sviluppare la tecnologia necessaria a costruire strade, piste ed eventualmente case sulla Luna utilizzando la stampa 3D e il suolo lunare come materiale[10].

Nell’ambito del programma NextSTEP della NASA, altre aziende stanno proponendo delle alternative. Lockheed Martin sta sviluppando concetti di habitat gonfiabili che offrono la possibilità di costruire oggetti spaziali con meno peso, più volume e mobilità e costi di installazione inferiori rispetto alle classiche strutture a pareti solide[11].

Nel contesto della colonizzazione di altri pianeti, è emerso il termine “in situ resource utilization” (ISRU), ovvero la pratica di raccogliere, trattare, immagazzinare e utilizzare materiali trovati o prodotti su altri oggetti astronomici (Luna, Marte, asteroidi, ecc.) per sostituire i materiali che altrimenti verrebbero portati dalla Terra[12]. Questa direzione si sta sviluppando attivamente nel contesto della ricerca sulle proprietà del suolo lunare e marziano e sulla loro idoneità come materiali da costruzione. Gli scienziati hanno dimostrato che il suolo lunare e marziano può essere trasformato in cemento geopolimerico, che sul nostro pianeta rappresenta un’eccellente alternativa ambientale al cemento tradizionale[13]. Ma vale la pena sottolineare che la ricerca è stata condotta su terreni lunari e marziani modellati[14].

Le sfide scientifiche a volte danno vita a soluzioni non banali. Gli scienziati britannici hanno creato un nuovo materiale più resistente del cemento, basato su amido di patate, polvere extraterrestre e sale[15]. Questo esperimento è una versione migliorata del precedente lavoro del team, in cui si utilizzavano il sangue e l’urina degli astronauti come agente legante. Lo svantaggio di questo metodo era la costante necessità di sangue. Nella nuova versione dello studio, l’amido viene già utilizzato come alimento per gli astronauti e il sale, il cloruro di magnesio, può essere ottenuto dalla superficie di Marte o dalle lacrime degli astronauti[16]. Infatti, nello spazio, le lacrime degli astronauti sono un materiale molto più facilmente disponibile del loro sangue.

Test di rottura della struttura gonfiabile di Lockheed Martin[17]

Qualsiasi habitat, a prescindere da come è fatto, ha bisogno di energia elettrica per funzionare. La mancanza di atmosfera, in questo caso, gioca un ruolo positivo e rende i pannelli solari una delle soluzioni più ovvie e prioritarie[18]. Una possibile opzione potrebbe essere un pannello solare verticale alto 18 metri, posizionato sul Polo Sud della Luna. La posizione verticale è dettata dalla posizione del Sole, che in questa regione fa appena capolino dall’orizzonte. I pannelli sarebbero collegati da cavi lunghi diversi chilometri e attaccati a veicoli che potrebbero trasportarli in luoghi diversi[19].

Mangiare, bere, respirare… colonizzare

Illustrazione grafica di celle solari mobili[20]

Sulla Stazione Spaziale Internazionale, la questione dell’aria e dell’acqua è organizzata come segue: l’ossigeno viene prodotto tramite elettrolisi, quando una corrente elettrica viene fatta passare attraverso l’acqua e il liquido si scompone in molecole di ossigeno e idrogeno. Il sistema è in funzione fin dalla creazione della stazione. È necessario circa 1 litro d’acqua per fornire a una persona una dose giornaliera di ossigeno. A bordo ci sono bombole di ossigeno per le emergenze. L’idrogeno non viene utilizzato sulla ISS e viene rilasciato nello spazio. L’acqua, invece, viene consegnata occasionalmente sulle navi cargo e viene riutilizzata più volte, grazie ai sistemi di purificazione. Circa il 93% dei liquidi utilizzati o espulsi, come l’acqua per lavarsi, i rifiuti dell’equipaggio (urina) e l’umidità in eccesso nell’aria, viene raccolto, filtrato e riutilizzato[21]. Ma non dimentichiamo che la Stazione Spaziale Internazionale si trova a un’altitudine media di 420 chilometri. Gli astronauti possono impiegare da 4 ore a 3 giorni per raggiungerla, a seconda del veicolo spaziale utilizzato e dei parametri della missione[22].

