“Per sempre giovane, voglio essere per sempre giovane
vuoi davvero vivere per sempre?
È così difficile invecchiare senza una ragione” (Forever Young)
Il tempo lascia la sua patina su ciò che tocca. Tutto invecchia, anche le notizie, per cui capita che Ilary Blasi con un matrimonio riuscito e una vita familiare appagante non solletica più l’appetito feroce di chi è a caccia di scoop e notizie sensazionali. Bisogna ricorrere al fondoschiena della figlia tredicenne paragonato a quello della madre, senza tener conto che bisognerebbe tutelare l’immagine di un minore che tra l’altro non ha scelto di fare un lavoro che rende l’immagine il mezzo attraverso cui procurarsi visibilità e celebrità.
In un periodo in cui la mascherina induce a coprire parte del nostro volto, che vede il calo delle vendite di rossetti, e l’aumento di quello del mascara e matite per risaltare la potenza dello sguardo, nonché quello della tintura per capelli – durante la fase del lock down per la chiusura dei parrucchieri – viene da chiedersi qual è il rapporto col tempo che passa e inevitabilmente lascia segni sul nostro corpo.
Il cinema ha dato vita, sottraendoli alla possibilità di estinzione, a Highlander, ai vampiri eternamente adolescenti di Twilight, la letteratura a Faust e a “Il ritratto di Dorian Gray”.
Gli Alphaville spopolarono negli anni Ottanta con Forever Young, una canzone sulla fugacità del tempo, sul fatto che essere giovani è un’illusione, sul futuro che era incerto ovunque, ma a Berlino era una consapevolezza tangibile perché, all’ombra della cortina di ferro, la presenza militare, la guerra, i carri armati erano presenza quotidiana.
Un ottantenne Borges durante l’intervista per il libro “Diffido dell’immmortalità”, racconta alla scrittrice argentina Liliana Heker la vecchiaia e la frustrazione che presagiva nel suo sogno di immortalità.
Dalla Bibbia al pop, dal folklore alla fantascienza passando per la letteratura gotica, l’uomo non ha mai smesso di predicare, promettere e inseguire l’immortalità. Cercando di liberarsi dal dolore, dalla morte, l’uomo ha inventato il mito, le religioni, accomunate dalla promessa di vita eterna che sopravvive a quella fisica e che è alla base del dualismo innato nell’uomo.
Invecchiano e sono esposti alle insidie del tempo anche tanti personaggi pubblici che fanno dell’eterna giovinezza un must. Basti pensare alla dura battaglia personale e politica contro l’invecchiamento di Berlusconi, ormai diventato una sorta di testimonial dell’industria dell’eterna giovinezza, che porta con orgoglio e quasi ostentazione i segni dello sforzo per ritardare la vecchiaia in cui donne e uomini dell’opulento Occidente oggi sono impegnati. Più di una volta, il Cavaliere, col viso sempre ben rasato, che gli interventi di blefaroplastica hanno tirato a dovere, ha espresso la sua intenzione di conquistare l’immortalità. Don Verzè, il fondatore dell’ospedale San Raffaele di Milano, rivelò nel 2010 che l’allora premier gli aveva chiesto di farlo vivere fino a centocinquant’anni, con la scusa che, se fosse arrivato a quell’età, avrebbe avuto il tempo sufficiente per mettere a posto l’Italia.
All’idiosincrasia berlusconiana per la peluria bianca, condivisa da molti, bisognerebbe opporre lo zaqen ebraico, da zaqan che sta per barba. La vecchiaia era considerata infatti l’età in cui non ci si rade più.
Oggi, la vergogna di invecchiare si esprime in ritocchi estetici che vanno dal trapianto dei capelli alle sopracciglia tatuate, dagli zigomi sollevati alle labbra a forma di canotti. Il wellness si è fatto estremo, inaugurando la rassegna del rimedio miracoloso. Dietro queste mode prospera un’industria che ormai vale tre volte quella farmaceutica, lo stesso concetto di salute si è evoluto nel tempo. Una volta esso era riferito all’assenza di malattie o di disturbi, oggi ci si riferisce ad uno stato di benessere olistico, in cui funzionano sinergicamente condizione fisica, mentale, emotiva.
Il fitness come pratica quotidiana ha dettato la moda come è evidente dall’uso sempre più diffuso di indossare abbigliamento da palestra anche nei luoghi da lavoro e nel tempo libero, dai leggings a indumenti tecnici, alle sneakers.
La corsa all’eterna giovinezza è condotta dalle star del cinema e del web. Gwineth Paltrow sul suo sito Goop propina ricette salutistiche che oscillano tra fandonie e marketing spinto, mentre Di Caprio fa le docce di vitamina C.
Il termine Hybris, con cui nell’antica Grecia si indicava la presunzione di forza, di potenza, propria dell’uomo che offende gli dei in quanto mette in discussione l’ordine precostituito, oggi designa il progetto ambizioso di perfezionare il genere umano in cui finanziatori, i supermiliardari della Silicon Valley, investono cifre astronomiche nella convinzioni di poter decifrare il codice della vita. Il corpo concepito come sistema, è trattato come un computer, e la vecchiaia come un bug del software, una semplice crepa, mentre invecchiare sarebbe un errore di programmazione. L’uomo sarebbe, quindi, trattato come un algoritmo.
C’è chi addirittura arriva ad immaginare la sopravvivenza dopo la fusione di parte meccaniche con cervelli umani conservati nel cloud, un processo di ibridazione di intelligenza biologica e non biologica. Il corpo, di conseguenza, sarebbe puro accessorio in quante deperibile, mentre la mente ci caratterizzerebbe come individui in quanto capace di sopravvivere caricandola su un hard disk.
Dinanzi ad ipotesi che ci fanno venire in mente il robot positronico di “L’uomo Bicentenario” del racconto fantascientifico di Asimov, è necessario rivendicare un umanesimo che metta al centro l’uomo, la sua imperfezione, la consapevolezza del limite. Bisognerebbe iniziare a opporsi alle mode del tempo, cominciando ad esibire la propria età senza vergognarsene, senza usare inganni per nasconderla, rivendicando il diritto degli anziani di non essere giovani.
Occorrerebbe dare un nuovo valore a ciò che è invecchiato.
Il termine rottamazione, un tempo applicato ai prodotti della tecnica, e largamente utilizzato da un rampante Matteo Renzi, giovane, determinato, ambizioso che ne ha fatto parola chiave della sua leadership, oggi è tristemente entrato nel linguaggio quotidiano per indicare l’atto di fare fuori ciò che è vecchio.
Dinanzi alle ambizioni di immortalità bisognerebbe considerare quale angoscia sarebbe vivere eternamente.
Sarebbe utile, a tal proposito, ricordare il mito greco di Eos, L’Aurora, sorella del Sole e della Luna che pregò Zeus di concedere al suo amante Titono la vita eterna, dimenticando però di chiedere per lui anche l’eterna giovinezza. Soffrendo nel vederlo diventare sempre più vecchio, decrepito e privo di forze, decise di tornare da Zeus e ottenne che fosse trasformato in una cicala. Da qui l’ininterrotto frinire con cui, racconta il mito, chiede continuamente di essere liberato dalla sua condanna all’immortalità.
In foto: Susanna e i vecchioni, Pacecco De Rosa (Quadreria Barocca del Museo di Capodimonte, Napoli)
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