Perché non andrò a votare al referendum del 17 aprile

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19 Marzo 2016

Spiace dover pisciare sui fuochi sacri di qualcuno, ma trovo davvero deprimente veder sprecato lo strumento referendario in operazioni inutili e demagogiche. Fa specie rilevare come siano proprio i più aggressivi sostenitori del Sì al referendum del 17 aprile – ricordiamo la loro campagna #trivellatuasorella – a dare l’impressione di non aver nemmeno letto il quesito per cui fanno campagna.

Ripetiamolo: la vittoria del Sì non fermerebbe alcuna trivella dall’oggi al domani, ma decreterebbe che, limitatamente agli impianti entro le 12 miglia dalla costa, le concessioni in scadenza non possano più essere rinnovate. Si tratta di 48 piattaforme, di cui 40 di proprietà ENI (cioè pubblica), le quali coprono il 3% circa del fabbisogno nazionale. Le concessioni di una ventina di piattaforme sono già scadute e in attesa di proroga quinquennale, quelle delle altre scadranno tra il 2016 e il 2027.

Ammettiamo, per amor di ragionamento, che il 18 aprile queste piattaforme vengano immediatamente dismesse. Sarebbe davvero un bene? I promotori del Sì ne sono ovviamente convinti al di là di ogni ragionevole dubbio. Non importa che vari importanti promotori della consultazione, tra cui alcuni presidenti di regione, proprio in nome di quel turismo «minacciato dalle trivelle» (in Romagna, di fronte a quest’affermazione non riescono a smettere di ridere) sarebbero pronti a cementificare un altro po’ le proprie coste.

Non importa che l’attività estrattiva nei nostri mari sia meno impattante della pesca o della nautica da diporto, né che il gas naturale rimanga la più sostenibile tra le fonti fossili, e pazienza se le navi gasiere che ci porteranno il metano da altre parti del mondo inquinano più di un metanodotto “a km zero”. Niente di tutto ciò ha la minima importanza per quegli ambientalisti della domenica cui va piuttosto applicato l’adagio «occhio non vede, cuore non duole».

La questione ambientale non è però l’unica in ballo. Gli stessi che oggi cianciano di sovranità nazionale e nel loro variegato pantheon, tra Gianroberto Casaleggio e Sandro Pertini, hanno inserito anche Enrico Mattei, denunciano i “favori ai petrolieri”, dimenticando che ad estrarre il gas dal fondo del mare Adriatico c’è soprattutto ENI, l’ultima azienda pubblica ad essere anche un grande player a livello internazionale – con tutti gli annessi e connessi non sempre piacevoli a livello (geo)politico.

Gli stessi, ben rappresentati dal direttorio grillino, chiedono di tagliare i viveri al terrorismo islamista smettendo di importare petrolio dai paesi del Golfo, ma dicono no alle trivelle sotto casa. Credono così di colpire anche le odiate multinazionali petrolifere, come se, di fronte alle possibilità dei grandi giacimenti in Egitto, Nigeria o Khazakhstan – paesi retti da tiranni in tuta mimetica, senza le nostre severe norme ambientali né i nostri agguerriti comitati nimby – il gas dell’adriatico fosse per loro davvero così vitale.

Di fatto, varie compagnie, tra cui Shellstanno invece abbandonando le prospezioni nei nostri fondali. Onestamente mi sfuggono i vantaggi reali della fine della coltivazione del gas in Adriatico. Per contro, allo Stato italiano resterebbero i costi sociali dei posti di lavoro persi – 10, 100 o 1000 che siano – e gli ammortamenti degli impianti dismessi. Non so come questo possa «stimolare gli investimenti sulle rinnovabili», né mi sono finora imbattuto in un solo argomento convincente in questo senso.

Naturalmente, come ogni persona minimamente assennata, credo si debba limitare quanto più possibile l’uso delle fonti fossili, senza per questo ricadere nell’isteria e nel fanatismo ecologista. Allo stato dei fatti, questo Paese non è poi messo tanto male dal punto di vista delle contromisure per il global warming. La Strategia Europa 2020 ha stabilito come obiettivo di massima per tutti i membri dell’Unione un consumo di energie rinnovabili pari al 20% del fabbisogno nazionale totale. L’Italia, nel 2016 – anche grazie a dieci anni di incentivi fiscali – è già al 38% dei consumi elettrici e per una volta non figura come l’ultimo della classe.

Molto deve essere ancora fatto, non tanto rispetto a come viene prodotta l’energia, ma a come viene distribuita e utilizzata. La transizione verso le rinnovabili sarà ancora lunga e mi riesce difficile credere che, anche un giorno non vicino, anche solo in Occidente, potremo andare avanti con esse soltanto. Detta rozzamente: non si tiene in esercizio un altoforno con pale eoliche e pannelli fotovoltaici, e in effetti ciò che gli ambientalisti più radicali leggono tra le righe di un quesito assai banale e circostanziato è proprio la questione generale del nostro modello di sviluppo.

