Giovanni (Gianni) Cervetti è nato a Milano il 12 settembre 1933.
Nel 1949 si iscrive al partito Comunista Italiano. Tra il 1952 e il 1953 inizia a frequentare assiduamente il partito milanese. Inizia gli studi di Medicina all’Università di Milano ma nel marzo del 1956 viene inviato dal Partito Comunista a studiare Economia all’Università di Mosca. A Mosca incontra Franca Canuti, una compagna di partito inviata dal Partito a studiare nella grande Russia. Si sposeranno l’8 marzo 1958. A Mosca nasce Andrea, il loro unico figlio.
Rientrato a Milano nel luglio del 1961 assume incarichi di direzione della Cgil milanese e lombarda al 1961 al 1965 e successivamente nel Pci, dove verrà eletto prima segretario cittadino e poi provinciale a Milano nel cruciale periodo 1969-1975.
Enrico Berlinguer lo propone per la segreteria nazionale del PCI (1975-1979) come responsabile dell’organizzazione. In seguito, diventa segretario regionale della Lombardia (1979-1984). In parallelo agli incarichi politici, Cervetti svolge una intensa attività istituzionale: consigliere comunale a Milano (1970-1975); consigliere regionale della Lombardia (1980-1984); parlamentare europeo (1984-1989); parlamentare nazionale 1987-1994. Altrettanto significativi sono gli impegni internazionali, nel rapporto con l’URSS e gli altri Paesi dell’Est Europa e come rappresentante del PCI in occasione di congressi, conferenze internazionali e delegazioni.
Cervetti fu il tesoriere comunista che tagliò i ponti con i rubli dell’Unione Sovietica. Favorevole alla Svolta della Bolognina di Achille Occhetto, in seguito allo scioglimento del PCI aderisce al Partito Democratico della Sinistra.
Altrettanto intenso è poi il suo impegno in campo culturale. Oltre agli importanti legami derivati dalla partecipazione alla vita culturale di Milano e nazionale come dirigente del Partito Comunista, svolge un ruolo importante nel dare vita e sostenere importanti istituzioni: è Presidente della Fondazione Isec (Istituto per la Storia dell’Età Contemporanea) dalla sua costituzione nel 2002; Presidente della Fondazione Corrente; è stato Presidente della Fondazione Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi dal 2008 al 2019 e attualmente ricopre il ruolo di Presidente emerito.
Dal 2009 al 2022 è stato presidente dell’Associazione culturale Italia Russia Lombardia. Tra il 2001 e il 2006 è stato componente del consiglio di amministrazione dell’Università Statale di Milano in rappresentanza del MIUR. Per il suo grande esempio di passione civile, nel 2021 ha ricevuto l’Ambrogino d’oro del Comune di Milano. Oltre alla passione politica, negli ultimi anni ha costantemente sviluppato un grande interesse per l’editoria e i libri antichi In particolare, ha
collezionato una delle maggiori raccolte italiane di opere di Dante e Niccolò Machiavelli, fondando con Umberto Eco e l’antiquario Mario Scognamiglio l’Aldus Club (Associazione Internazionale di Bibliofilia) di cui è stato presidente.
Vorrei aprire questa nostra chiacchierata con un suo ricordo di Giorgio Napolitano.
Io e Giorgio ci siamo conosciuti nelle Marche, lungo la spiaggia di Sirolo. Napolitano passava spesso le sue vacanze nelle Marche in quanto la moglie Clio era marchigiana. Io invece mi ero recato laggiù in quell’occasione, dotato di tenda da campeggio, perchè avevo in zona dei conoscenti.
Un giorno lo incrociai in spiaggia mentre camminava tenendo in braccio il piccolo Giovanni, fu il nostro primo incontro. Quella prima conoscenza divenne nel tempo un’amicizia, un’amicizia che è durata per tutta la vita, fino a questi ultimissimi giorni.
In occasione del mio novantesimo compleanno (12 settembre), quando era già molto malato, mi scrisse una breve letterina che mi fu consegnata personalmente dal suo segretario particolare.
Nel marzo del 1956, nella stagione dell’Unione Sovietica di Nikita Krusciov, lei venne inviato dal Partito Comunista Italiano a studiare Economia all’Università di Mosca. Inviato o invitato?
E’ stata una cosa a metà tra un invito e un invio. Presso l’Università di Mosca c’era già un gruppo di italiani e io partecipai come componente di un secondo gruppo di studenti. Stalin era morto e con Krusciov l’Unione Sovietica stava iniziando ad aprirsi al mondo.
A Milano stavo frequentando il terzo anno di medicina quando mi fu detto di affrontare un differente genere di studi, economia politica. La cosa fu in un certo modo concordata. Loro mi dissero che era giunto il momento di affrontare un’altra materia e io, ingenuamente, confessai che la mia scelta verso medicina non era stata poi così granitica. “Inizialmente pensavo di fare agraria…”. La mia disponibilità fu colta al volo da loro e io partii.
Quando dice “loro” si riferisce agli alti vertici del Partito Comunista?
