Lo scacchiere petrolifero mediterraneo da Enrico Mattei al conflitto in Ucraina

26 Aprile 2022

Stavamo meglio quando stavamo peggio? 

A sessant’anni dalla scomparsa di Enrico Mattei

Settanta giorni di guerra in Ucraina sono la cartina di tornasole che i conflitti bellici degli ultimi decenni hanno tutti la cifra del petrolio. Con fasi successive e subentranti: Prima Guerra del Golfo accaparramento (1991-1994); Seconda Guerra del Golfo -fino all’Amministrazione Obama- trasferimento dell’oil con la costruzione dei gasdotti Nabucco e South Stream; la cosidetta “primavera” araba, morte di Gheddafi e fine del South Stream; inizio del conflitto ucraino per le quote di passaggio del petrolio eurasiatico (2014) e di cui il mondo, e l’Europa in particolare, si accorsero quando, il 27 luglio 2014, fu abbattuto il volo MH 17 da un missile Buk, verosimilmente attivato dai separatisti filo-russi con la complicità della Russia putiniana.

Il millennio è allora iniziato come un Giano Bifronte tra la transizione ecologica del mondo occidentale e le guerre per l’energia. Una sorta di ultimo colpo di coda dei Paesi che non hanno nessun interesse alla riconversione, Russia, Cina, India. La prima perché ha un’unica riserva commerciale (gas e petrolio) e perchè ha puntato tutte le sue risorse sullo sviluppo Eurasiatico, a partire dal trattato di cooperazione economica e militare (CSTO, 2002). Le altre due perché devono tenere altissima la produzione industriale con tutte le riserve energetiche disponibili, compreso il carbone di cui Russia e Cina detengono il primato produttivo (390 e 3.400 milioni di tonnellate/anno rispettivamente). In quest’ottica di riesumazione del mercato del carbone, spicca anche l’Ucraina con i suoi 50 mln tonn. Senza considerare che la quantità impressionante dei numeri demografici offre altro spunto di discussione. 2.7 miliardi di cittadini – un terzo della popolazione mondiale in fase di invecchiamento e con l’alea che l’espansione del mercato possa arrestarsi- sono elementi bastevoli per far sì che il baricentro dei mercati si sposti definitivamente nell’est asiatico.

Mentre il cosidetto occidente è alla prese con la scelta strategica delle riconversione industriale, pur mancando di forza progettuale e risorse definite, la politica russa è tutta proiettata verso il mar Mediterraneo con una strategia militare che sembra figlia di scelte talmente obbligate da sembrare quasi suicide. Talchè più che una “guerra del gas”, pare si stia consumando una guerra del carbone per la pervicace idea putiniana di non mollare Luhangks e Donetsk, le aree minerarie più ricche.

Sic stantibus rebus, il flash back ci riporta a quello che sembra un lontano passato, quando sessanta anni addietro, il 27 novembre 1962, sul cielo di Bascapè, piccolo borgo tra Milano e Pavia, si abbattè il Morane Saulnier di Enrico Mattei, presidente dell’ENI. C’è un sottile filo che unisce gli eventi di ieri e quelli odierni, una immaginifica comparazione tra due attori, uno Servitore del suo Paese, ucciso perché tale e l’altro, il Presidente russo, artefice di un conflitto le cui motivazioni sono strettamente connesse alle forniture energetiche e a interessi correlati, non solo pubblici?

L’Italia di Mattei non godeva di giacimenti immensi come la Russia di oggi, eppure i prezzi al dettaglio erano tra i più bassi possibili. Putin ha, invece, imposto all’Europa i prezzi più alti modificando al rialzo il mercato, con ripercussioni politiche tali da mortificare lo sviluppo europeo, evocare la saldatura di Visĕgrad, scomporre l’unità dell’UE che acquista tre velocità, l’Europa Classica (Germania, Francia, Belgio, Olanda), i paesi ex sovietici riuniti a Visĕgrad, e le nazioni mediterranee (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia).

Mattei agì per servire il suo Paese e il suo disinteresse è tuttora da esaltare, Putin si serve del suo Paese avendo come strumento una rete oligarchica, priva di scrupoli, il cosiddetto mondo degli affari.

Il Presidente dell’ENI non aveva dietro di sé un sistema militare eppure fu capace di vivificare le tendenze indipendentiste dei paesi nord-africani post-coloniali; Putin usa le armi per imporre il suo “ordine post-sovietico” politico-finanziario legato al mercato dell’energia.

Ecco la chiave di lettura di questo libro, non riducibile solo alla mera commemorazione di un anniversario. Una evidente comparazione tra un Uomo di Stato e un Governante-Dominante.