La durata e il raggio d’azione delle missioni spaziali umane stanno per aumentare rapidamente e i sistemi di supporto vitale sono soggetti a requisiti elevati e a un’auspicabile autonomia. Per soddisfare il bisogno fondamentale dell’uomo di respirare, la NASA sta già testando un sistema altamente tecnologico a bordo della stazione spaziale che rimuoverà l’anidride carbonica (CO2) e l’umidità dall’interno di Orion utilizzando una sostanza chimica a base di ammina combinata con il vuoto dello spazio. Il sistema Amine Swingbed è progettato per fornire aria sicura per la respirazione dell’equipaggio e per controllare la condensa e proteggere le apparecchiature sensibili[23].

L’aria è ovviamente un elemento di supporto alla vita umana, ma è anche un componente fondamentale del carburante per i razzi. Nella prospettiva di un viaggio su Marte, oltre al propellente stesso, gli astronauti dovranno portare con sé una quantità di ossigeno pari al doppio del loro peso per poterlo bruciare, altrimenti potrebbe essere un “viaggio di sola andata”. Ad esempio, per riportare quattro astronauti da Marte alla Terra occorrono circa 7 tonnellate metriche di carburante per razzi e 25 tonnellate metriche di ossigeno, senza contare l’ossigeno necessario per respirare. Pertanto, il compito di produrre ossigeno “localmente” è molto impegnativo per gli scienziati[24].

Nel febbraio 2021, il rover Perseverance della NASA è atterrato sul Pianeta Rosso e ad esso era collegato un blocco delle dimensioni di un tostapane MOXIE, acronimo di “Mars Oxygen Resource Utilisation Experiment”, il cui compito era quello di produrre ossigeno su Marte. Una molecola di anidride carbonica nella sottile atmosfera di Marte è composta da un atomo di carbonio e due atomi di ossigeno e MOXIE ha semplicemente estratto le molecole di ossigeno sotto l’influenza di temperature elevate, circa 800 gradi centigradi[25]. Il 6 settembre 2023, la missione MOXIE è stata completata ed è riuscita a produrre un totale di 122 grammi di ossigeno marziano – circa quanto un piccolo cane inala in 10 ore[26].

Le single parti del veicolo MOXIE[27]

La produzione e il riciclo dell’ossigeno, dell’anidride carbonica (CO2) e del carburante sono fondamentali per i piani di colonizzazione, in quanto la ricostituzione delle risorse sarà difficile e costosa o impossibile. Nell’ambito della transizione verso l’energia pulita sulla Terra, si stanno studiando dispositivi fotoelettrochimici (PEC) in grado di produrre idrogeno e carburanti a base di carbonio utilizzando la luce solare a partire dalla CO2. Essi replicano essenzialmente la fotosintesi artificiale come le piante, ma sotto l’influenza delle radiazioni elettromagnetiche Il loro design monolitico e l’estrema dipendenza dall’energia solare li rendono interessanti per le applicazioni spaziali[28].

Un nuovo studio sponsorizzato dall’ESA, condotto da scienziati del Regno Unito e dell’Europa, ha modellato la fattibilità teorica di questi dispositivi in base alle condizioni ambientali previste sulla Luna e su Marte[29]. In particolare, hanno studiato l’effetto della polvere lunare combinata con il vento solare che provoca cariche elettrostatiche nella polvere risultante e le frequenti tempeste di polvere su Marte sulle prestazioni dei dispositivi. Come soluzione al problema sono stati proposti rivestimenti autopulenti.

È stata presa in considerazione anche la riduzione dell’irradiazione solare, e una delle tecnologie che potrebbero essere utilizzate nei dispositivi di produzione di ossigeno e carburante alimentati a energia solare sulla Luna e su Marte sono i concentratori solari, che forniscono dispositivi con prestazioni più elevate e una maggiore densità di potenza. Grazie a questa macchina, gli scienziati hanno dimostrato che i dispositivi fotoelettrochimici sono un’opzione promettente per gli ambienti terrestri, lunari e marziani quando si studia un’efficienza realistica di conversione dell’energia solare in energia chimica a lungo termine; tuttavia, sia da un punto di vista sperimentale che teorico, rimangono delle sfide e degli interrogativi per quanto riguarda l’applicazione dei dispositivi sulla Luna e su Marte, perché la macchina non tiene conto di tutte le sfide ambientali che un dispositivo deve affrontare nello spazio, come le radiazioni cosmiche, le radiazioni estreme e altri problemi ambientali[30].

