Calcara, di chi è la “farina” del suo sacco?

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19 Febbraio 2022

Cosa hanno in comune tra loro Gian Joseph Morici e Damiano Aliprandi, oltre al fatto di essere bravi e onesti giornalisti? Sicuramente il fatto di essere ignorati dai colleghi, soprattutto quelli che scrivono nelle testate nazionali di grande diffusione quando si trovano alla sbarra per diffamazione. Sta succedendo ad Avezzano, e il procedimento riguarda Aliprandi accusato dal dottor Roberto Scarpinato di averlo diffamato a mezzo stampa per aver scritto su “Il Dubbio” la verità sul “dossier mafia-appalti” e sta succedendo a Morici sotto processo ad Agrigento accusato da Vincenzo Calcara di averlo definito un falso pentito sulla testata “La Valle dei Templi”.

Mentre il processo ad Avezzano prosegue anche quello ad Agrigento sta prendendo il suo corso e ieri, dinanzi alla giudice monocratica Fulvia Veneziano sono apparsi come testi due pentiti e il dottor Massimo Russo, magistrato oggi in servizio presso il Tribunale dei Minorenni di Palermo. Quanto dichiarato dal dottor Russo era prevedibile perché già nel procedimento denominato “Borsellino quater” sia lui sia la dottoressa Alessandra Camassa non esitarono e non ebbero dubbi: «Calcara non è un mafioso»”. Mentre tale affermazione farebbe dormire sonni tranquilli qualsiasi cittadino onesto trovatosi, suo malgrado, in una situazione che lo aveva messo in cattiva luce, questo non è il caso del Calcara che rivendica, quasi con orgoglio, la sua appartenenza all’organizzazione criminale e dalle quale, a suo dire, si è dissociato iniziando a collaborare con la giustizia.

Ma chi è Vincenzo Calcara? A suo dire è l’uomo che era stato incaricato di uccidere Paolo Borsellino e che poi ci ha ripensato e non portò a termine l’incarico che aveva ricevuto. Era stato condannato a 14 anni di carcere per omicidio ma riuscì a fuggire in Germania per non scontare la pena. Poi, a suo dire, nel maggio 1991 ricevette l’incarico di uccidere Borsellino e proprio con lui, mentre era procuratorie a Marsala, iniziò quella che si ritenne, allora, la sua collaborazione.

I dubbi sulla credibilità di Calcara, in questi anni, sono giunti anche dai più stretti collaboratori del dottor Borsellino, come appunto Massimo Russo che in un convegno pubblico qualche anno fa disse: «Calcara è stato ritenuto da altri collaboratori di giustizia assolutamente non credibile, e preliminarmente non appartenente alla organizzazione mafiosa» e la dottoressa Camassa. Entrambi, su Calcara, hanno dichiarato in qualità di testi nel processo “Borsellino quater”. La Camassa in udienza, ha ricordato che la notizia di «un attentato sulla Trapani-Palermo con obiettivo Paolo Borsellino e un altro sostituto procuratore fu autonoma e precedente alla rivelazione di Calcara».

Massimo Russo è lo stesso magistrato che rinviò a giudizio il Calcara per auto calunnia ossia «per essersi accusato di far parte di cosa nostra». Il processo si chiuse non con l’assoluzione del Calcara ma perché il reato fu prescritto. Sempre nel “Borselllino quater”, Massimo Russo ebbe a dichiarare che «Calcara non non parlò mai di Matteo Messina Denaro» e che mafiosi del calibro di Brusca e Sinacori non lo hanno mai considerato come mafioso.

Ad Agrigento, in udienza, Russo ha dichiarato che “Calcara non ha niente a che vedere con la mafia, non era un uomo d’onore” e lo dimostra il fatto che «forniva organigrammi mafiosi non esatti».