Allora nasce spontanea una domanda semplice che si traduce in un futuribile: che ruolo avrebbe oggi l’Italia se ci fosse un Mattei a governare la politica energetica e (quindi) industriale del Paese? Of course, nessuna risposta è possibile. Quando eravamo davvero poveri, senza approvvigionamenti o commodities, Mattei trovò petrolio e gas ai prezzi più bassi mentre noi oggi combattiamo con il solito refrain della dicotomia tra prezzi sempre più alti al dettaglio anche in assenza di rincari del petrolio WTI o Brent alla fonte produttiva (fenomeno presente per il biennio 2016-2018).

Chi era Mattei? Quando se ne parla o se ne scrive, la difficoltà inizia dalla sua definizione. Un capitano d’Industria, della serie razza padrona alla Scalfari? Un magnate del petrolio? Un politico in veste d’imprenditore, sia pure statale? Nulla di tutto questo. Era più facile definire quello che Mattei non era piuttosto che il reciproco. Come si leggerà in appresso, il problema sorse all’esordio dell’incontro con Aleksey Nikolayevich Kosygin, nel 1960 primo vicepresidente del Consiglio dei ministri dell’URSS. Tanto che alla fine Mattei disse: “…beh, se non troviamo una definizione che vada bene, mi chiami pure Enrico…”.

Mattei era un Gigante come Uomo, per le sue capacità umane, per la sua arte nel convincere l’interlocutore, per il suo piglio determinato, per la sua capacità di esporsi sempre in prima persona. Chi come Martin Holland, della Shell, lo definiva Oil Sales Man (venditore di petrolio), in contrapposizione a Oil Man (petroliere) si sbagliava di grosso perché non lo conosceva.

In un’intervista disse che il suo lavoro all’ENI era un hobby, il suo vero lavoro era la pesca del salmone. Che risale i fiumi controcorrente e sa, per questo, di essere facile preda. La metafora del gattino che illuminava la sua idea di ENI, piccolo, coraggioso e controcorrente e contro tutti, la dice lunga sul suo pensiero, sul suo modo di agire e apre uno spiraglio di grande umanità che pochi assegnarono a Mattei.

Ben prima di Adriano Olivetti, intuì il ruolo di coprotagonisti dei suoi collaboratori, molti dei quali assursero a capitani d’Industria e come conferire le “coccole sociali” ai suoi dipendenti. La costruzione di Metanopoli, la Città del Sole dei suoi iniziali 10 mila operai, delle loro famiglie e dei loro bimbi, i centri estivi del Cadore e di Ravenna, le colonie per i “figli dell’ENI” ci consegnano lo spaccato di un animo che, come spesso succede ai grandi Uomini, mal si concilia con l’attività determinata e talora anche arrogante in politica. In questo ambito, si svela il carattere partigiano che si espresse non solo contro il nazifascismo ma contro le iniquità che molti popoli subirono e continuarono a patire per il colonialismo surrettizio e imperante. Quanto sopra ci consegna il quadro di un vero Uomo di Stato, ben diverso dal Gran Commis che esegue diligentemente. Mattei scelse strade impervie, decise da solo ma trascinò un’intera generazione verso lo sviluppo.

Che poi questo sviluppo si sia rivelato ambiguo, pieno di risvolti negativi, non è certo dipeso da lui ma da chi ha saputo interpretare il concetto di sviluppo industriale con il progresso. La seconda e terza rivoluzione industriale, quelle che hanno caratterizzato il secolo XX e di cui Mattei fu protagonista, hanno posto le basi per un inquinamento che ancora ci perseguita. Talmente condizionante da evocare il termine “decrescita felice”. Sembra un’antitesi allo sviluppo ma in realtà si oppone all’involuzione della società post-industriale e post-moderna, esprime una critica ragionata e ragionevole alle assurdità di un’economia fondata sulla crescita della produzione di merci e dei consumi, si caratterizza come alternativa radicale al suo sistema di valori.

Dunque, almeno nella sua definizione, decrescita non è in contrapposizione con il concetto di “sviluppo” allorchè questo non sia dipendente dal fabbisogno energetico onnivoro. Come afferma Alessandro Barbano “non è un passo indietro, piuttosto un disallineamento dello sviluppo dal fabbisogno energetico, ossia crescere consumando meno”.

