Ousseynou Sy: è terrorismo, punto

20 Marzo 2019

Noi italiani consociamo il terrorismo perché lo abbiamo combattuto a carissimo prezzo a cavallo degli anni ’70 e ’80. Fu sconfitto perché la politica, il sindacato, le forze dell’ordine progressivamente prosciugarono il mare nel quale i “compagni che sbagliano” e il neofascismo nuotavano con non poche complicità internazionali. Storia ancora tutta da scrivere quella di quegli anni e ricordiamo a fatica il cosidetto “lodo Moro” che il colonnello dei servizi segreti Giovannone strinse con il terrorismo palestinese dopo l’attentato a Fiumicino, sappiamo che l’Italia fu luogo di passaggio di molti intrighi e che probabilmente le stragi di Bologna e Ustica hanno connessioni internazionali quanto l’abbattimento del volo militare Argo 16.

Accertammo che anche la mafia lo utilizzò in via dei Georgofili a Firenze avviando si dice la trattativa Stato mafia ma il ricordo della macabra e lunghissima scia di sangue è affidato alla flebile memoria collettiva che ho provato a riesumare ora con questi flash e alla determinazione dei parenti delle vittime. Quindi sappiamo di cosa parliamo quando affermiamo che Ousseynou Sy è a tutti gli effetti un terrorista che aveva un obbiettivo preciso e una motivazione dichiarata.
Facciamo fatica a rendercene conto per due motivi: perché per fortuna non ci sono state vittime e perché questa forma di terrorismo non ci è consueta: ha una matrice dichiarata dall’attentatore ma non ha un corpo, una struttura, un capo. Ed è peggio perché non si può infiltrare una struttura che non esiste. E allora non capendo chi comanda ripieghiamo sulla più sballata delle idee, e cioè che noi si sia davanti a uno squilibrato mentale perché solo gli squlibrati mentali agiscono da soli e il giorno prima “sembrano tranquilli” e prendo il caffè coi colleghi. E ci scandalizziamo come vergini dai candidi manti perché lavorava in una azienda avendo precedenti che in apparenza non giustificherebbero il suo impiego. È vero, Ousseynou Sy aveva un precedente di 12 anni fa per guida in stato di ebbrezza e immagino che la sua azienda di trasporti, caso non infrequente anche tra italiani nativi, l’abbia spedito in aspettativa sino al termine dei provvedimenti disposti dal giudice.

È vero, aveva precedenti per molestie a un minore e domani ne sapremo di più ma se anche la sua società avesse fatto accertamenti sulle sue pendenze come fanno altre aziende del settore non ci sarebbe stato alcun motivo giuridico per allontanarlo dato che le regole in merito riguardano solo comportamenti che siano dannosi per la Pubblica Amministrazione. E in chiusura il problema chiave e cioè che in uno stato di diritto se uno ha pagato i suoi conti con la società non può avere il marchio di infamia. Qui si apre il problema di come affrontare questo che, ripeto, non è un atto di follia ma un piano terroristico messo in campo da una persona che incontriamo tutti i giorni. Una persona i cui atti rischiano di mettere in discussione con il sospetto e il pregiudizio le basi della convivenza civile e della democrazia liberale, che potrebbe autorizzare, visto il clima, ad accettare un ulteriore abbassamento della nostra privacy e dei nostri diritti da parte di un governo che non ha capito quanto sia pericoloso soffiare sul fuoco: pericoloso per noi ma che il governo crede proficuo per sé a un passo dalle elezioni.Noi invece dobbiamo chiedergli di vivere sicuri perché questo, il monopolio della forza per garantirci sicurezza, è uno dei poteri fondanti dello Stato che lo deve esercitare all’interno di un regime che tuteli e non riduca le nostre libertà. Dobbiamo imporre al governo di abbassare i toni sulla immigrazione perché questo è esattamente ciò che aiuta il terrorista a trovare acqua in cui nuotare.

In una parola, oggi il problema non è l’immigrazione che non esiste più per ragioni internazionali ma il come se ne parla. E, ancora, qualsiasi poliziotto che sappia fare il suo mestiere imporrebbe il silenzio perché un terrorismo che non ha struttura di comando vive di empatie ed emulazione. Ogni volta che abbiamo un caso Diciotti invece di fermare il rischio terrorismo lo nutriamo. Un poliziotto di gran vaglia, ma di quelli bravi che ha fatto dal prefetto al Viminale ai Servizi con grande capacità quando gli chiesi come mai eravamo ancora esenti da attentati mi rispose con un gesto inequivocabile che, dovendolo scrivere, si traduce con “abbiamo avuto un gran culo”. Io sono convinto che invece siamo stati anche bravi ma che siamo finiti dove non si doveva; con le parole urlate dai ministri abbiamo rotto un equilibrio e ne pagheremo le conseguenze. Purtroppo non vedo una politica come quella che negli anni ’80 tolse il tappo e lasciò i pesci senz’acqua. Vedo una politica che vive e cresce speculando sulla immigrazione. E il conto stavolta lo paghiamo noi: non più i giornalisti, i magistrati, gli uomini dello stato come negli anni ’70 ma ognuno di noi. Speriamo non accada, speriamo che al governo capiscano. Ma a due mesi dalla campagna elettorale questi chi li ferma più dall’urlare alla pancia per anestetizzare le coscienze.

TAG: terrorismo
CAT: Governo

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