Il polo sud della Luna, che non è nemmeno visibile dalla Terra, attira l’attenzione dei ricercatori. A causa dell’inclinazione del nostro satellite, il Sole si trova sempre intorno all’orizzonte e al polo sono illuminate solo le cime elevate, mentre le zone basse si trovano nelle cosiddette regioni d’ombra costante. La temperatura in questa regione può scendere fino a -250 gradi centigradi, più fredda di quella di Plutone, mentre la parte illuminata dal Sole si riscalda fino a 120 gradi centigradi (a causa della mancanza di atmosfera). Le molecole d’acqua che entrano in questa regione di buio vengono immediatamente congelate, senza possibilità di evaporazione, cadono in superficie e si mescolano al suolo lunare. Questo processo porta alla formazione di grandi depositi di ghiaccio d’acqua e rende questa regione estremamente interessante dal punto di vista della possibilità di estrarre risorse idriche sulla Luna[31].

Possibili giacimenti di ghiaccio sulla Luna[32]

Anche se visivamente la Luna sembra una palla di polvere secca, la ricerca conferma che sul satellite del nostro pianeta c’è più acqua di quanto si pensasse in precedenza. Le scoperte arrivano dopo aver analizzato il vetro da impatto nei campioni di roccia lunare raccolti da un rover cinese durante la missione Chang’e-5. Secondo stime prudenti, fino a 297,6 miliardi di tonnellate di acqua potrebbero essere immagazzinate nei resti minerali fusi che sono evaporati dalla superficie lunare a causa dell’impatto con i meteoriti[33].

Mentre gli scienziati sono impegnati a valutare le risorse idriche della Luna qui sulla Terra, il Volatiles Investigating Polar Exploration Rover (VIPER) della NASA è in missione per mappare le risorse idriche al polo sud della Luna. Il rover, delle dimensioni di una golf-car e alimentato a energia solare, utilizzerà diversi strumenti scientifici e un trapano di 1 metro di diametro per raccogliere campioni in punti precisi scelti da esperti e analizzarli in loco[34]. I ricercatori ipotizzano che il ghiaccio dell’acqua possa essere trasformato in acqua potabile e in carburante per razzi[35]. Il VIPER avrebbe dovuto essere lanciato nel dicembre 2022, ma è stato posticipato. Sarà il primo rover dotato di fari e dovrà visitare luoghi sempre in ombra e percorrere 20 chilometri in 100 giorni[36].

Ma anche se la fonte dell’acqua importa poco, che sia estratta dal ghiaccio o portata con sé, l’importante è che sia subito utilizzabile. Un progetto chiamato BIOWYSE, guidato dalla Commissione Europea, sperava di trovare una soluzione al problema dell’immagazzinamento dell’acqua per lunghi periodi di tempo, vale a dire controllare la sua contaminazione da parte di microrganismi, disinfettarla con la luce ultravioletta invece che con prodotti chimici se necessario, e fornire “in una tazza” acqua potabile completamente utilizzabile. Il prototipo è una macchina lunga circa un metro, ma con la prospettiva di creare un campione più piccolo da utilizzare nello spazio. Gli scienziati ritengono che il sistema stesso potrebbe essere utile per le missioni del futuro, in cui l’acqua potrebbe rimanere non consumata per mesi fino all’arrivo degli astronauti[37].

Panoramica schematica del ciclo CROP®

Gli stagisti dell’Agenzia Spaziale Europea si stanno concentrando sul progetto CROP® della DLR, che mira a combinare la decomposizione dei rifiuti organici con un sistema idroponico per la coltivazione di ortaggi. Questo sistema non utilizza il suolo e le radici delle piante sono ancorate in un substrato artificiale o penzolano direttamente in una soluzione nutritiva. Questa soluzione nutritiva viene generata da un biofiltro in cui i microrganismi elaborano rifiuti biologici come l’urea o i residui di cibo e può essere utilizzata come fertilizzante per la coltivazione di ortaggi senza terra. Poiché tutti i processi di decomposizione avvengono in un ambiente acquoso, il filtro può essere definito un cumulo di compost liquido[38].

Nel contesto di lunghe spedizioni spaziali, è opportuno che l’equipaggio abbia accesso a cibo fresco. Un sistema di serre che produca cibo fresco in loco è necessario per avere un rifornimento continuo di cibo senza dover trasportare i rifornimenti dalla Terra alla Luna o a Marte, e ci sono molti progetti dedicati a questo. Per diversi anni, sulla ISS, gli astronauti hanno utilizzato attrezzature come l’European Modular Cultivation System (EMCS), lanciato nel 2006, per studiare la crescita di piante come il crescione. Nel 2018, l’ECMS è stato sostituito da una macchina simile chiamata Biolab, ma questi progetti non erano incentrati sulla fornitura di cibo agli astronauti, bensì sulla ricerca della crescita delle piante in orbita terrestre e sulla dimostrazione della fattibilità dell’agricoltura spaziale.