Le fonti fossili sono state fondamentali per la crescita industriale del Paese e in particolare nel decennio felice tra metà ’50 e metà ’60, gli anni del Boom, gli anni del Supercortemaggiore, uno dei simboli della nostra rinascita postbellica. Un passato di cui dovremmo ormai vergognarci, secondo alcuni. Ambientalisti a parte, sembra essere questa la tesi dei nostri illustri paesaggisti e museocrati, dal Professore Settis a Philippe Daverio: costoro salutano con favore la nostra deindustrializzazione, considerando l’industria una deviazione temporanea dal destino di questo Paese.

«Gli Italiani hanno voluto le fabbriche», ma l’Italia, ricetto di bellezza – o della Bellezza – non era fatta per ospitarle. Giunto al terzo millennio, lo Stivale dovrebbe quindi tornare ad essere quel paradiso agreste disseminato di antiche rovine che incontravano i viaggiatori europei nel corso del loro grand tour, magari aggiornato alle esigenze del turismo sostenibile – agriturismi slow food cablati a fibra ottica, in modo che l’ospite possa rapidissimamente instagrammare la fetta di finocchiona e il bicchiere di brunello.

In questa visione non c’è evidentemente posto per l’acciaio e per gli altiforni puzzoni. Ce lo meritiamo davvero, Alberto Sordi?

TAG: ambientalismo, eni, gas naturale, manifattura, nimby, NoTriv, referendum 17 aprile 2016, trivelle
CAT: energia, Inquinamento

15 Commenti

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  1. mario-bosso 9 anni fa

    GRILLO, CASALEGGIO, I GRILLINI, M5S E PURE STICAZZI!! OH se non ce li mettete in ogni vostro (tuo) pensiero,commento o post che si voglia pare che non siate contenti o meglio pare che siate depressi e quindi vi serve il farmaco lo XANAX. P.S. Questo post è di una sciattezza immensa!! Cordiali saluti. “Anche se tirassimo fuori tutto il petrolio che c’è nel sottosuolo italiano non basterebbe neanche per tre anni”.
    https://www.facebook.com/1428315400765373/videos/1672948862968691/

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    1. Perchè sono i 5 stelle che hanno condiviso post fuorvianti e con informazioni errate e una bella immagine di delfino di sottofondo. Un articolo supportato da fonti non può essere considerato sciatto. I professori del video non parlano del referendum, che non prevede il blocco delle trivelle, ma il non rinnovo delle concessioni entro le 12 miglia alla loro scadenza (sulla terraferma e oltre le 12 miglia l’attività continuerà indisturbata). Fare nuove trivellazioni nell’area è già vietato dal 2010. Se, come dicono questi professori, le risorse fossili si esauriranno entro massimo tre anni, dopo questi tre anni allora automaticamente si fermerebbero le trivelle, tre anni in cui non si farebbe nessun danno. Altri scienziati, geologi ecc. dicono invece che le risorse possano durare decenni. Come capire quale schieramento di esperti ha ragione, se entrambi portano studi a confermare le proprie tesi? Un passaggio totale alle rinnovabili (che pure hanno impatto ambientale -es. l’eolico ha un grosso impatto sulle popolazioni di aquila reale e altri uccelli, mentre i pannelli fotovoltaici hanno impatto paesaggistico e di smaltimento dei materiali) in così poco tempo non è praticabile. L’abbandono degli impianti già esistenti, quello sì che avrebbe maggior impatto che continuarne lo sfruttamento. Farne di nuove nell’area è già vietato dal 2010. (Mentre quelle sulla terraferma o oltre le 12 miglia non sono proprio contemplate dal referendum, e potranno continuare ad agire indisturbate). Se, come dicono questi professori, le risorse fossili si esauriranno entro massimo tre anni, dopo questi tre anni allora automaticamente si fermerebbero le trivelle, mentre un passaggio totale alle rinnovabili (che pure hanno impatto ambientale -es. l’eolico ha un grosso impatto sulle popolazioni di aquila reale e altri uccelli, mentre i pannelli fotovoltaici hanno impatto paesaggistico e di smaltimento dei materiali) in così poco tempo non è praticabile. L’abbandono defli impianti già esistenti, quello sì che avrebbe maggior impatto che continuarne lo sfruttamento. https://www.facebook.com/camommo/media_set?set=a.10154022829943781.1073741854.699563780&type=3&pnref=story
      http://www.ilpost.it/2016/03/08/guida-referendum-trivellazioni-petrolio/
      http://www.sgi-idrocarburi.it/esplorazione-paure-e-falsi-miti/#inicio_pagina

