Perché fare la morale ai giovani che hanno rifiutato il lavoro a Expo?

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22 Aprile 2015

Desta un certo scandalo, una certa qual sottile indignazione, il rifiuto di massa, almeno l’ottanta per cento dei seicento prescelti, di quei ragazzi (sotto i 29 anni) che avrebbero dovuto lavorare all’Expo con un contratto di sei mesi per uno stipendio tra i 1300 e i 1500 euro netti/mese, sabato, domeniche e notturni compresi, come da contratto di apprendistato. Per la verità, girano in rete diversi commenti e testimonianze dei diretti interessati che smentirebbero il quadro, o almeno lo renderebbero ben più complesso. Ma prendiamo per buono il dato strillato su tutti i giornali, e ragioniamo di quello.

Personalmente sono affascinato dai rifiuti, racchiudono sempre qualche elemento di insondabilità, frammenti di inquietudine, alle volte danno il segno di una certa personalità, possono persino rappresentare una (ingenua) rivincita sociale. Ecco, appunto, i social. Sui social ovviamente non c’è pietà per questi – nella migliore delle ipotesi – “sfaticati”, tra lazzi e insulti vengono consegnati alla collina del disonore, e a “mandarceli” sono persone di tutte le età, mature come il sottoscritto, coetanei incazzati per quello scempio di opportunità, persone ragionevoli e gente per cui basta fare casino.

La pratica del rifiuto non è affatto cosa nuova. Molto spesso, di fronte a un lavoro, le persone spariscono letteralmente, e spesso sono giovani. C’è naturalmente una quota che nell’attesa trova un lavoro più strutturato, di un arco temporale più lungo, magari anche indeterminato. Ma la gran parte dei rifiuti rimane avvolta dal mistero e accolta dall’incomprensione generale: chi può avere la faccia così di bronzo di ignorare il lavoro? L’equazione di questo tempo gramo assume spesso il volto del ricatto: chi sei tu, giovane senz’arte né parte, per poterti permettere questo lusso? Non hai esperienza, non hai curriculum, non hai presentazione, né segnalazione, né raccomandazione di nessuno, anzi, diciamolo chiaramente, tu stesso sei proprio nessuno. E allora, presuntuosetto che non sei altro, ma non ti vergogni?

Per come oggi abbiamo costruito la società, la nostra personalità, le nostre aspettative, ciò che siamo e che vorremmo (per noi e per gli altri), non avrebbero dignità di rappresentanza. Sul piatto della bilancia ci sono, da una parte le caratteristiche di un certo lavoro che ci viene offerto (restando a Expo, mettiamo che sia “responsabile di una zona circoscritta, punto di riferimento per i Paesi o per i visitatori, con segnalazione di tutte le problematiche che si possono presentare, coda fuori da un padiglione, persona che ha bisogno di assistenza, ecc….), dall’altra ciò che penseremmo giusto per gli studi fatti, le sensibilità personali, le nostre passioni e molto altro.

Spesso questi due aspetti divergono. Non sono paralleli, non combaciano, né tanto meno si sovrappongono. Va detto che solo nel mondo ideale i lavori della nostra gioventù collimano con i nostri sogni, si scende sempre a patti con la dura realtà, tutto è frutto di onesta mediazione e sperabilmente di sano compromesso. Ma perché stilare giudizi morali (o anche peggio) perché qualcuno rifiuta questa zona inevitabilmente grigia, perché invece non apprezzare, o quanto meno cercare di capire, chi decide che no, alla fine quel lavoro non rappresenta nemmeno una parte minima della fatica dei nostri studi, delle nostre aspettative?

Del resto, chi dice no, chi rifiuta un lavoro stagionale com’è quello di Expo, si consegna mani e piedi alla sua coscienza, che da quel momento in avanti avrà sempre meno alibi. Avrà a che fare con il senso di colpa, verso di sé, verso i genitori e gli amici che magari, con studi altrettanto nobili, fanno i camerieri in un bar. Una lotta per niente facile, quotidiana, in grado di rosicchiare lentamente particelle di autostima e portare alla depressione e alla inevitabile mancanza di fiducia. Il punto è sempre lo stesso: fino a quando abbiamo diritto a rappresentare con orgoglio le nostre istanze di fronte al mondo del lavoro?

Tutti quelli che sono entrati in questa dimensione, rifiutando quel lavoro di Expo, non possono non essere compresi. Sugli altri, sugli sfaticati a oltranza, non c’è da perdere molto tempo.

 

TAG: contratti, expo2015, Lavoro, manpower
CAT: lavoro dipendente, Milano

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