Il progetto EDEN ISS, finanziato dall’UE, sta costruendo una vera e propria serra planetaria basata sul prototipo analogico “Mobile Test Facility”, testato in Antartide da febbraio 2018. I moduli della serra sono elementi separati e distinti dall’habitat, ma possono essere incorporati nel sistema di supporto vitale della base, permettendo non solo di coltivare cibo, ma anche di contribuire a rivitalizzare l’aria e a purificare l’acqua. Ma per quanto dettagliato sia un progetto, esso farà sempre parte di un’infrastruttura più grande ed è necessario capire in quale architettura di missione sarà integrato, e al momento non esiste un’infrastruttura/architettura di questo tipo. Inoltre, l’ambiente microbiologico e il modo in cui le piante reagiranno al sistema della navicella spaziale con il suo ambiente speciale e i suoi contaminanti sono ancora sconosciuti[39].

Una prova di forza

Primi germogli sulla Stazione Spaziale Internazionale[40]

Immagina di trovarti in una sorta di bolla di atmosfera abitata in compagnia di altri sconosciuti, dove ogni giorno esegui una serie di azioni monotone e che durano più di due anni. Sembra il prologo di un thriller psicologico. Ma se a questa fantasia si aggiungono i cambiamenti fisiologici associati alla gravità e all’isolamento, l’esposizione alle radiazioni e l’alterazione del ritmo circadiano, e in più un senso di enorme rischio: stiamo guardando la prospettiva di astronauti che vanno su Marte.

La NASA conduce un rigoroso processo di selezione degli astronauti: solo 60 candidati su oltre 18.000 potranno andare nello spazio. Molti candidati provengono da settori ad alto rischio e ad alta responsabilità (piloti di caccia, medici). L’autocontrollo e la capacità di prendere decisioni “a freddo” sono fondamentali. E anche dopo innumerevoli test e controlli psicologici, più del 50% degli incidenti medici tra gli astronauti sulla ISS, così vicini alla Terra, sono stati collegati a problemi psicologici[41].

In vista delle ambizioni delle prossime missioni spaziali con equipaggio e sulla base della ricerca e dell’esperienza maturata sulla ISS e nelle missioni suborbitali, nonché degli studi di simulazione e delle osservazioni in condizioni prossime alla Terra, l’Agenzia Spaziale Europea e i suoi partner hanno preparato un libro bianco, sviluppato da esperti europei indipendenti, che riflette le lacune di ricerca non colmate relative alla psicologia dell’esplorazione spaziale.

Il documento affronta i temi dell’adattamento, del lavoro di squadra, delle esperienze prima, durante e dopo la missione, dei marcatori critici degli stati psicofisici, dei fattori di stress, delle caratteristiche individuali e di squadra e delle possibili contromisure da sviluppare e testare[42]. Ma è giusto dire che le questioni da affrontare sono molte di più delle misure preventive sviluppate. È difficile prevedere e trovare una soluzione a un problema che nessuno ha mai affrontato prima, soprattutto quando si tratta di un sistema così delicato e complesso come la psiche umana. Non ci possono essere modelli, le persone non sono robot.

Influenza della microgravità sulla fisiologia umana

Scott Kelly, l’astronauta americano su cui sono stati fatti gli studi più avanzati sui danni cerebrali causati dalla vita nello spazio[43]

Gli esseri umani sono la specie più adattabile del pianeta, in grado di vivere in ambienti molto diversi dalla Terra. Ma lo spazio rappresenta una vera e propria sfida per le capacità di adattamento dell’uomo. Poiché l’uomo si è evoluto nella gravità terrestre e tutto il nostro corpo funziona secondo le sue leggi, l’assenza di forze gravitazionali richiede un pesante tributo a tutti i sistemi corporei. Nonostante la capacità del nostro corpo di adattarsi a qualsiasi condizione e al cambiamento dell’ambiente gravitazionale, può avere conseguenze patologiche.

Sulla Terra, il sistema cardiovascolare lavora contro la gravità per evitare che il sangue si raccolga nelle estremità inferiori, mentre la microgravità provoca una drastica ridistribuzione dei fluidi dalle gambe alla parte superiore del corpo, aumentando in modo drammatico la pressione intracranica. Nel corso di settimane e mesi, il volume plasmatico, il numero di globuli rossi e la gittata cardiaca diminuiscono a causa delle ridotte esigenze del sistema cardiovascolare di contrastare la gravità. Quando l’astronauta torna sulla Terra, il basso volume di sangue non è sufficiente a mantenere il flusso sanguigno cerebrale in posizione ortostatica.