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  2. tgmp 9 anni fa

    Caro Federico, scrivi giustamente che “la vittoria del Sì non fermerebbe alcuna trivella dall’oggi al domani”. Che senso ha allora basare il ragionamente al paragrafo successivo su un ipotesi che non ha nulla a che fare con il referendum? Se non sbaglio, una delle concessioni scadrebbe tra due anni, cinque tra cinque anni e le altre piú avanti ancora. Quindi, limitatamente alle piattaforme entro le 12 miglia si avrebbe una diminuzione graduale della produzione, mentre quelle oltre le 12 miglia continuerebbero a produrre circa il 7% del fabbisogno nazionale. Considerando anche che l’uso di metano per la produzione di energia elettrica é in diminuzione (mentre le fonti rinnovabili sono in aumento, https://infogr.am/prova_energia-910), tu sei “convint[o] al di là di ogni ragionevole dubbio” che aumenteranno “le navi gasiere che ci porteranno il metano da altre parti del mondo”?

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    1. federico.gnech 9 anni fa

      Parto dall’ultima domanda: E’ vero, i consumi di gas sono in calo, ma preghiamo di non trovarci mai in situazioni di emergenza, quando eolico e solare non dovessero garantire la continuità necessaria e al nostro fornitore principale dovessero girare le palle (ricordi quando Putin chiuse i rubinetti all’Ucraina?). L’argomento per cui il gas nei nostri mari è poco è miope proprio perché ragiona in termini di consumi continui e immediati e non in termini di riserve.
      Non sono ‘assolutamente sicuro’ che aumenterebbero i trasporti con le gasiere. Ci sarebbero in effetti i gasdotti esistenti e futuri. Il problema è che la logica nimby rifiuta pure quelli (vedi i travagliati progetti della TAP in Puglia o del Galsi in Sardegna) e che in determinate condizioni costa meno usare la nave e i rigassificatori.
      Infine c’è il piano politico: è proprio la natura ideologica del referendum che personalmente credo vada contrastata. I promotori – o la parte più scaltra di essi – badano all’effetto politico più che alla sostanza, e allo stesso modo io voglio che quell’effetto politico sia disinnescato.

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      1. livio 9 anni fa

        mi sembra che il regalo all’ENI questa volta sia sfacciato. Per anni i privati che volevano fare la geotermia si sono scontrati con le norme del D.P.R. N. 395/1991 senza che nessuno facesse nulla (tutelando ENEL e compagni). Adesso che con il petrolio ai minimi storici l’ENI è costretta a rivedere tutti i suoi piani finanziari perché sbagliati, lo Stato corre ai ripari con legge ad personam “giuridica”. Sembra un po’ sporca dopo il decreto spalma incentivi del solare………..

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  3. feliceluca 9 anni fa

    Sono assolutamente d’accordo con te. Sarai pesantemente attaccato dalla contraerea grillina (ne so qualcosa). Complimenti comunque.

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  4. dodobeltrame 9 anni fa

    inutile e demagogiche? proviamo ricordare come sono andate le cose.
    http://edoardobeltrame.com/2015/09/30/le-lobbies-dellenergia-i-trivellatori/

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  5. Bravo! Un po’ di informazione, quando gli ambientalari fanno allarmismi inutili con informazioni scorrette e fuorvianti
    https://www.facebook.com/camommo/media_set?set=a.10154022829943781.1073741854.699563780&type=3&pnref=story
    http://www.ilpost.it/2016/03/08/guida-referendum-trivellazioni-petrolio/
    http://www.sgi-idrocarburi.it/esplorazione-paure-e-falsi-miti/#inicio_pagina

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  6. eraclito-da-efeso 9 anni fa

    Domanda: ” ma una sequela simile di fregnacce è spontanea”?

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  7. nino-russo 9 anni fa

    L’ha detto Gnech!

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  8. ilmenichetti 9 anni fa

    La campagna #keepitintheground del Guardian potebbe essere vista come simile a questa.
    Le ragioni del NO non c’entrano niente con la NIMBY. Vogliamo semplicemente ridurre le possibilita’ per le fossili, in qualunque modo. E siamo perfettamente consapevoli (almeno io lo sono) che questo comportera’ dei cambiementi economici, e che l’energia costera’ di piu’.
    Sul lungo periodo potrebbe essere utile, in termini economici. Ma e’ una cosa rischiosa, e dipende da come il paese risponderebbe agli stimoli. Votando NO creeremo solo un po piu’ pressione, e saremo tutti lievemente piu’ poveri per qualche anno almeno. Questo e’ perettamente noto, e chiarissimo. Aumentare il costo delle enrgie fossili e’ esattamente quello che voglio.
    Puo’ darsi che la mia prospettiva derivi dal lavoro che faccio, sono un ricercatore che lavora in scienze ambientali. Modello le emissioni di gas serra dai suoli agricoli e forestali. E’ probabile che abbia un’idea del problema diversa da chi ha un’altra formazione, magari un po piu’ umanistica, ma e’ altrettanto probabile che qualche informazione sensata pure io ce l’abbia.

