#2 – Cosa succede nella politica italiana – Ma davvero si vota a ottobre?
Ma davvero si vota a ottobre? E’ possibile, come dicevamo anche l’altra volta. Tuttavia bisogna andarci piano. Il metronomo di tutto questo lambiccarsi sul calendario per capire quando ci saranno le elezioni politiche è la legge elettorale, quindi è quello il dibattito da tenere d’occhio per sapere quando ci saranno le elezioni.
Questa settimana la commissione affari costituzionali della Camera ha adottato il testo base, denominato dai giornalisti ‘Rosatellum’, dal nome di Ettore Rosato che lo ha promosso. E’ un mix paritario fra proporzionale e maggioritario. Ma potrebbe anche non essere il testo definitivo. Silvio Berlusconi è ritornato centrale nel dibattito con una proposta che ha un po’ spiazzato tutti: ha proposto al Pd di votare il modello tedesco (proporzionale con sbarramento al 5%) approvarlo in fretta e andare a votare a ottobre.
La palla è in mano al Pd, perché è il partito con più parlamentari e quello senza il quale una legge non si può approvare. Martedì Matteo Renzi ha annunciato che ci sarà una direzione del Pd nella quale il partito deciderà la linea da tenere. Lunedì si consulterà con tutti gli altri partiti per capire cosa sarebbero disposti a votare.
Per schemi.
Sinistra: L’universo alla sinistra del Pd è tendenzialmente favorevole al proporzionale: ognuno si prende i suoi voti, poi si va in parlamento a contarsi. Sperando di essere indispensabili per il Pd e porre il veto sul nome di Matteo Renzi. C’è anche chi (come Giuliano Pisapia) vorrebbe invece un maggioritario per tornare così allo schema che ha caratterizzato buona parte degli ultimi vent’anni. Centrodestra e centrosinistra fanno delle alleanze prima del voto, si scontrano alle elezioni, chi prende un voto in più vince.
Area Popolare: il partito di Alfano è fra l’incudine e il martello, ma è anche determinante per la tenuta del governo. Un sistema proporzionale (ammesso che superi lo sbarramento) lo farebbe essere probabilmente decisivo per la nascita di qualsiasi governo. Un maggioritario, anche parziale, lo costringerebbe a fare una scelta definitiva fra Renzi e Salvini. In più chiedere ad Ap di votare una legge che tenga fuori dal parlamento chi è sotto il 5% sarebbe come chiedere al tacchino di apparecchiare per il pranzo di Natale.
Lega: Tendenzialmente favorevole al maggioritario nell’ottica di un’alleanza con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Ma animata dalla smania di andare a votare il prima possibile. A parole i leghisti sono pronti a votare qualsiasi legge pur di farlo presto.
Forza Italia: Nel centrodestra classico ci sono sostanzialmente due anime. Una maggioritarista (Toti, Romano) che vedrebbe bene un’alleanza strutturale con la Lega come ai vecchi tempi. Una proporzionalista guidata da Berlusconi stesso che vorrebbe discutere la nascita di un governo dopo le elezioni a seconda del peso parlamentare, sperando di essere determinante. E che quindi propone il modello tedesco. Anche perché fra Renzi e Salvini il cuore di Berlusconi è, nonostante tutto, decisamente più affezionato al primo.
Movimento 5 Stelle: vorrebbe un sistema proporzionale con premio di maggioranza, simile a quello uscito dalla consulta. Non vuole i collegi uninominali perché si troverebbe costretto a mettere in campo in ogni territorio un candidato con un consenso personale e nel M5s i candidati con un consenso personale si contano sulle dita di una mano, forse due. In ogni caso Grillo ha messo ai voti fra i militanti
E il Pd? Come al solito ci sono mille anime che vanno dai sostenitori di un maggioritario (che permetta la rinascita di un centrosinistra alla Prodi, per intendersi), e i sostenitori del proporzionale. Senza contare che c’è anche un partito del governo, che trova una sonda autorevole nel presidente della Repubblica, che a votare vuole andarci a scadenza naturale, nel 2018, permettendo al governo Gentiloni di governare fino ad allora. Martedì sapremo chi avrà vinto nel Pd e che piega prenderà il percorso della legge elettorale. Ma, come dimostra la polemica scoppiata sui voucher (che un emendamento alla manovra vorrebbe ripristinarli in un’altra forma dopo l’abrogazione fatta per evitare il referendum che sarebbe dovuto essere domani) da qui alla fine di questa fase per il governo sarà un campo minato.
(Ma perché ogni progetto di legge elettorale viene chiamato con una parola latina che finisce in -um? Tutto nacque nel 1993 quando Giovanni Sartori, con feroce ironia, battezzò ‘Mattarellum’ la legge elettorale mista promossa dall’attuale presidente della Repubblica. L’uso del neutro della seconda declinazione latina è un uso pomposo per definire un corpus legislativo. La definizione ha avuto talmente tanto successo che da allora chiunque proponga il testo di una legge elettorale vede latinizzato il suo nome a volte anche con effetti un po’ ridicoli: Porcellum, Italicum, Rosatellum, Toninellum e via di questo passo).