Gli effetti dello spazio sulla circolazione del sangue avvengono seguendo questo schema: a) Gravità normale (Terra); b) esposizione acuta all’assenza di gravità (prime 24 ore nello spazio); c) esposizione prolungata all’assenza di gravità; d) ritorno sulla Terra. L’apparato muscolo-scheletrico di un astronauta si trova quasi nella stessa posizione di quello di un paziente costretto a letto; la microgravità porta a una profonda atrofia muscolare, la percentuale di perdita di massa muscolare può raggiungere il 50%.

Purtroppo questo problema non sempre si risolve completamente dopo il ritorno sulla Terra e molti astronauti hanno problemi con le funzioni motorie di base e con il semplice mantenimento del corpo in posizione eretta. Lo stress sulle ossa è notevolmente ridotto nello spazio e l’intera struttura ne risente, portando alla demineralizzazione dello scheletro e alla riduzione della densità ossea. Il calcio e gli altri minerali ossei vengono espulsi con l’urina in quantità maggiori, quindi il rischio di fratture aumenta.

Inoltre, il volo spaziale influisce in qualche misura su quasi tutte le parti del cervello[44]. Recentemente è stato condotto un interessante esperimento in cui gli esperti hanno monitorato la salute di due gemelli, uno dei quali, l’astronauta Scott Kelly (Scott Kelly), si trovava sulla ISS e suo fratello sulla Terra. Uno dei risultati è stato che Scott aveva i telomeri accorciati, ovvero le sezioni finali dei cromosomi che li proteggono dai danni. Di solito la riduzione della lunghezza di queste parti dei cromosomi avviene nel processo di invecchiamento. In orbita, questo effetto è probabilmente causato dall’aumento delle radiazioni di fondo[45].

Gli effetti di un viaggio spaziale a lungo termine su un astronauta possono essere molto gravi e questo richiede nuove discipline che possano affrontare il problema dell’adattamento umano a condizioni che non siamo destinati a sopportare. L’esercizio fisico frequente, un’alimentazione corretta, una rete integrata di biosensori in grado di rilevare tempestivamente i marcatori di salute e terapie farmacologiche per supportare tutti i sistemi corporei vulnerabili sono strategie utilizzate per combattere gli effetti dei viaggi nello spazio, ma alcuni cambiamenti nelle condizioni fisiche sono inevitabili e irreversibili e la creazione di una gravità artificiale su una navicella o una base, date le leggi della fisica che conosciamo oggi, è quasi impossibile.

Il pericolo invisibile

Sulla Terra, la vita è protetta dalle radiazioni ionizzanti dall’atmosfera e da un campo magnetico che protegge anche gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale, ma nonostante ciò essi ricevono durante il giorno una dose di radiazioni equivalente a quella della Terra per un anno[46]. La dose di radiazioni standard per un essere umano sulla Terra è di circa 0,0036 Sv/anno (0,36 rad); gli astronauti dell’Apollo, durante la loro breve missione di non più di 12 giorni, ricevettero una dose media di radiazioni sulla pelle di 0,38 rad (la dose massima registrata fu di 1,14 rad) – il che è paragonabile a due TAC della testa[47]. La dose giornaliera di radiazioni sulla superficie lunare sarà significativamente più alta, soprattutto in considerazione della durata della missione, e non può essere quantificata dalla Terra.

Sulla base dei dati ottenuti dalla Neutron and Dosimetry Research Facility (LND) a bordo del lander lunare cinese Chang’e 4 sui livelli di radiazione sulla superficie lunare, gli scienziati stimano che gli astronauti in tuta spaziale saranno esposti a circa 60 microsieverts di radiazioni ogni ora. Complessivamente, i livelli di radiazioni potrebbero essere 150 volte superiori a quelli della Terra[48]. L’esposizione alle radiazioni comporta pericoli imprevedibili e può portare a diversi effetti come danni al sistema nervoso, malattie acute/croniche da radiazioni, alterazione della struttura del DNA, aumento del rischio di cancro, degenerazione dei tessuti e altro ancora[49]. Nonostante i grandi progressi compiuti in 50 anni di intensa ricerca, la valutazione del rischio e dei danni da radiazioni rimane un argomento complesso, soprattutto perché gli effetti dell’esposizione alle radiazioni dipendono da molti fattori e hanno un effetto cumulativo.