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    1. chernobyl 9 anni fa

      > Vogliamo semplicemente ridurre le possibilita’ per le fossili, in qualunque modo.

      se QUALUNQUE modo è lecito, si fa molto prima a bombardare le piattaforme estrattive.

      > E siamo perfettamente consapevoli

      non credo.
      scarichi ogni giorno 80-100 litri di acqua potabile per farti il bidet e tirare la catena.
      Tieni casa a 30 gradi d’inverno e a 19 d’estate.
      Quindi no, non credo che siate consapevoli.
      E se lo siete, non vi importa perché pensate non vi riguardi.

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  9. luigi-lazzaro 9 anni fa

    a me sembri solo uno speculatore poco infomato. è abbastanza vergognoso e strumentale dire che i sostenitori del Sì sono quelli della campagna “trivella tua sorella”. cerca un po’ di informazioni a riguardo. bugia che capisco ti serve per portare il lettore alle tue deduzioni da opinionista, non certo di competente dell’argomento (almeno non lo dai a vedere eh) ne tantomeno del referendum stesso. il referendum infatti (così azzoppato dal governo) chiede semplicemente di esprimersi circa i tempi di concessione, protratti dal governo fino ad esaurimento dei giacimenti. Solo quelli entro le 12 miglia perché oltre sono già vietate grazie all’assorbimento degli altri quesiti referendari nella legge di stabilità. Inoltre, in quella che tu definisci “lunga transizione verso le rinnovabili” ti ricordo che stiamo parlando di 3% di gas e nemmeno 1% di petrolio coinvolti da questo referendum…non possiamo programmare di farne a meno alla scadenza delle trentennali concessioni? Concordo con te solo sulla presenza in italia di tanti museocrati, infatti non mi sembra che tu ti distingua molto da loro se pensi che si debbano mantenere le estrazioni in concessione alle attuali imprese fino ad esaurimento della risorsa, senza necessità di rinnovare concessioni e ridiscutere relativi oneri oggi irrisori (le cosidette royalties), contro le indicazioni stesse di quella europea che ti impegni a citare e che ci metterà sotto procedura infrazione per questo.

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    1. chernobyl 9 anni fa

      La domanda in realtà va posta al contrario: se è solo il 3% del gas e l’1% del petrolio, a che pro bloccarli per via referendaria (inutilmente) quando tra poco si esauriranno da soli?
      Cosa vogliono davvero quelli del referendum?
      Perché stanno cercando di uccidere una zanzara col bazooka?
      KILLI PAGA?

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  10. michele-guaitini 9 anni fa

    Io voterò SI ma ti faccio i complimenti perché di tutte le cose che ho letto in questi giorni, questa è quella che trovo maggiormente obiettiva e convincente.
    Il bello è che io voto SI grosso modo partendo dalle tue stesse considerazioni, ma giungendo a una conclusione diversa. Proprio perché si parla di cifre relativamente modeste di produzione di gas, proprio perché gli effetti sia in termini di calo di produzione sia di ipotetici posti di lavoro sarebbero diluiti in parecchi anni, se le estrazioni entro le 12 miglia hanno comunque degli effetti negativi (altrimenti non si capisce perché sono vietate nuove trivelle), perché cercare a tutti i costi di spremere quei giacimenti fino all’ultimo?
    Se il mondo (e pure l’Italia dobbiamo dire) va in tutt’altra direzione cercando sempre minor dipendenza dai combustibili fossili mediante innovazioni tecnologiche che consentono da un lato minori consumi e maggior efficienza e dall’altro l’uso di fonti rinnovabili, perché dobbiamo preoccuparci di continuare a estrarre un 2-3% di gas tra 10-15-20 anni?
    Per me votare SI è dare un messaggio preciso, un messaggio “politico” più che ai governanti a noi stessi che dobbiamo dirci che in virtù di un uso maggiormente consapevole di energia e di una sua produzione con metodi meno inquinanti siamo disposti anche a rimetterci qualcosina.
    Ma aldilà di qualunque considerazione io voto SI ma non denigro assolutamente chi voterà NO perché trova più convincente una conclusione come la tua. Per me sono due posizioni entrambe ragionevoli e cavalcabili. E ecco, mi piacerebbe che la gente andasse a votare e si confrontasse su questo.

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