Cos’è successo a Parma con la Lega Nord
Domenica sono stato al congresso della Lega Nord a Parma dove, oltre a confermare Matteo Salvini come segretario, si è sancito il cambio di pelle del partito che nello scenario della politica italiana attuale esiste da più tempo: non più un sindacato del nord, ma un movimento sovranista come il Front National di Marine Le Pen. Una volta, sintetizzando al massimo, lo slogan era “Prima il nord”, adesso è “Prima gli italiani. Questa vicenda ha avuto dei momenti anche abbastanza simbolici. Quando un dirigente di Varese è salito sul palco e ha pronunciato le parole “indipendenza e secessione” (un tempo parole d’ordine leghiste) dalla platea si sono alzati i “buh”. E una contestazione è toccata anche al padre fondatore Umberto Bossi, che fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile di fronte ai militanti leghisti. Lui ha detto che per il momento non se ne va dalla Lega. Salvini ha risposto che ai suoi insulti ci è abituato e ha detto che non gli porterà mai rancore.
Il casino in Rai
Se la legge elettorale scandisce tempi e modi del dibattito politico, c’è una costante nella politica italiana: nessuna cosa anticipa i sussulti che ci saranno al governo e in parlamento come quello che succede fra chi comanda in Rai. E’ un sismografo magico in grado di prevedere i terremoti. (A scanso di equivoci: è una metafora, eh. I terremoti quelli veri NON si possono prevedere).
Il consiglio d’amministrazione, nei giorni scorsi, ha respinto il piano news del direttore Antonio Campo Dall’Orto, ex Mtv e uomo che capisce di televisione, ma poco aduso a confrontarsi con le pratiche di sottogoverno. Ieri sera si è dimesso. Adesso non si capisce bene cosa succederà: se dovesse dimettersi anche il cda si creerebbe un vuoto di potere che andrebbe a coincidere, probabilmente, con la fase che ci porterà alle elezioni.
Quella della Rai è una vicenda molto molto complicata. Ne ha fatto una bella ricostruzione, prima delle dimissioni di Campo dall’Orto, un articolo del Post, che è un po’ lungo, ma ci sono moltissimi dettagli interessanti. C’è da dire che (il Post non firma gli articoli) è molto molto probabile che sia stato scritto direttamente dal suo direttore Luca Sofri che (come si segnala in maniera onesta nel pezzo) è il marito del direttore di Rai Tre Daria Bignardi. Quindi è un pezzo che si fa forte di una grande familiarità con l’argomento, ma che, inevitabilmente, sconta un punto di vista. E lo stile di scrittura sembra proprio quello, elegante e sempre molto efficace, di Luca Sofri stesso.
Comunali: partiamo dal mare
Le due città più grandi dove si vota l’11 giugno sono Genova e Palermo. Ci sono due situazioni abbastanza diverse tra loro, ma anche abbastanza emblematiche. Come spiegavo l’altra volta, le comunali, delle quali per ora si parla pochissimo, sono da seguire con attenzione per gli effetti che potrebbero avere.
Genova è la città di Beppe Grillo, ma è quella dove il Movimento 5 Stelle è diviso in tre, per il casino che è successo quando hanno scelto il candidato sindaco. Le primarie le aveva vinte Marika Cassimatis che però è stata spodestata dallo staff del blog che ha imposto il candidato Luca Pirondini. La Cassimatis si è candidata lo stesso, portandosi dietro una parte degli attivisti. Come se non bastasse è in campo anche Paolo Putti, grillino della prima ora ed espulso in polemica con la gestione dello staff. Con lui ci sono un po’ degli attivisti dei primi tempi insieme a qualche pezzo di sinistra. In questo quadro al ballottaggio potrebbero andarci Gianni Crivello (Pd) e Marco Bucci, in uno scontro centrosinistra-centrodestra abbastanza tradizionale. Bucci è un manager pubblico conosciuto in città e sostenuto da Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia e Area popolare. Vorrebbe riuscire a fare quello che qualche anno fa è riuscito a Giovanni Toti che con questo schema del centrodestra unito è diventato presidente della Regione.
A Palermo invece la situazione è molto più complicata. Basti pensare che il candidato che cinque anni fa sostenne il Pd, Fabrizio Ferrandelli, oggi è candidato per Forza Italia, mentre il sindaco uscente, un personaggio popolarissimo in città come Leoluca Orlando, nel 2012 vinse contro il Pd e oggi è sostenuto da un’alleanza fra Pd e Area popolare, che a Genova sta col centrodestra. A Palermo Salvini non è alleato con Forza Italia, ma sostiene il candidato di Fdi Ismaele La Vardera. Anche qui nel M5s ci sono state polemiche interne: alla fine l’ha spuntata Ugo Forello che è il candidato sostenuto da tutto il movimento con la benedizione di Grillo.
Cambiando discorso, devo trovare una foto o un’immagine simbolica da associare a questo riassuntone settimanale. Si accettano suggerimenti.
Intanto un po’ di cose da leggere
- Il pezzo sulla Rai del presunto Luca Sofri, di cui parlavo prima.
- Solo per cultori del genere: un’intervista a D’Alema.
- Intanto a Taormina oggi finisce il G7, con Trump, Macron, Merkel e compagnia. Qui c’è tutto quello che bisogna sapere.
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