Per affrontare questo problema, gli scienziati stanno sviluppando e testando gilet che proteggano gli astronauti durante le lunghe missioni, lanciando i manichini Artemis I in resina epossidica, che replicano le ossa, i tessuti molli e gli organi di una donna adulta e sono dotati di un numero incredibile di sensori e trasduttori. Per misurare e testare gli effetti delle radiazioni sugli organi interni delle donne, la prima missione con equipaggio sulla Luna prevede l’invio di un’astronauta donna e si stanno conducendo esperimenti biologici nello spazio profondo con il lievito da panettiere (Saccharomyces cerevisiae), che è un analogo quasi perfetto dei geni umani, per determinare come le radiazioni influenzino la struttura del DNA[50].

Ma al momento gli scienziati non hanno ancora abbastanza esperienza con le radiazioni provenienti dallo spazio profondo. Non ancora. Per quanto riguarda le opzioni per affrontare il problema a livello locale, le particelle cariche di radioattività possono essere contrastate costruendo uno scudo di particelle di pari dimensioni. L’idrogeno è l’opzione migliore, meglio dell’acciaio o del piombo. Gli ingegneri stanno esplorando la possibilità di avvolgere gli habitat in gusci ricchi di idrogeno o di creare strutture gonfiabili e tute spaziali utilizzando nanotubi idrogenati.

Un’opzione più semplice sarebbe il suolo lunare, il cui spesso strato potrebbe fornire protezione dai raggi cosmici. Forse, se combinassimo l’idea di costruire una struttura con mattoni stampati in 3D fatti di suolo lunare, riempiendola di regolite e inserendo al suo interno un habitat gonfiabile, si potrebbe proteggere non solo dalle radiazioni cosmiche, ma anche dal costante bombardamento di micrometeoriti a cui è esposta la superficie lunare[51]. Al momento, la minaccia dei meteoriti viene affrontata attraverso l’osservazione dalla Terra e la previsione dei rischi[52]. A terra, invece, tutto dipenderà dal caso.

Anche la polvere lunare può essere un problema. A causa della mancanza di vento, le sue particelle non si sfregano l’una contro l’altra e conservano i bordi taglienti; inoltre, ha una carica elettrica ed è attratta letteralmente da tutto. Gli habitat lunari devono avere filtri speciali per tenerlo fuori, ma all’esterno può essere un problema per i sistemi e i meccanismi in movimento (antenne, pannelli solari, ecc.). Può anche essere un allergene, come hanno riscontrato gli astronauti delle missioni Apollo, anche se hanno trascorso poco tempo sul nostro satellite[53]. Lo studio delle proprietà della polvere lunare è problematico perché il suo comportamento sulla Terra e sulla Luna è diverso. Anche l’uso previsto è diverso: invece di utilizzare la vera polvere lunare per ricerche così importanti per il futuro, la si mette all’asta[54].

Houston, siamo nei guai

Il Progetto di base lunare dell’ESA[55]

La distanza tra la Terra e la Luna è di circa 384.400 chilometri e le comunicazioni radio bidirezionali possono coprire questa distanza in circa 2,6 secondi[56], mentre il tempo di volo richiede circa tre giorni[57]. Ciò significa che, in caso di emergenza, è possibile inviare un segnale di aiuto abbastanza rapidamente, ottenere una risposta e sperare che la missione di salvataggio abbia successo.

Ma la Luna nel contesto della colonizzazione è solo un “punto di sosta”, tutti i piani sono diretti verso Marte, la cui distanza minima è di 55,76 milioni di km (quando la Terra si trova esattamente tra il Sole e Marte) e la distanza massima è di 401 milioni di km (quando il Sole si trova esattamente tra la Terra e Marte)[58]. Un viaggio di sola andata verso il Pianeta Rosso durerà circa otto o nove mesi, mentre il viaggio di andata e ritorno richiederà circa 21 mesi, a causa dell’attesa della posizione favorevole di entrambi i pianeti[59]. Quando la missione arriverà su Marte, i segnali terrestri impiegheranno ben 20 minuti per raggiungerlo. Se a questo si aggiunge il tempo per comporre una risposta e inviarla, si ottiene un ritardo di almeno 40 minuti[60].

Questo rende la comunicazione inopportuna e implica un alto livello di autonomia che si riscontrerà nelle missioni future, il che significa che l’equipaggio avrà una maggiore responsabilità nell’auto-servizio e nell’auto-gestione. Nel caso delle missioni con equipaggio nello spazio profondo, l’opzione delle missioni di salvataggio non viene presa in considerazione. Sono necessarie nuove strategie per l’auto-coping e l’auto-gestione della salute e delle prestazioni che gli individui e gli equipaggi possono utilizzare per mantenere le proprie funzioni[61].

