La schiuma dei giorni

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25 Gennaio 2024

Ne avevo venti. Ne sono passati quaranta. Dalla folgorazione di Nastassja Kinski, ieri suo compleanno, in Paris, Texas. Wenders mi aveva regalato la dea e la carne, alle quali ispirarmi, in tutti i sensi. Gli sarò sempre debitore. Quindi vado a vedere anche Perfect Days. Ne avevo lette un po’: dalle odi, come canti di uccellini, quelli che disturbano i salvini, agli scettici con pudore. Perché insomma, Wim è Wim. È venuta con me mia figlia grande, nel nostro momento cinema, prezioso.
Aspettava che succedesse qualcosa, dice. Durante, le è venuto un po’ sonno, e aveva anche un po’ freddo. L’hanno però incuriosita la fotografia e gli spazi, di Tokyo. Io sapevo che non sarebbe successo niente, se non la ripetizione dei gesti, che se non sfinisce incanta, o induce a riflessione, su di sé e sul mondo che gira intorno. Però il protagonista non mi sembra felice, come si è scritto e detto nelle recensioni varie e pure nell’intervista fatta a Wenders, offerta prima della proiezione, dove delle tre domande fatte da questo giornalista in fregola, due chiedevano Quale sentimento? In pratica, la stessa domanda. Che tristezza le interviste di chi non le sa fare! Un altro è l’altrimenti ottimo Diego Bianchi della Propaganda. Dovevo dirlo, spero che lo sappia.
Dicevo: a me il sorriso beato dell’attore dava l’effetto rassegnato. Un’estasi forzata. Un po’ da picchiatello. L’effetto di chi teme gli umani. Un po’ come quelli che si inteneriscono e adorano cani e gatti, perché non chiedono confronto, alcuna fatica, oltre a quella di un amore incondizionato in cambio di cibo e presenza. Gli umani sono un bel casino. La vita ti incasina. Ma quella è. Se vogliamo manifestarla. Altrimenti sono bolle di sapone, e ci sta, eh, che ognuno si ritagli il suo angolino protetto, ma farne esempio morale, soluzione etica, fa tenerezza come un cucciolo a quattro zampe. Buono per un cartone animato, come la voce doppiata del suo aiutante. Ma quello è colpa italiota, Wim esente. Il nostro Hirayama non ha affetti vicini, ma soprattutto non ha una cucina, una lavatrice, una doccia. Bella sbatta. E che noia lo stesso caffè freddo e la ciotola con beverone ghiacciato nello stesso medesimo tavolino, con le stesse medesime parole di benvenuto. Wenders ha fatto il cinema, nel senso lato, teorizzando una vita narcotizzata dagli imprevisti e dalle esaltazioni. E farlo con i cessi pubblici come focus, è paradosso geniale, ma vien quasi voglia di mandarlo a cagare. Tanto i toilet sono figo design e lindi. O di andare a pestare ombre.
Però qualcosa mi è rimasto. E non poco. Mi ha fatto desiderare di andare a letto a leggere a lume di bajour. Di pulire il bagno, cosa che non ho mai fatto, ma che adesso saprei fare. Di riascoltare le musicassette che ho a centinaia, resistendo da decenni al buttarle via. E di tacere più spesso. Avrei dovuto farlo anche adesso. E rivedermi Lei, in Paris, Texas.

TAG: #cinema, bagni pubblici, Wim Wenders
CAT: Letteratura

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