USA vs Cina: 50 sfumature di guerra commerciale

10 Luglio 2019

Lo scorso 4 giugno, il governo cinese ha pubblicato un avviso per i cittadini cinesi che visitano gli Stati Uniti, facendo riferimento al deterioramento situazione della sicurezza pubblica e a frequenti episodi di rapina, furto e aggressione armata.

Contestualmente il Ministero degli Esteri ha emesso un avviso agli studenti cinesi negli Stati Uniti, avvertendo di possibili trattamenti discriminatori da parte delle autorità per l’immigrazione degli Stati Uniti e incoraggiandoli a contattare l’ambasciata cinese in caso di emergenza.

La Cina ha iniziato a scoraggiare i viaggi verso gli Stati Uniti nel Giugno 2018, dopo che il 29 Maggio la Casa Bianca aveva annunciato l’imposizione di dazi del 25% su 50 miliardi di dollari di merci provenienti dalla Cina. Il risultato è stato che nello stesso anno il numero di visitatori cinesi negli Stati Uniti è diminuito del 5,7%, il primo calo dal 2003. Con le tensioni commerciali che continuano a salire, la Cina probabilmente manterrà questo genere di pressione.

Per quanto gli Stati Uniti non siano immuni da tensioni sociali ed episodi di violenza, il quadro disegnato dalle autorità cinesi è quanto meno esagerato. Ovviamente la Cina non ha mai esplicitamente confermato l’impressione che l’emissione degli avvisi di viaggio sugli Stati Uniti abbia una motivazione politica. Guardando, però, alla successione causa effetto di alcuni episodi simili in Cina, si capisce che la mossa è parte della guerra commerciale tra i due colossi, una mossa lecita che aggira la regole del WTO.

Le relazioni tra la Cina e la Corea del Sud si sono inasprite nel 2017 dopo il dispiegamento di un sistema di difesa missilistica statunitense nella penisola coreana. Nello stesso anno, il numero di turisti cinesi in visita in Corea del Sud è crollato del 48,3% rispetto all’anno precedente. Ulteriori misure di ritorsione includevano un certo grado di censura e alcuni divieti sui film e le serie tv coreane, e sul K-Pop, un genere tipicamente coreano di musica pop che spopola tra i giovani di tutto l’estremo oriente .

Le imprese sudcoreane hanno sofferto i colpi di questo boicottaggio un po’ più che culturale. Nello stesso periodo le vendite di Hyundai in Cina sono diminuite del 31,3% rispetto all’anno 2017. E la quota di mercato degli smartphone Samsung è scesa dall’8% circa nel 2015 a meno dell’1% nel 2018.

Indipendentemente dalla portata dell’impatto, stabilire limiti alle importazioni da paesi specifici potrebbe violare i principi di non discriminazione e di leale concorrenza del WTO. Nel caso della Corea del Sud, tuttavia, il governo cinese è riuscito a rimanere con le mani pulite. Ai clienti cinesi veniva semplicemente detto che i telefoni Samsung erano esauriti e che in alternativa potevano di acquistare un telefono cinese. Il governo cinese, quando interpellato, ha riferito che si è trattato di iniziative private senza alcun intento sistemico di discriminazione.

Anche il Giappone ha dovuto fare esperienza di situazioni simili nel suo rapporto con Pechino. Nel 2012, i viaggi di turisti cinesi verso Giappone sono crollati poco dopo l’acuirsi delle tensioni tra i due paesi sulle Isole Senkaku o Diayou, come le chiama la Cina.

Secondo fonti del settore turistico giapponese, le agenzie di viaggio cinesi hanno ricevuto istruzioni per ridurre il volume dei viaggi di gruppo in Giappone e di rimborsare interamente coloro che decidevano di cancellare i propri viaggi. La campagna, che è stata progettata per far sembrare che l’ordine provenisse dai governi locali e da un generale senso di indignazione della popolazione, piuttosto che dal partito a Pechino, ha dato non poche grane all’industria del turismo giapponese.

Alcuni osservatori ritengono che gli Stati Uniti potrebbero subire un trattamento simile. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping hanno concordato di riavviare i negoziati commerciali nel corso di una riunione a margine dell’incontro del G20 a Osaka, ma un accordo effettivo rimane lontano. Se i colloqui dovessero trovare degli ostacoli, Trump potrebbe tornare al suo strumento preferito, esigendo maggiori dazi e Pechino potrebbe sentirsi obbligata a rispondere.

Ma dal momento che gli Stati Uniti vendono relativamente pochi prodotti di largo consumo in Cina, il vero colpo cinese potrebbe consistere in un ventaglio di azioni, tra queste, il calo, orchestrato, del numero di turisti e di coloro che viaggiano per business o studio.

Un recente rapporto del Wall Street Journal ha sostenuto che l’impatto di un boicottaggio cinese non danneggerebbe il settore turistico americano in maniera consistente, dal momento che i cinesi costituiscono meno del 4% dei viaggiatori stranieri negli USA nel 2018. Il rapporto però mette in guardia sul fatto che alcuni marchi di fascia premium, amati dai cinesi più alto spendenti, potrebbero essere colpiti duramente, insieme ad alcuni college e università che fanno molto affidamento sulle alte tasse pagate dagli studenti stranieri, che, praticamente, sostengono il sistema delle borse di studio per gli americani meno abbienti.

Il peso del settore dei servizi è sempre più rilevante nelle economie sviluppate dell’occidente e turismo e istruzione possono essere chiavi importanti per aggredire la bilancia commerciale. Secondo la Banca d’Italia, il settore del turismo ha contribuito nel 2017 al 2,3% del PIL italiano, e se d’un tratto i turisti cinesi decidessero di boicottare l’Italia, sarebbero a rischio circa 200 milioni di euro per il nostro Sistema Paese. Chiaramente il turismo cinese in Italia non è il segmento più importante del settore, ma se gli studenti cinesi decidessero di non iscriversi più nelle scuole e nelle università australiane, l’impatto sarebbe molto maggiore. Sono 100.000 gli studenti cinesi in Australia e l’istruzione è il terzo più importante bene/servizio che Sidney esporta verso Pechino.

Sebbene la Cina abbia ufficialmente aderito al sistema capitalista, lo stato continua ancora ad avere un peso determinante in economia. E’ la mano del partito che il larga misura da le carte, non la mano di Adam Smith. Una guerra commerciale mondiale come quella che potrebbe generare l’escalation delle schermaglie sino-americane non converrebbe a nessuno, soprattutto agli Stati Uniti che si troverebbero a fronteggiare un nemico con meno regole da rispettare e una governance molto più radicata e forte. In questo senso, la terza via europea, che consiste nello scrivere i golden standard del commercio mondiale con chi, di volta in volta, decide di starci, può essere molto più fruttuosa nell’intento di creare una massa critica di paesi e mercati tra cui si commercia equamente e liberamente.

TAG: Australia, Cina, commercio internazionale, Corea del Sud, Donald Trump, Giappone, guerra commerciale, guerra dei dazi, Unione europea, usa, WTO, Xi Jinping
CAT: Asia, commercio internazionale

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