Inoltre, sistemi altamente affidabili sono fondamentali quando l’equipaggio remoto non ha la possibilità di essere rifornito dalla Terra, come nel caso della stazione spaziale. Anche i piccoli sistemi sono fondamentali e devono funzionare in modo affidabile per sostenere la vita nello spazio, da una toilette funzionante a un sistema antincendio automatizzato o a un’attrezzatura per l’esercizio fisico che aiuta gli astronauti a mantenersi in forma[62]. In questo campo non ci sono dettagli poco importanti e non c’è il caso.

Grazie alla cooperazione internazionale, ai continui sviluppi e ai progressi tecnologici, il sogno di colonizzare altri corpi celesti si sta avvicinando alla realtà. Ma nonostante gli sbalorditivi progressi tecnologici nell’esplorazione dello spazio, all’orizzonte si profilano enormi sfide. L’esplorazione umana dello spazio mette alla prova la risposta adattativa dell’uomo a un ambiente ostile in cui le radiazioni cosmiche, la microgravità, il confinamento fisico, il vuoto e i campi magnetici alterati si combinano per minacciare la salute con rischi che non ci aspettiamo.

L’intero paradosso dell’avventura chiamata “colonizzazione” è che è guidata dal desiderio di conoscenza, esalta il potere del pensiero umano, la genialità dell’idea e la sua realizzazione tecnica, e allo stesso tempo rende un essere umano una cavia. Quando pensiamo ai confini dello spazio, dobbiamo rimanere ambiziosi e curiosi, ma anche riflessivi, etici e consapevoli. Forse i nostri viaggi di molti milioni di chilometri possono ricordarci quanto siamo fortunati ad avere un mondo tutto nostro.

[1] https://www.engadget.com/nasa-artemis-program-explained-moon-mars-colonization-video-143013129.html
[2] https://www.nasa.gov/what-is-artemis
[3] https://www.nasa.gov/centers/marshall/artemis.html
[4] https://www.bbc.com/future/article/20230317-the-epic-quest-to-build-a-permanent-moon-base
[5] https://www.nasa.gov/gateway/overview
[6] https://www.bbc.com/future/article/20230317-the-epic-quest-to-build-a-permanent-moon-base
[7] https://www.engadget.com/nasa-artemis-program-explained-moon-mars-colonization-video-143013129.html
[8] https://www.humanmars.net/2021/01/steel-factory-on-mars-by-dmitry-ustinov.html
[9] https://www.nasa.gov/gateway/overview
[10] https://www.dailysabah.com/life/science/colonizing-the-moon-nasas-plans-for-lunar-base-under-artemis
[11] https://www.lockheedmartin.com/en-us/news/features/2022/bursting-the-bubble-with-inflatable-habitats.html
[12] https://arc.aiaa.org/doi/10.2514/6.2007-345
[13] https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S027311772100805X
[14] https://interestingengineering.com/innovation/space-cement-is-here-how-it-could-be-used-to-build-houses-on-mars-and-the-moon
[15] https://www.degruyter.com/document/doi/10.1515/eng-2022-0390/html
[16] https://www.manchester.ac.uk/discover/news/scientists-develop-a-cosmic-concrete-that-is-twice-as-strong-as-regular-concrete/
[17] https://www.lockheedmartin.com/en-us/news/features/2022/bursting-the-bubble-with-inflatable-habitats.html
[18] https://www.engadget.com/nasa-artemis-program-explained-moon-mars-colonization-video-143013129.html
[19] https://www.dailysabah.com/life/science/colonizing-the-moon-nasas-plans-for-lunar-base-under-artemis
[20] https://redwirespace.com/newsroom/redwires-roll-out-solar-arrays-to-enable-lunar-power-infrastructure-for-astrobotic-vsat-program/
[21] https://hi-news.ru/technology/kak-dobyvayut-kislorod-v-kosmose.html
[22] https://www.skyatnightmagazine.com/space-science/how-long-does-take-get-space
[23] https://www.nasa.gov/feature/top-five-technologies-needed-for-a-spacecraft-to-survive-deep-space
[24] https://www.jpl.nasa.gov/news/nasas-perseverance-mars-rover-extracts-first-oxygen-from-red-planet
[25] https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0094576520301168?via%3Dihub
[26] https://www.space.com/perseverance-mars-rover-ends-moxie-oxygen-experiment
[27] https://oxeonenergy.com/moxie
[28] https://spacesettlementprogress.com/tag/isru/
[29] https://spacesettlementprogress.com/tag/isru/
[30] https://www.nature.com/articles/s41467-023-38676-2#Sec2
[31] https://www.space.com/chandrayaan-3-moon-south-pole-why-nasa-wants-to-go-too
[32] https://www.youtube.com/watch?v=qYW4rTrAA5I
[33] https://3dnews.ru/1084128/otkritie-kitayskih-uchyonih-dayot-nadegdu-na-dostup-k-sotnyam-milliardov-tonn-vodi-na-lune

