Brexit, Cameron e l’incudine Johnson: Corbyn può e deve approfittarne

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24 Febbraio 2016

Il Leader del Labour Party Jeremy Corbyn ha davanti a sé la rarissima chance di raggiungere due obiettivi con una sola, larga, ambiziosa – e scomodissima – operazione politica. Il referendum sull’Unione Europea, a queste condizioni, può infatti avere un vero e proprio effetto dinamite sull’unità di un Partito Conservatore al momento ancora egemonico, e allo stesso tempo essere la scintilla per una rinnovata azione politica a lungo termine nell’intero – nazionale ed Europeo – panorama politico.

Dal momento della domenicale endorsement pro-Leave, il sindaco di Londra uscente Boris Johnson rappresenta senz’altro una pericolosa minaccia per il Primo Ministro David Cameron. L’MP (Member of Parliament, deputato) per il collegio di Uxbridge e Ruislip ha pubblicato nella tarda mattinata di lunedì un post su Facebook – molto oltre ogni standard di lunghezza – nel quale ha spiegato la decisione di sostenere l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Siamo stati così tanto abituati alla Tata di Bruxelles che siamo tornati bambini, incapaci di immaginare il futuro con indipendenza. Noi abbiamo creato il più grande impero che il mondo abbia mai visto, e con una popolazione domestica molto inferiore e una Pubblica Amministrazione relativamente piccola. Siamo veramente diventati incapaci a negoziare degli accordi commerciali [riferendosi ai necessari trattati che andrebbero a sostituire il mercato unico ora vigente nell’Unione dopo l’eventuale uscita]?

In sostanza, un saggio davvero ben scritto – è una penna fine, Boris Johnson, in passato anche giornalista – che sembra shakerare assieme nazionalismo e liberismo condendoli con agrodolci quanto distanti nostalgie del vecchio Impero.

Dall’altra parte, David Cameron è tornato dalla fatica di Ercole del Consiglio Europeo a mani quasi vuote. Non la totale abolizione dei benefit per gli immigrati europei, ma solo la possibilità di ritardarle (concedendole dopo quattro anni), con una vaga opzione di utilizzare un “freno di emergenza” (e sulla relativa chiarezza di tutta la questione ha scritto anche Paul Mason sul Guardian). Non una vera ‘indipendenza’ dalle regole europee, ma solo la possibilità contingenziale di recedere da alcune di queste. In sostanza, l’intera faida nel campo dei Conservatori si basa sulla lotta a chi soddisfa meglio le mire della costituency finanziaria con sede nella City, e con la discutibile performance del Primo Ministro sia Johnson che Iain Duncan Smith (noto euroscettico, capofila dei ministri dissidenti del governo Cameron) che – guarda chi rispunta! – Nigel Farage sembrano essere stavolta sul lato giusto della barricata. Per tutti gli euroscettici, quelli che lo sono ideologicamente e quelli che vedono i loro interessi messi sempre più in pericolo dall’Unione matrigna.

Jeremy Corbyn è un naturale critico della costruzione europea – racconta anche Owen Jones -, indignato dalla vicenda greca in estate, che sta formando legami sempre più stretti con Yanis Varoufakis e il suo neonato Movimento per la Democrazia in Europa (DiEM25). Oltre a questo, Corbyn non vede di buon occhio l’influenza delle multinazionali sulle politiche fiscali e del lavoro della Commissione Europea, ed è decisamente insoddisfatto dell’inettitudine dell’Unione nei confronti di crisi migratoria e cambiamento climatico. Questioni dirimenti, che ha sottolineato anche durante il suo intervento alla Camera dei Comuni di lunedì. Tuttavia, in questo scenario piuttosto articolato, uno strappo sembra allargarsi soprattutto – stavolta – tra le maglie dei Conservatori, scoprendo una pericolosa debolezza che il Labour può sfruttare per colpire il governo di Cameron e guadagnare uno slancio positivo verso il referendum che si terrà il 23 giugno.

Corbyn può spingere Cameron contro l’incudine euroscettica rappresentata da un rivale interno molto popolare come Boris Johnson, e concentrarsi sulle profonde ragioni che fanno del Labour una forza intrinsecamente europea ed europeista. In sintesi, il frame da imporre dovrà più o meno essere questo: l’Unione Europea ha senso perché – e solo se – realizza i valori del Labour; l’accordo raggiunto da Cameron è una farsa – o un “teatrino”, come brillantemente già descritto da Corbyn stesso nei Comuni; l’unico obiettivo di Boris Johnson e i suoi compari euroscettici è quello di spianare la strada all’avidità del settore finanziario. Il risultato auspicabile di una strategia del genere sarebbe quello di togliere respiro politico al primo nemico del Labour, che rimane il Primo Ministro David Cameron, spingerlo fuori dal “centro della politica” (definizione cara soprattutto a Tony Blair), e infine ‘schiacciarlo’ con il martello di una rinnovata idea di ‘Europa Sociale’, animata dal rispetto per lavoratori e diritti umani. Un rischioso ‘Vaste programme’, senz’altro, ma l’alternativa, cioè allinearsi con l’ipocrisia dei Conservatori ‘compassionevoli’ solo per sventare lo spauracchio dell’uscita dall’Unione Europea, sarebbe anche peggiore. Per il Labour è tempo di lottare, e di farlo con la strategia più ambiziosa possibile.

@nicoloscarano

TAG: boris johnson, Brexit, david cameron, Gran Bretagna, Jeremy Corbyn, referendum, Regno Unito, Ue
CAT: Istituzioni UE, Partiti e politici

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