Uno dei due uomini che mi proposero questo viaggio si chiamava Aldo Lampredi, era l’uomo che comandò il plotone di esecuzione per Mussolini, un uomo molto vicino a Luigi Longo.
Cosa aveva di così speciale l’università sovietica? Non aveva il timore di andare ad apprendere solo una visione di parte dell’economia politica?
Non era un problema che mi posi quando partii. Ai quei tempi lo studio dell’economia presso l’università di Mosca era uno studio che posso definire “aperto”; certamente era molto avanzato, si studiava molto l’econometria. Il corso di studi era molto serio e severo.
Per prima cosa dovetti imparare il russo di cui non conoscevo nulla se non qualche carattere dell’alfabeto cirillico. Facemmo sei mesi di studio intenso della lingua prima di potere assistere alle prime lezioni universitarie. Ogni lezione durava tre quarti d’ora, intervallate tra di loro da quindici minuti di riposo, in tutto sei ore al giorno. Per noi stranieri che non padroneggiavamo il russo la giornata non terminava lì, erano necessarie altre ore di studio supplementari.
Si studiava molto e molto seriamente.
Ho letto che a Mosca ha avuto modo di conoscere figure straordinarie della musica, Šostakóvič, e Chačaturjan. Il suo amore per la musica classica nasce da questi incontri oppure lo coltivava già quando partì per l’Unione Sovietica?
Quando incontrai queste grandi personalità avevo già coltivato un certo interesse per la musica.
Come tutti i ragazzi di allora avevo ascoltato già qualcosa, soprattutto delle opere. Ricordo una Bohème in un teatro secondario di Milano, il Nazionale, e poi la Traviata il 15 agosto del ’45 nel cortile del Castello Sforzesco. Il Teatro alla Scala non era ancora stato ricostruito e le rappresentazioni si tenevano all’interno del Castello.
Mio padre aveva una trattoria in via Rasori, dove sono nato, e lì venivano spesso dei musicisti. Mi ricordo perfettamente che una sera seguii (c’era ancora l’oscuramento serale durante la guerra) tre musicisti che si muovevano su un’automobile allontanandosi in fretta e furia. Erano tre orchestrali della Scala che arrotondavano suonando la sera nell’osteria di mio padre. Avevo nove anni. Sono cresciuto ascoltando la buona musica.
Quasi ogni settimana venivano all’Università a Mosca a suonare le proprie opere grandi musicisti russi (ricordo ad esempio Ojstrach), si rappresentava la loro musica nell’aula magna. Per noi il contatto con l’ambiente culturale sovietico era frequente, fu in queste occasioni che conobbi Šostakóvič, e Chačaturjan.
C’erano molti stranieri?
Si, allora gli stranieri erano numerosi. Ricordo un gruppo di americani con i quali discutevamo molto nelle serate di libertà, noi, loro e i russi.
Si poteva parlare con una certa libertà quindi.
Si assolutamente si. Era un periodo particolare. Pensi ad esempio al XX° Congresso del PCUS, quello detto della “destalinizzazione”, nel corso del quale Krusciov presentò un rapporto molto diretto e franco. All’università avemmo la possibilità di leggerlo ancora prima che venisse reso pubblico, sia pur con qualche edulcorazione, quando per il resto del mondo era ancora un documento segreto. Noi avemmo l’anteprima, anche se un po’ tagliata, comunque lo potemmo leggere liberamente e potemmo poi confrontarlo tranquillamente con la versione definitiva che fu resa pubblica successivamente. Si trattò di un grande atto di fiducia nei nostri confronti.
Per molti anni lei e Napolitano siete stati incasellati nella categoria dei “miglioristi”, un termine un po’ sminuente per una corrente che meglio poteva definirsi “dei riformisti”. Al di là delle definizioni quali erano i concetti che vi distinguevano dalle altre anime del Partito?
Diversi anni prima che si formasse questa componente riformista c’era stata con Napolitano e con un gruppo di altri uomini un’azione comune con impegni diversi da parte nostra. Successivamente fu formata questa componente riformista che sino da subito rifiutò l’etichetta di “migliorista”.
L’origine del termine migliorista fa parte della cultura americana dell’inizio del XX° secolo, quando in America si formò la “corrente del migliorismo”. Venne usata nei nostri confronti da Pietro Ingrao in termini alquanto spregiativi e noi la rigettammo immediatamente.
Ci differenziavamo sul principio cardine dell’europeismo e sulla necessità di una politica riformista.
Lei fu favorevole alla Svolta della Bolognina di Achille Occhetto, che segnò lo scioglimento del PCI e la nascita del Partito Democratico della Sinistra. Soffrì per la fine di un’era o gioì per l’avvento di una prospettiva nuova?
Noi aderimmo con una certa indipendenza, se preferisce possiamo dire con una certa autonomia, a quella politica.
Quando dico “noi” intendo Napolitano, Macaluso, Chiaromonte, Pelikan, io stesso e alcuni altri che poi confluirono nella segreteria della componente riformista. Noi avevamo già fatto le nostre scelte e le avevamo già attivate in un gruppo di lavoro.