https://www.nature.com/articles/s41561-023-01159-6#Sec6
[34] https://www.asc-csa.gc.ca/eng/astronomy/moon-exploration/viper-rover-mapping-water-ice-on-moon.asp
[35] https://www.space.com/viper-nasa-moon-rover-launch-delayed-2023.html
[36] https://nerdist.com/article/nasas-viper-rover-will-look-for-water-on-the-moon-south-pole-nobile-crater-interview/
[37] https://ec.europa.eu/research-and-innovation/en/horizon-magazine/food-and-water-systems-astronauts-will-need-travel-places-mars
[38] https://blogs.esa.int/exploration/spaceship-eac-recycling-water-on-the-moon/
[39] https://link.springer.com/article/10.1007/s12567-020-00318-4#Sec6
[40] https://www.dire.it/23-02-2021/606155-il-basilico-ora-cresce-anche-nello-spazio-e-germogliato-sulla-stazione-spaziale-internazionale/
[41] https://www.engadget.com/2019-07-19-nasa-astronaut-health-deep-space-missions.html
[42] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10063669/
[43] https://mashable.com/article/scott-kelly-record-broken-space-station
[44] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4206847/ ; https://sitn.hms.harvard.edu/flash/2013/space-human-body/
[45] https://universemagazine.com/ru/pochemu-cheloveku-budet-tyazhelo-na-lune-fiziologicheskie-problemy-vnezemnoj-zhizni/
[46] https://universemagazine.com/ru/pochemu-cheloveku-budet-tyazhelo-na-lune-fiziologicheskie-problemy-vnezemnoj-zhizni/
[47] https://history.nasa.gov/SP-368/s2ch3.htm
[48] https://link.springer.com/article/10.1007/s11214-020-00725-3
[49] https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0094576523003727
[50] https://www.smithsonianmag.com/science-nature/how-space-radiation-threatens-lunar-exploration-180981415/
[51] https://www.iop.org/explore-physics/moon/how-could-we-live-on-the-moon#gref
[52] https://www.nasa.gov/centers/marshall/news/lunar/overview.html
[53] https://universemagazine.com/ru/pochemu-cheloveku-budet-tyazhelo-na-lune-fiziologicheskie-problemy-vnezemnoj-zhizni/
[54] https://universemagazine.com/ru/lunnaya-pyl-s-apollo-11-za-400-tysyach-dollarov-obladaet-otvratitelnym-sekretom/
[55] https://www.esa.int/Space_in_Member_States/Italy/ESA_testa_la_stampa_in_3D_per_costruire_una_base_lunare_con_l_aiuto_di_una_tecnologia_italiana
[56] https://www.wionews.com/india-news/how-will-communication-link-between-chandrrayaan-2-orbiter-and-chandrayaan-3-lander-help-isro-627585
[57] https://www.techinsider.ru/technologies/1567219-skolko-vremeni-letet-do-luny-v-budushchem-vam-prigoditsya-eto-znanie/
[58] https://mapgroup.com.ua/articles/bezgranichnyj-kosmos/775-rasstoyanie-ot-zemli-do-marsa-skolko-vremeni-letet-do-marsa
[59] https://www.space.com/24701-how-long-does-it-take-to-get-to-mars.html
[60] https://www.engadget.com/2019-07-19-nasa-astronaut-health-deep-space-missions.html
[61] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10063669/
[62] https://www.nasa.gov/feature/top-five-technologies-needed-for-a-spacecraft-to-survive-deep-space

TAG: Agenzia spaziale europea, celle solari, luna, M'Arte, Moxie, NASA, Perseverance, rover spaziali
CAT: America, Scienze Naturali

Un commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

  1. andrea-lenzi 7 mesi fa

    Non sarebbe il caso di riuscire a creare zone abitabili in un deserto qui sulla terra, prima di avventurarsi in colonizzazioni così esotiche?

    Rispondi 0 0
CARICAMENTO...