Su Eurobond e spese comuni lo scontro è tra economia e diritto

11 Gennaio 2016

Uno spettro si aggira per l’Europa, lo spettro degli eurobond. Oggi pare proprio che questo spettro sia destinato a fare la fine di quello della citazione originale: il comunismo. Questo spettro è stato evocato la settimana scorsa, in un consesso di sensitivi della questione, dove meno ci saremmo aspettati, la Germania, e in particolare la Bucerius Law School dell’Università di Amburgo. Ci ha sorpreso l’interesse della Germania per gli Eurobond, o la loro memoria, e ci sorprende l’interesse di un centro di studi giuridici per la questione. Ma è stato interessante scoprire che alla fine sul progetto di integrazione europea non pesa solo e tanto la divisione tra nord e sud, quanto il conflitto tra diritto ed economia. In questo post raccontiamo questo interessante convegno e i tratti salienti di questo conflitto.

Il confronto tra studiosi che si sono occupati di eurobond in economia e in diritto si è sviluppato intorno a una tavola disposta a ferro di cavallo, e la disposizione iniziale, assolutamente spontanea, dei partecipanti al seminario è stato il riflesso, quasi per una predisposizione innata o genetica, della distinzione tra europei che la crisi ci ha impresso in testa. Da una parte del ferro di cavallo, noi tre italiani, un greco e un francese (sebbene ascritto all’università di Liverpool). Dall’altra, per affiliazione se non per nascita, tedeschi e due olandesi (uno italiano di nascita e formazione). Alla fine dei due giorni di dibattito questo schieramento iniziale è stato stravolto e mischiato con un altro: gli economisti da un lato, che hanno mostrato come gli Eurobond possano portare benefici a tutti i componenti dell’area euro; dall’altro i giuristi, che hanno messo in luce come nella giungla di norme europee non ci sia spazio, o lo spazio non sia più che una fessura, per forme di mutualizzazione del debito.

Tra i vantaggi degli Eurobond non è più in evidenza il salvataggio dei paesi della periferia da parte dei paesi del centro o la garanzia da parte dei paesi forti ai paesi deboli. Come ha rilevato Alessandro Missale della Statale di Milano, a questa funzione si è sostituita la BCE, da quando il nostro comune maestro Mario Draghi ha prima affermato a parole nel luglio 2012 la difesa dell’Euro ad ogni costo (il famoso “whatever it takes”) e poi nell’agosto l’ha trasformata in strumento di politica economica dotando la BCE dell’arma nucleare OMT (“outright monetary transaction”). Solo nel caso in cui quest’arma nucleare, mai utilizzata, si rivelasse inefficace, la mutualizzazione del debito potrebbe ritornare attuale come strumento di salvataggio dell’euro.

I vantaggi che oggi sono maggiormente avvertiti sono invece quello di favorire lo sviluppo di un mercato di titoli omogenei, e quindi liquido, e a basso rischio e di sviluppare il processo di integrazione europea richiamando spese comuni. A fronte di questi benefici, la vecchia preoccupazione dell’azzardo morale ha perso vigore. L’azzardo morale è la vecchia storia per cui siccome sai che qualcuno pagherà per te, non hai incentivo a tagliare le spese del tuo bilancio r renderlo sostenibile. Insomma, “paga Pantalonen”, in una versione moderna ed europea del vecchio adagio. In realtà i relatori nostri ospiti hanno dimostrato che questa preoccupazione persisterebbe se gli eurobond fossero costruiti in una forma tecnica particolare, cosiddetta “pro rata”, in cui ognuno risponde per la sua parte di perdita. In questo caso, i paesi che pagano un premio per il credito più alto, si gioverebbero di sostituirne parte con eurobond che pagherebbero il premio al rischio medio dei paesi dell’euro, e quindi minore.

Se invece della garanzia “pro rata” gli eurobond fossero emessi con una garanzia congiunta dagli stati, questo trasferimento di rischio potrebbe essere controllato e addirittura rovesciato adottando la proposta della commissione Monti, che prevedeva l’emissione comune di titoli “blu”, un colore rassicurante a rappresentare il loro basso rischio, e di titoli “rossi”, emessi dagli stati e più rischiosi. Il meccanismo di separazione del rischio sarebbe quello della “subordinazione”, tristemente noto oggi in Italia per i casi delle quattro banche. In caso di default, gli eurobond “blu” verrebbero ripagati prima di quelli “rossi”. Con questa tecnica, inoltre, il rischio si travaserebbe dai titoli “blu” a quelli “rossi”, quelli che gli stati dell’euro possono emettere a loro discrezione. In questo modo la conseguenza dell’“azzardo morale” si muterebbe nel suo opposto, e renderebbe più costoso per ogni stato allentare i cordoni della borsa. Angelo Baglioni ed io mostriamo questo effetto con dei numeri ed io ricordo la prima presentazione del nostro lavoro in un convegno in Banca d’Italia, nel giugno del 2011, prima dell’estate del terremoto, quando il capo economista del Ministero dell’Economia italiano dichiarò la sua contrarietà a questa proposta di eurobond proprio per questo effetto di “tagliola” per la spesa pubblica.

