Dopo Parigi, la necessità di superare il centenario accordo Sykes-Picot
L’aberrante attacco terroristico di ieri sera a Parigi non smetterà di scuotere le nostre coscienze di cittadini europei per molto tempo. Non riusciamo a credere come degli esseri umani in nome di una deriva ideologica della propria religione possano compiere atti del genere. Allo stesso tempo vogliamo però rifiutare l’idea che nella nostra contemporaneità possano esistere giustificazioni per questo Terrore derivate da una religione come l’Islam; per noi occidentali questa commistione tra potere temporale, violenza e credo religioso è qualcosa che ci rappresentiamo collettivamente come storia archeologica, superata da secoli, fin dall’affermarsi dell’età illuministica. Per questo non riusciamo a capire, a decifrare le motivazioni che portano soprattutto giovani – se non giovanissimi – a sacrificarsi così in nome di un dio chiamato Allah. Ora però ora ci aspettiamo che finalmente il mondo musulmano nella sua interezza e complessità sia in grado di dare una risposta, di produrre nel contesto europeo un processo di auto-riforma in grado di inibire le critiche più xenofobe ed oscurantiste, di espellere questo cancro jihadista dal proprio senso comune, dal proprio discorso condiviso sulla religione.
Anche l’Occidente nondimeno ha le sue colpe, figlie della propria storia. Si chiamano colonialismo, imperialismo, conflitto israelo-palestinese, guerra per il petrolio, l’ideologia dell’esportazione della democrazia, tutti elementi e lasciti che – dopo lo scoppio delle Primavere Arabe – hanno reso ormai incendiario se non anarchico lo scenario medio-orientale, culla dei mandanti dell’attacco terroristico parigino, cioè il famigerato Isis. La nostra responsabilità sarà quindi di sciogliere i nodi politici e statali che noi stessi abbiamo creato quasi cento anni fa con l’accordo Sykes-Picot: progetto politico di spartizione della spoglie dell’Impero Ottomano alla fine della prima guerra mondiale tra i mandatari Francia ed Gran Bretagna. Responsabilità proseguite poi intrattenendo strette relazioni politico-economiche con i regni fondamentalisti del Golfo, primi finanziatori dell’integralismo islamico e dei gruppi terroristici.
Ma come è auspicabile affrontare, allora, questo pericoloso abisso di continua e totale destabilizzazione geo-politica, impegnando l’Occidente ad essere questa volta elemento di soluzione alle crisi? L’Ue, con un atteggiamento prospettico se non utopistico, dovrebbe convocare un nuovo Congresso di Vienna dedicato al mondo arabo e al Medio Oriente – invitando i più importanti attori politici dell’area, cioè U.S.A, Russia, Cina, Israele, Egitto, Iran, Turchia e Arabia Saudita – per tracciare i futuri confini di statualità nazionali omogenee sia etnicamente sia religiosamente parlando, vincolando inoltre la nascita di questi nuovi Paesi alla redazione di carte costituzionali garanti dei più basilari diritti umani (libertà d’espressione e riunione, autodeterminazione della propria sessualità, libertà religiosa, uguaglianza uomo-donna, rispetto delle minoranze, etc.). Questi nuovi stati diventeranno così elementi di innovativa reciprocità e confronto tra la tradizione islamica e i fondamentali degli ordinamenti liberal-democratici, aiutati in questa impresa anche da un ambizioso “Piano Marshall medio-orientale” con cui ricostruire le istituzioni e l’economia delle comunità interessate. Questa inoltre è una strategia geopolitica già adottata con successo dall’Occidente e in particolare modo dall’Unione Europea nello scenario post-bellico dei Balcani negli anni ’90 del XX secolo.
[La nuova Tunisia – unico esempio di positiva riuscita delle istanze della Primavera Araba, pur con le enormi difficoltà vissute a causa del terrorismo islamista e delle tensioni politiche registrate prima del varo della Costituzione – potrebbe diventare il caso sperimentale in cui attuare questo disegno politico, come infatti stanno facendo l’Italia o gli U.S.A].
Qui ecco allora la futuribile mappa di un post-congresso di Vienna medio-orientale.
Siria: l’attuale stato siriano dovrà essere smembrato in tre parti. La zona occupata dalla setta confessionale alawita del presidente Bashar Al-Assad, che parte dalle coste di Latakia e attraversando la dorsale autostradale Homs-Damasco giunge fino appunto alla capitale, diventerà la Repubblica del Levante. Il territorio nord-orientale abitato dall’etnia curda, chiamato dagli stessi abitanti Rojava, sarà una delle regioni autonomiste della nuova Repubblica federale del Kurdistan. Il grande quadrilatero sunnita che si estende da Aleppo, Raqqah, Deir-er-zur e fino Palmira, diventerà una delle regioni del Protettorato federale arabo della Turchia.
Iraq: anche il paese dell’ex-dittatore Saddam Hussein verrà smembrato in tre parti. La regione autonoma settentrionale del kurdistan iracheno farà parte della Repubblica federale del Kurdistan. Le province sunnite di Mosul, Tikrit, Samarra e Ramadi fino al confine desertico con l’attuale Siria diventeranno l’ulteriore regione del Protettorato federale arabo della Turchia. I territori meridionali, abitati per lo più da sciiti, partendo da Baghdad fino al Golfo Persico, si trasformeranno nella nuova Repubblica della Terra dei Fiumi.
Turchia: dopo aver cambiato la propria costituzione in un assetto semi-presidenziale e federalista, riconoscendo così sia un forte potere centralizzato sia una legittima autonomia delle diversità del proprio territorio (come l’area metropolitana di Istanbul, la costa ionica, l’Anatolia centrale, la provincia del Mar Nero, etc.), sarà possibile permettere l’autodeterminazione della popolazione curda nel quadrante sud-orientale del paese che diventerà una delle regioni della Repubblica federale del Kurdistan. In cambio la Turchia riceverà il controllo e l’integrazione dentro i propri confini del Protettorato federale arabo delle enclave sunnite di Siria e Iraq. Questa ristrutturazione istituzionale e statuale verrà finanziata con 50 miliardi di dollari del “Piano Marshall medio-orientale” necessari a realizzare con successo le infrastrutture e le politiche economico-industriali utili ad integrare i territori ottenuti nel nuovo assetto nazionale. Il Protettorato turco inoltre, incastonato nel centro esatto della regione geopolitica medio-orientale, sarà così elemento di forte stabilizzazione dell’intera area poiché facente parte di uno Stato dell’Alleanza Atlantica, la Nato.
Iran: ultimando gli accordi del “5+1” sulla questione nucleare e riaccettando così lo stato persiano all’interno della comunità internazionale sia politicamente sia economicamente parlando, l’Iran potrà beneficiare di circa 15 miliardi di dollari del “Piano Marshall medio-orientale” con l’obiettivo di permettere l’autodeterminazione della proprie province di etnia curda destinate così a diventare un’ulteriore regione della Repubblica federale del Kurdistan e di integrare invece nei propri confini i territori occidentali dell’Afghanistan, abitati prevalentemente prevalentemente da popolazioni di confessione sciita.
Afghanistan: Stato fallito per antonomasia, scomposizione dell’attuale statualità – sul modello della risoluzione dei conflitti balcanici negli anni ’90 del secolo scorso – per riconfigurare i territori secondo provincie etnicamente omogenee da integrare con le nazioni confinanti (Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan e una nuova Repubblica federale hazara-pashtun). Il tutto sempre finanziato dal “Piano Marshall medio-orientale”.
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