La musica bisestile. Giorno 108. Soft Machine

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28 Ottobre 2018

Oggi sembra musica indecifrabile, ma 40 anni fa il pubblico era molto più preparato, più smaliziato, più assetato di novità, di complessità e di mescolanza tra i generi, e fare il jazz freddo non bastava già più

 

THIRD

 

I gruppi della scuola di Canterbury sono tutti collegati tra loro. Robert Wyatt, Kevin Ayers, Daevid Allen suonarono più o meno con tutte le formazioni che, tra la seconda metà degli anni 60 e la seconda metà degli anni 70, si misero alla ricerca di un mix tra la musica classica anglosassone, l’elettronica, il prog che, dai Pink Floyd in poi, stravolgeva la scena musicale europea, ed il jazz. Inutile dire che li ho amati tutti, gli epigoni del Canterbury Sound, ed infatti su questa lista, una dopo l’altra, le band coinvolte le troverete tutte.

“Third”, 1970

In ogni caso, i Soft Machine sono la band primigenia, quella da cui è nato tutto, visto che già nel 1960, quando Daevid Allen, proveniente dall’Australia, andò a vivere (e suonare) a casa di un giovanissimo Robert Wyatt, il nucleo della band era già i piedi e suonava cover di brani jazz complessi, irrorandoli di rock e di salti armonici alla Robert Fripp (che sarà poi il tratto d’unione con i Genesis ed i King Crimson). Era un periodo fecondo e libero da ogni costrizione, perché esisteva un pubblico assetato di novità e complessità, pronto a recepire qualunque sfida, se tecdnicamente valida. Perché la vera differenza tra la musica degli anni 60 e 70 e quella degli anni successivi, è nella capcità del pubblico di distinguere cose tecnicamente valide dal risciacquo dei piatti sporchi. Una capacità che oggi è in gran parte morta e sepolta.

I Soft Machine divennero in poco tempo il punto di riferimento per l’avanguardia che aveva studiato Stockhausen ed amato Miles Davis, ma anche la musica beat degli anni 60. Inutile raccontare i cambi di formazione, legati al fatto che Allen non riusciva a stare fermo in un posto e che la band preferiva suonare in pubblico che registrare materiale in studio. Li ho visti per due estati di seguito dal vivo a Roma, e la seconda volta la band era completamente differente, aveva cambiato nome e leader, ma suonava lo stesso i vecchi pezzi, anche se in modo diverso. Oggi sono di nuovo insieme, e se mi capitasse l’occasione andrei ancora a sentirli. Per voi saranno magari ostici, ma per noi questo era il fronte esterno della libertà, “una gialla velatura ritta verso un paese senza nome”, e quindi avevamo la pazienza necessaria per imparare ad ascoltarli ed amarli.

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CAT: Musica

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