Tracce indelebili dell’inaffidabilità del Calcara e sul fatto che fosse estraneo a Coisa nostra, si leggono anche nella sentenza di Caltanissetta al processo per l’omicidio del giudice Ciaccio Montalto, nel riferimento ai collaboratori e nello specifico a Vincenzo Calcara, in cui si legge «Il CALCARA ha, infatti, mostrato di ignorare: l’articolazione in quattro mandamenti di COSA NOSTRA nella provincia di Trapani; il nome del mandamento nel quale era inserita la propria “famiglia”, cosa questa che egli non avrebbe potuto sconoscere dal momento che era proprio il rappresentante della sua “famiglia” a dirigere quel mandamento, dimostrando così un livello di conoscenze in materia notevolmente inferiore anche a quello di chi, come MILAZZO Francesco, non ricopriva un ruolo maggiore di quello che il primo si è attribuito; ed ancora l’identità delle persone che ricoprivano le cariche di vertice nell’organigramma di COSA NOSTRA nella provincia di Trapani» e ancora che «È assai significativo che il CALCARA non sia stato in grado di indicare, come hanno invece concordemente fatto tutti gli altri collaboratori della provincia di Trapani e lo stesso BRUSCA, il rappresentante provinciale in MESSINA DENARO Francesco, che pure era anche il rappresentante della “famiglia” in cui il predetto CALCARA ha dichiarato di essere inserito».

«Le ragioni del mendacio del Calcara – scriverà al riguardo la Corte d’assise di Caltanissetta nel 1998 – non sembrano riconducibili a spirito di vendetta nei confronti delle persone chiamate in causa, bensì dall’intento di conseguire dei vantaggi economici e dei benefici giuridico-amministrativi maggiori di quelli che avrebbe ottenuto limitando la sua collaborazione al settore della propria diretta esperienza criminale, senz’altro più modesta di quella di un associato a Cosa Nostra».

Nuovo, si fa per dire ma nemmeno lavato con Perlana, pupo emulo di Scarantino? Sicuramente i fatti hanno dimostrato che si tratta di uno pseudo pentito evidentemente eterodiretto. Dopo aver distolto l’attenzione degli investigatori da Matteo Messina Denaro, proprio mentre organizzava le stragi del ’92 e del ’93, il Calcara nel tempo è stato creduto da molti colleghi del dottor Russso che, in udienza, ha preso le distanza proprio da quei colleghi autori delle diverse sentenze che riguardano le dichiarazioni del Calcara perché, potrà sembrare strano, fino a qualche anno fa era ancora utilizzato come teste o ne venivano ancora utilizzate le propalazioni durante i procedimenti e che lo stesso Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso, lo ha a suo tempo esaltato e sbandierato come esempio di legalità portandolo a parlare nelle scuole sotto lo stemma delle “Agende Rosse” da lui fondate e dirette.

Pupi, pupari ma anche farina e mugnai. Russo, nel corso dell’udienza, ha dichiarato che «Calcara adesso dovrebbe pentirsi e raccontarci davvero come stanno certe cose. Era chiaro che la farina non era del suo sacco, sarebbe interessante sapere chi metteva quella farina».

Difficilmente il Calcara accoglierà quanto richiesto dal dottor Russo ma le domande, oggi più che mai, rimangono e riguardano il chi fosse, o fossero, i possibili mugnai suggeritori occulti delle propalazioni del Calcara e, soprattutto, cosa, o chi, si nasconde dietro i diversi depistaggi operati da Calcara derivanti dalla sua .

Come nel caso del procedimento che riguarda l’uccisione del dottor Borsellino, in cui risposte e responsabilità di chi ha, non solo creato ma anche validato Scarantino come collaboratore affidabile, rischiano di perdersi in quello che è stato definito il più grande depistaggio della storia processuale italiana, anche nel caso della figura del Calcara, pseudo mafioso e pseudo pentito, sarebbe ora di cercare una risposta alle domande che, oggi, non è più possibile ignorare perché forse proprio grazie a queste risposte, potremmo cercare di meglio comprendere fatti e dinamiche di quegli anni.

Però, forse, è questo il problema.

TAG: agrigento, Avezzano, Damiano Aliprandi, diffamazione, Gian Joseph Morici, paolo borsellino, processo, pseudo pentito, Roberto Scarpinato, Vincenzo Calcara
CAT: Giustizia

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