Tutto sembra riportarci a Jobs “ Stay hungry, stay foolish” la cui traduzione sta nella frase di questi “Tutto quello in cui inciampai semplicemente seguendo la mia curiosità e il mio intuito”. Sembra quasi che Jobs abbia ricalcato le orme di quel giovane che, per sbarcare il lunario, lavorava in una piccola officina di vernici, cosa che poi gli tornerà utile quando dovrà approntare un Piano nazionale per la Petrolchimica. Mattei da giovane seguì percorsi alternati e alternativi. Forse fu la guerra che gli diede l’impulso maggiore quando decise di imbracciare un fucile per usarlo contro i nazifascisti. E quando si trovò una notte in mezzo agli sconosciuti incartamenti dell’AGIP a Milano, trovò l’unica cosa intelligente da fare, chiamare il suo predecessore e volerlo con sé come mosca nocchiera, almeno finchè non avesse imparato il mestiere. La pesantezza del successo della Liberazione era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, parole, in parte mutuate da Steve Jobs, che calzano perfettamente a un Mattei che debuttava ogni volta che prendeva un aereo e andava incontro a uno sconosciuto Premier, ad un ignoto Paese, con la leggerezza di chi sa di essere dotato non di una Laurea in Ingegneria Mineraria ma di una passione travolgente che aveva due obiettivi, risanare il suo Paese e gratificare chi lavorava con lui semplicemente perché ci credeva.

 

 

Folli o visionari? Uomini come Mattei, Olivetti e Jobs hanno anticipato i tempi, sfidato il comune sentire, sono a buon diritto visionari nell’accezione lessicale più pura. Lo sono stati perche hanno intravisto il futuro. Mattei ha creduto nella ricerca del petrolio perché aveva osservato che il mondo del XX secolo, dopo la guerra, correva verso uno sviluppo industriale inarrestabile. E lui ci ha creduto. Ha identificato lo sviluppo industriale con lo sviluppo del Paese e in quell’epoca storica, dopo le macerie della guerra, non c’erano soluzioni altre. Oggi correrebbe verso le rinnovabili, anzi le avrebbe già sviluppate. Olivetti ha inventato il primo computer portatile, il P101, poi sviluppato e venduto alla IBM americana. Jobs ci ha traghettati al XXI secolo fatto di connessioni mediatiche. Hanno precorso i tempi e dunque visionari. Quel pizzico di follia benedetta, che è il sapore della ricerca, tecnologica e scientifica, arricchisce l’aggettivazione visionaria di unicità assoluta.

Non rievocheremo in questo pamphlet le vicende collegate alla sua morte non certo accidentale, non ci compete discettare sulle inchieste che seguirono. Vogliamo lasciare una traccia di memoria su un Uomo del quale pochi hanno cercato di capirne e carpirne le molle, le spinte interiori che lo inducevano ad agire per come ha agito. Ha vissuto intensamente alla ricerca di approdi ignoti e da esplorare quando poteva adagiarsi comodamente su una poltrona da gran commis o da deputato o ministro. Oggi sarebbe inconcepibile che nella sua posizione politica e di potere non si venisse gratificati economicamente. Non cercò il denaro e neanche il potere mentre fu animato dalla spasmodica voglia di poter fare qualcosa per il suo Paese. Tra potere e poter fare passa un sottile crinale distintivo come quello tra autorità ed autorevolezza.

Nel mondo odierno in cui eccellere, spumeggiare e avere idee è considerata iniqua non condivisione dell’omologazione piatta e imperante, non troviamo quei giganti che, negli anni di dopoguerra, hanno liberato energie represse e conferito alla società elementi valoriali d’eccezione, che hanno segnato il cammino fino ad oggi. Lo ricorderemo alle generazioni future non solo per quello che ci ha dato ma per quello che gli è stato impedito di darci.

Un esempio è costituito dal possibile contributo su una tematica che trae origini proprio dagli anni cinquanta dello scorso secolo, il ruolo dello Stato nell’economia. Dall’ENI e poi dall’ENEL (1962) nascono le partecipazioni statali, tanto vituperate perché fonti di corruttele e operazioni sempre più opache. Ma il concetto era corretto: lo Stato nell’Economia di mercato doveva esercitare il controllo ed evitare le speculazioni proprie del neoliberismo selvaggio e quindi, secondo i canoni della economia neoclassica, correggere le distorsioni o i fallimenti del mercato con una politica economica calmieratrice e riequilibratrice tra domanda e offerta. Mattei lo teorizza nel discorso tenuto a Mosca il 9 dicembre 1958 (volume Scritti e Discorsi di Enrico Mattei, a cura dell’ENI, 2012, pag. 623-625, Archivio ENI).

Tuto quanto sopra non è la solita, scontata rievocazione. In chiave attuale sono in challenge due diverse concezioni di politica pubblica in tema di energia. Come si scriveva all’inizio…” Una evidente comparazione tra un Uomo di Stato e un Governante-Dominante”… In chiave futura la ricerca di uomini o dirigenti che possano recepire il concetto più sano dello Stato in economia e tradurre in pubblica utilità l’azione di Governo.

Sintesi del Volume “Enrico Mattei, il visionario” edito da Agora&CO, La Spezia, Lugano, 2022, a cura di Aldo Ferrara con Prefazione di Leonardo Agueci, già Procuratore della Repubblica Aggiunto. Tribunale di Palermo

TAG: eni, enrico mattei, Scacchieri Petroliferi, transizione energetica
CAT: Editoria, energia

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