E se la memoria stesse vacillando?

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24 Ottobre 2017

Una scena del film “La vita è bella” di Roberto Benigni, vincitore di tre premi Oscar nel 1999, rappresenta un dialogo tra il protagonista e lo zio, dopo che un gruppo di fascisti (il film lascia intendere così) ha dipinto il loro cavallo di verde, scrivendovi sopra ”Achtung, cavallo ebreo”. Nel corso della discussione, durante la quale il personaggio interpretato da Benigni, per rincuorare il parente, battezza l’accaduto come una bravata, lo zio interviene ammonendo il nipote dicendo: “Non l’hanno fatto per, ma l’hanno fatto PER. Ti ci dovrai abituare Guido, cominceranno pure con te!”

Ebbene, il giorno dopo l’apparizione di diversi adesivi con la foto di Anna Frank, rappresentata con la maglietta della Roma, sui muri di una delle due curve dello Stadio Olimpico, molti italiani si sono trovati a immedesimarsi nel personaggio di Guido Orefice, minimizzando l’accaduto, nonostante il protagonista de “La vita è bella” in realtà ridimensionasse il fatto al solo scopo di tranquillizzare lo zio. Su social network, blog e siti di informazione in molti hanno definito le immagini come una bravata, come un semplice sfottò nel goliardico contesto di prese in giro reciproche che contraddistingue la rivalità tra due squadre di calcio, specie se della medesima città.

La realtà però è tutt’altra. Si rischia, attraverso l’uso ingiustificato della giustificazione (mi si permetta il gioco di parole), di banalizzare lo sterminio sistematico di sei milioni di persone, rispetto al quale non c’è proprio nulla da minimizzare. Sembra addirittura che il più grande incubo di Primo Levi, la perdita della memoria, si stia a poco a poco materializzando.

Ormai sono passati più di settant’anni da quel 27 gennaio del 1945, quando le truppe sovietiche, entrando nel campo di concentramento di Auschwitz, si trovarono di fronte a scene inimmaginabili, a una vera e propria realtà così crudele e inumana da non poter essere descritta. I sopravvissuti ai lager purtroppo diventano sempre più anziani e nel giro di qualche decennio non saranno più in grado di testimoniare personalmente la terribile esperienza dei campi di sterminio. Che fare dunque? Il tempo porterà via con sé anche la memoria? Come ricordare quanto è successo, trasmetterlo alle nuove generazioni, ma soprattutto non banalizzarlo?

La risposta sembrerebbe essere più semplice del previsto, ma anch’essa banalizzata. Esistono i campi di concentramento, testimoni delle atrocità che i nazisti vi compirono all’interno, esistono disseminati in tutta Europa diversi musei della Shoah e della deportazione ed esiste una nutrita letteratura di autori che vissero il dramma in prima persona. Tutto ciò è estremamente utile, ma potrebbe non bastare. È necessario, pertanto, un serio impegno civile, che coinvolga le diverse anime della società, dalla scuola alle famiglie, dallo sport all’informazione, che permetta di tenere sempre viva la memoria di quanto è accaduto, al fine di non cadere nella trappola della banalizzazione di atti offensivi nei confronti dello sterminio, o nella nemesi della memoria stessa, il negazionismo. È compito nostro, cittadini di inizio terzo millennio, insegnare ai nostri figli che il nome di Anna Frank  non deve essere infangato, perché è proprio grazie al diario lasciatoci da quella ragazzina se ora sappiamo quanto è profondo l’abisso, e sta a noi non sprofondarci nuovamente.

TAG:
CAT: discriminazioni, Storia

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