L’attuale segretaria del PD Schlein suscita, sia pur in modo non apertamente dichiarato e palese, un certo scetticismo all’interno del PD. Lei cosa ne pensa?
Io sono molto critico nei confronti delle posizioni della Schlein e verso l’azione politica che lei dice di perseguire.
Quando guarda la medaglia che le diedero conferendole l’Ambrogino d’oro lei pensa che si tratta di un riconoscimento per grande capo dei comunisti milanesi o per l’uomo che ha presieduto innumerevoli attività culturali a Milano, come ad esempio la fondazione sinfonica Giuseppe Verdi?
Credo che sia stato un riconoscimento dato a entrambi, un apprezzamento al politico e all’uomo.
C’è anche una Presidenza di lungo corso che lei ha ricoperto dal 2009 al 2002, quella della Fondazione Italia Russia Lombardia. Si sarebbe mai aspettato che in pieno XXI° secolo la Russia potesse scatenare una guerra di invasione puntando verso Occidente?
Non mi aspettavo che potesse accadere nei termini nei quali è accaduto, anche se ero già critico nei confronti di Putin.
Lei ha collezionato una delle maggiori raccolte italiane di opere di Dante. Che emozione si prova nell’aprire con le proprie mani una copia antica o magari una copia rara che solo pochi al mondo hanno avuto il privilegio di potere ammirare e nel leggervi le parole di Dante Alighieri?
Dante è sicuramente il più grande poeta italiano e certamente uno dei più grandi poeti della storia mondiale. Io ho raccolto ventuno copie degli ultimi anni del Quattrocento e del Cinquecento.
Nel Cinquecento ne sono uscite trentaquattro, lei ne può vedere qui una ventina. Così come delle opere rare del Macchiavelli.
Visto che lei ama Dante come me, mi dica lei che impressione si prova. Ecco prenda, apra questo volume, è del 1491.
Devo dire che per diverso tempo ho avuto il privilegio, anche con l’aiuto prezioso di Andrea Cervetti, di tenere tra le mie mani e di ricevere lumi riguardo capolavori assoluti della nostra editoria antica. Pezzi unici dall’inestimabile valore storico e culturale. Leggere le terzine del Poeta passando le dita sopra la carta impressa nel Quattrocento lascia un senso di emozione difficile da rappresentare. Su questo tesoro, vista la disponibilità del mio intervistato, torneremo magari in una prossima pubblicazione.
Da dove nasce il suo amore per i libri antichi?
Quando eravamo ragazzi e frequentavamo la scuola superiore, mio fratello maggiore lavorava in una libreria vicino via dell’Orso, da un tale che si chiamava Chiorazzo. Acquistò una copia del capitale di Marx in francese (ecco la vede lì in quello scaffale), era la seconda edizione, dopo la prima in tedesco la terza in russo. Terza che purtroppo mi è sfuggita, non sono riuscito ad acquistarla preceduto da Guido Rossi. La mia passione nasce dal quel primo acquisto.
Il leader politico più carismatico che ha incontrato nella sua vita.
Senza dubbio Togliatti. Il suo carisma nasceva dalla sua cultura; non si rivolgeva solo alle masse lavoratrici ma anche agli intellettuali e agli uomini politici del suo tempo. Un uomo veramente molto carismatico.
Il suo errore più grande e il suo gesto più coraggioso.
Partiamo dal coraggio. Il mio atto più coraggioso è stato quello di tagliare i fondi che fino a quel momento arrivavano da Mosca e chiudere quella partita.
Ma c’è anche un altro ricordo, legato alla mia gioventù, un atto che richiese un certo coraggio.
Avevo soltanto quindici anni e mi recai a Milano in via Massena. Lì c’era una volta una sezione del PCI, mentre in una via laterale abitava un mio compagno di ginnasio, figlio di un socialista amico di Di Vittorio. Con questo mio amico, che si chiamava Paolo Santi, una sera decidemmo di andare insieme dentro a quella sezione. Si figuri, a quattordici-quindici anni. Entrammo e chiedemmo di iscriverci. Ci guardarono con certi occhi… Allora l’iscrizione alla Federazione Giovanile Comunista richiedeva almeno diciotto anni e noi ne avevamo ben di meno. Peraltro in quella sezione Pci la Federazione Giovanile nemmeno c’era, quindi chiedemmo di iscriverci direttamente al Partito.
L’errore più grande che ho compiuto… mi ci faccia pensare. Temo di averli cancellati tutti dalla mia mente.
Che impressione le fa vedere nuovamente la destra al governo?
Mi viene da ripensare alla storia italiana di questi ultimi decenni. Quantum mutatus ab illo! Oggi poi abbiamo una legge elettorale che consente a una minoranza di divenire una “larga maggioranza”, è un’anomalia.
La storia, come hanno detto prima di noi persone di grande intelletto, non è sempre ascendente. Ci sono anche dei momenti di caduta.
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