Ieri eversori di destra, oggi eversori di sinistra: opposto estremismo?
Risvegli sinistri con roboanti visioni ci regalano un autunno/inverno anacronistico, laddove destra e sinistra sembrano improvvisamente tornate due categorie dell’animo umano. In maniera forte e connotata -s’intende- e rabbiosa come l’inconscio del cittadino spaesato, ormai da troppo tempo ridotto a sperare negli auspici del solstizio d’inverno ricevendo poi briciole in quello d’estate.
Ieri la notizia dei quattordici arresti nell’universo ordinovista, crasi pericolosa e riferimento ombroso a quell’età in cui la vita democratica aveva assai poco valore per tutti, dal giudice nel mirino dell’eversione al passante vittima del proiettile impazzito, dalla bomba stragista al militante di lotta armata torturato in carcere.
Secondo l’inchiesta Aquila Nera quattordici “terroristi neri” tramavano attentati alle istituzioni, almeno così dicono, e sembrano incastrarsi –seppur per ora alla lontana- con il grande filone romano della mafia/non mafia capitale, tema caduto un po’ in disgrazia nelle ultimissime ore dopo aver occupato per giorni larghi spazi su colonnati da prima pagina e conciliaboli televisivi.
Eppure a unire i puntini sembra che quel sapore ‘naftato’ d’armadio torni a farsi sentire. Ne avevamo parlato qui su Gli Stati Generali in tempi non sospetti, d’altronde: già dagli angeli del fango, bamboccioni rincoglioniti d’improvviso trasformatisi in bella gioventù qualche segnale di amarcord faceva timido capolino. Il parallelismo con la nomenclatura usata per l’alluvione del 1966 –e mai rispolverata da allora, nonostante questo paese conti due/tre alluvioni all’anno- ci aveva fatto pensare a dei corsi e ricorsi, inserito com’è in un contesto sociale frammentato, diviso, arrabbiato, disilluso e irritabile.
I fatti si rincorrono, e nelle ultime ore dalla nebbia della stazione Santa Viola di Bologna emerge anche la matrice di sinistra che sabota le linee ferroviarie dell’AV. D’improvviso cadiamo in una canzone di Guccini tra Bologna, treni e anarchici, con quei No Tav subito inquadrati come responsabili dalle istituzioni, e con Lupi che parla di terrorismo come se avesse già la bussola per capire da che parte tira il vento.
Ecco dunque che la teoria degli opposti estremismi ritorna in auge: da un lato lo Stato che manganella, reprime, affama, promette e non mantiene. Dall’altro le trincee da prima linea che si staccano dal contesto ‘civile’ e remissivo per montare il conflitto. I centri sociali che ‘tafferugliano’ ovunque, da Salvini al campo Rom –sempre a Bologna- alla prima della Scala a Milano, e poi al Giambellino, e Roma, dove non si registrava una manganellata a un operaio da più di trentacinque anni. Gli estremisti di destra che –da buona tradizione- si dividono in villetta bifamiliare con piani ufficialmente non comunicanti, il piano terra con giardino dei destrorsi radunatisi a Milano sabato 20 dicembre, e il piano alto con attico sul centro di Roma in cui ci entra anche la banda dei quattordici colonnelli di monicelliana memoria arrestati ieri.
Per ora viaggiamo nel mondo dei segnali, perché nessuno scontro politico è divampato in maniera furente, e nessuna tragedia dal sapore antico ha macchiato il nostro buonsenso democratico, anche se, come diceva Edmund Burke nelle sue “Riflessioni sulla Rivoluzione Francese”, scritto nel 1790,
«Per il fatto che una mezza dozzina di grilli sotto una siepe fanno risuonare il campo del loro strepito inopportuno, […] non figuratevi che quelli che fanno tanto rumore siano i soli abitanti del campo».
Interessante è poi capire se questa voglia di eversione che di solito nasce da un immobilismo ignavo ma ancestralmente centrista consegna alla storia recente e futura di questo paese un Pd nato come centro sinistra e divenuto un maxi-contenitore di cerchiobottismo oltranzista che l’ha trasformato in una sorta di partito unico nazionale, a rinforzare –non tanto bene, per giunta- il Detto centrista che ha traghettato questo paese dalle macerie alla palude, passando però almeno per l’età dell’oro.
