Punti di vista

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24 Settembre 2023

Il racconto di Anna.
Tanto vale che  lo dica subito. Quella storia con Giò non ha mai contato molto nella mia vita.
Se sono qui a parlarne è solo perché lui è diventato uno scrittore importante.
Quattro o cinque anni dopo che tra noi era tutto finito esce il primo dei suoi libri, quello con quel titolo un po’ strano, “Guadagnare l’uscita”
Quando l’ho visto esposto dappertutto nelle vetrine dei librai, ho escluso subito che l’autore potesse essere semplicemente un omonimo del Gianni Bonanno che avevo frequentato ai tempi del liceo e dell’università, proprio perché l’espressione che dà il titolo al libro era un’espressione che lui usava spesso.
Ne era quasi ossessionato. La usava come metafora della sua necessità di emanciparsi dalle costrizioni  e dai condizionamenti.
Viveva con insofferenza il suo destino di persona proiettata, senza volerlo, verso una brillante carriera in una professione tradizionale.
Considerava, ovviamente, del tutto alla sua portata, diventare magistrato o avvocato come i suoi speravano e sono sicura che, se non fosse andata bene con la scrittura, avrebbe avuto successo in quei campi. Ma il suo desiderio era un altro.
Voleva scrivere.
Più che altro ci provava. Mi ha fatto leggere qualcosa. Erano sempre le battute iniziali di un racconto o di un romanzo che poi lasciava lì, come diceva lui, a maturare nel cassetto.
I pezzi che ho letto mi sembravano notevoli, c’erano stile, fantasia, forza, colore.
A distanza di qualche giorno dall’aver letto uno di questi attacchi, gli avevo chiesto se poi avesse lavorato ancora a quel racconto del quale avevo letto la prima pagina.
Mi aveva risposto che la scrittura, almeno per lui, era il frutto di una concentrazione e di una dedizione assolute.
Ricordo una frase che disse: ”Non credo nella letteratura interstiziale”.
Intendeva  quella praticata dopo cena o nei ritagli di tempo della giornata, quella sistemata tra un impegno e l’ altro, come una qualsiasi altra incombenza.
Vedeva in ogni impegno diverso dalla scrittura una fonte di distrazione.
All’università era partito subito a razzo, dando una grande quantità di esami in un tempo molto ristretto.
La cosa mi irritava parecchio, perché frequentavo l’università anch’io (un’altra facoltà, psicologia), ma me la prendevo molto più comoda. Trovavo che dedicasse  troppo tempo ad una cosa che continuava a definire marginale .
Avevamo degli scontri su questo.
“Delle due l’una”, gli dicevo, “o quando sostieni che l’università per te è solo una parentesi, mi dici un sacco di balle, oppure, se è vero che è per te un fatto marginale, vuol dire che, vista la percentuale offensivamente ridicola di tempo che mi dedichi, io lo sono ancora di più”.
Sbuffava e mi diceva: “Come fai a non capire?”
Per lui dare gli esami era come scalare una montagna.
Lo aveva colpito molto la storia di un campione del ciclismo, fortissimo in salita, che, nel commentare le sue imprese, una volta aveva detto: “Mi piace arrivare primo perché quando la strada è così inclinata pedalare è una vera sofferenza. La molla che mi spinge è quella di finire alla svelta”.
“E’ così anche per me”, aveva commentato Giò, “Anch’io mi applico molto allo studio perché non mi piace e desidero lasciarlo in fretta alle mie spalle”
“Vorrei allora non piacerti nemmeno io”, gli avevo risposto di getto, “forse ti applicheresti di più”.

Il racconto di Gio’
Sono rimasto così tramortito quando lei mi ha lasciato, che non sono riuscito più a far niente per mesi e mesi.
Non mangiavo, non dormivo, non mi riusciva di concentrarmi sullo studio, non pensavo altro che a lei e a tutti i momenti belli che avevamo avuto e non riuscivo a capacitarmi di quello che era accaduto.
Ogni giorno le scrivevo una lettera e gliela spedivo, sperando di indurla a ritornare sui suoi passi.
Poi, all’improvviso, mi è sembrato che l’unico conforto possibile potesse essere la scrittura.
Mi sono messo a scrivere in maniera torrenziale e incontrollata, senza badare a punti e virgole.
Una lunghissima ricostruzione della nostra storia d’amore, c’era tutto, gli inizi carichi di diffidenza, il sesso vissuto come graduale scoperta comune con entusiasmo e poi con sfrenatezza, le arrabbiature, le riconciliazioni, le ricorrenze, la scoperta dell’altro, i pianti dell’addio.
Devo averlo ancora da qualche parte quello scartafaccio. Ci ho messo tre settimane a scriverlo.
Volendo, potrei anche dargli una ripulita e pubblicarlo.
Mi vergogno molto della qualità della scrittura. Ma quello è niente, potrei lavorarci sopra e renderlo stilisticamente più accettabile.
Mi vergogno molto di più dei contenuti:  i fatti della nostra storia c’erano tutti, ma la sofferenza dell’abbandono li aveva a tal punto trasfigurati da far apparire il tutto estremamente patetico e sdolcinato.
Finito di scrivere questo polpettone lacrimoso, ho ripescato dal cassetto uno degli abbozzi che avevo accantonato e da lì è nato “Guadagnare l’uscita”
Quell’abbandono è stata un po’ la mia fortuna.
Vorrei poter dire che non è vero, che comunque avrei finito per dedicarmi alla scrittura.
Ma mi conosco abbastanza per sapere che non è così.
Se fossi rimasto con Anna, avrei continuato a dare esami, mi sarei laureato ed avrei abbracciato uno dei percorsi professionali classici che discendono da una laurea in legge.
Devo molto a quell’abbandono. Una minaccia trasformata in opportunità

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CAT: Letteratura

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