Intanto della teoria degli opposti estremismi non se ne parla in tivù e sui giornali, ma si approfondisce soprattutto sul web, tra una battuta contro Renzi e un live di Joe Cocker a Woodstock nel 1969. Un anno dopo -25 maggio 1970- da un altro tipo di palcoscenico come quello di Tribuna Elettorale, il segretario del Movimento Sociale Giorgio Almirante, parlando degli opposti estremismi e delle reazioni in ambito governativo, così dichiarava:
«a questo punto credo che le posizioni intermedie non contano più, non pesano più. Bisogna prender atto che c’è un vuoto di potere al centro, bisogna prendere atto che c’è un vuoto di potere a livello politico, purtroppo anche a livello sociale, e potremmo dire anche a livello civile, e di costume».
La puntata era appunto dedicata agli opposti estremismi e al dilagante aumento di quel fenomeno che poi avrebbe trascinato il paese in una spirale molto aspra nel decennio seguente. Almirante nell’occasione inquadrava la destra come naturale risposta al “dilagante estremismo di sinistra”, ma credo sia opportuno scremare il discorso da logiche propagandistiche: la risposta segue sempre alla botta, ma in molti casi la botta potrebbe essere una risposta a qualche altra ‘botta’. L’effetto è tipo domino, i colori e le posizioni antitetiche ma allo stesso tempo perfettamente complementari, anzi oseremmo dire addirittura sostituibili, se si volesse inquadrare la questione sul punto di vista geometrico.
Come Lando Chiarini che dalle pagine online del Secolo d’Italia accusa il Corriere della Sera di prestare molta più attenzione ai quattordici sovversivi neri, i cui toni a detta di Chiarini «sembrano attagliarsi più alla commedia che alla tragedia» mentre sullo stesso Corriere a detta di Chiarini si dedicano «due fitte paginate compresa l’intervista a Carlo Smuraglia, presidente Anpi nonché del Comitato permanente antifascista» invece di approfondire su quelli che sabotano i binari a Bologna, ormai accertati estremisti di sinistra. Chiarinisi chiede se stiano tornando gli anni di piombo, noi de Gli Stati Generali ce lo chiedevamo già quaranta giorni fa, e qualcun altro con noi, come il Presidente Napolitano.
Scrive infatti Aldo Funicelli, il 5 novembre, su Agora Vox Italia:
«Non mi convince del tutto l’ultimo messaggio del presidente Napolitano: mi sembra di risentire le vecchie teorie sugli opposti estremismi. Per cui bisognava stare attenti sia all’estrema destra che all’estrema sinistra e tenere la barra ferma al centro. Che poi è significato sterilizzare per 40 anni il rinnovamento politico».
Noi però siamo stufi di deprimerci ad analizzare la sterilità, quindi saltiamo non quarant’anni ma 44 e torniamo alla citazione di Almirante: quel che colpisce di più è l’accento sul vuoto di potere, un concetto che noi difficilmente affibbiamo ai decenni passati di solito inquadrati come teatri di fucine talentuose e rette dal punto di vista politico, in impietoso paragone con la classe dirigente odierna, che poi sarebbe il frutto della sterilità, in un inquietante ossimoro.
Per carità, nessuna voglia di rivivere quegli anni il cui alone mitico sta cadendo anno dopo anno come una carta da parati in una vecchia casa ormai disabitata da tempo, anche se da un punto di vista spirituale –e solo spirituale- forse non farebbe male. Quel che c’è da dire però è che ci ritroviamo sorpresi –non troppo, ma un po’- ad appurare che anche nel 1970 si parlava di vuoto di potere come humus fertile per scontri sociali. Alziamo gli occhi, ci guardiamo intorno, e intuiamo il profumo di un meccanismo consequenziale che ci accompagna da una vita. Uno dei tanti, che giocano a correre, a rincorrersi, a sparire.
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