Insomma, per gli economisti gli eurobond sono una buona cosa, se fatta con giudizio. Ma ecco che i giuristi ribaltano completamente la prospettiva. Un esperto di legge comunitaria della Bucerius Law School argomenta come la garanzia congiunta sia in contrasto con il trattato di Lisbona. La presentazione corre veloce sugli articoli del trattato come se fossero tasti di un pianoforte, e il ritornello è sempre l’articolo 125, nel punto dove dice che “uno stato membro non può essere responsabile o assumere le obbligazioni di governi centrali, regionali, locali o altre autorità pubbliche, altri organismi governati dal diritto pubblico, o imprese pubbliche di un altro stato membro”. Un giurista di Cambridge obbietta che questo divieto riguarda la garanzia di “uno stato membro” che non è una garanzia congiunta, ma il relatore risponde con un argomento che mi ricorda un vecchio film giallo: in quella garanzia congiunta i paesi possono morire uno per uno, come “dieci piccoli indiani”, e ognuno di essi morendo prenderebbe su di sé le colpe degli altri. Niente garanzia comune, quindi, e l’unica strada percorribile è la garanzia “pro rata”.

Ecco il paradosso, quindi: per l’economia fare gli eurobond “pro rata” genererebbe l’azzardo morale, e spingerebbe i paesi e prendere più debito, mentre per il diritto comunitario questo tipo di prodotto sarebbe l’unico consentito, in omaggio allo stesso principio di evitare l’azzardo morale e l’assunzione dei debiti degli altri. Sembra che il diritto in Europa sia ispirato al contrario del paradiso terrestre: è tutto vietato meno che mangiare la mela. La preoccupazione per queste regole e la richiesta di cambiarle viene anche dagli economisti, e nel convegno è stata reiterata dal capo economista della Banca Mondiale, Kaushik Basu, in un lavoro insieme a Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia del 2001. Ma gli esperti di diritto sono incerti, e dal loro punto di vista hanno ragione. La costruzione europea del diritto è un castello di carte, e non siamo sicuri se togliere la cenroventicinquesima carta non faccia crollare tutto il castello. Tanto più che un altro esponente dell’accademia giuridica, proveniente questa volta dall’Erasmus School of Law di Rotterdam, ha avuto il compito di metterci in guardia sul fatto che non c’è solo la legge comunitaria, ci sono anche le costituzioni dei paesi aderenti e le loro corti. E ammonisce che la temuta corte di Karlsruhe non è l’unica dalla quale possono provenire i problemi.

La domanda che resta è: cosa si può fare in questa Europa? L’intersezione tra diritto economia non è proprio l’insieme vuoto, ma contiene pochissimi oggetti. La prima cosa è mettere insieme le spese che gli eurobond dovrebbero finanziare. Finanziamenti congiunti limitati a un progetto si possono ancora fare in accordo con la legge, e ai partecipanti è piaciuta la proposta di Alessandro Missale di un finanziamento comune per un progetto comune sulla questione dei rifugiati. Le uniche domande sulla questione sono state tecniche: chi emetterebbe questi titoli per finanziare spese eccezionali, e come si riconoscerebbe una spesa eccezionale. Un’alternativa simile sarebbe definire un perimetro di spese da mettere in comune (difesa, ad esempio) e finanziarle con emissioni comuni. In questo modo gli eurobond farebbero da traino all’integrazione del bilancio europeo.

Purtroppo dalla collezione degli interventi dei giuristi mi è parso che questa condivisione parziale di spesa non sia fattibile. Sarebbe invece realizzabile il progetto di Schaeuble, di condivisione completa della spesa pubblica. Il problema è che questo mostro pare spaventare anche i giuristi, anche quelli che tra di loro si annoverano tra i falchi. Ricordo due frasi che mi hanno fornito l’immagine tangibile del Leviatano. La prima riguarda il fatto che per essere conforme allo spirito dei trattati questo progetto dovrebbe coincidere con il divieto di emissione di titoli a livello nazionale. La seconda riguarda i requisiti di indipendenza che dovrebbero essere assegnati a questa autorità europea del debito pubblico, che vengono paragonati a quelli della banca centrale: anche il relatore olandese, che stava dalla parte dei falchi, non ha potuto nascondere il proprio imbarazzo di fronte a questa proposta, ricordando che sotto il profilo tecnico-giuridico questo tipo di indipendenza collocherebbe questa autorità del debito, insieme alla banca centrale, a un rango “quasi-costituzionale”.

In conclusione, cambiando la legge o rafforzando la legge si può far poco, e si può far peggio. Si potrebbe addirittura realizzare il primo caso (a quanto mi risulta) di indipendenza della politica fiscale e monetaria, e quindi dell’intera politica economica, dalla politica: un’Europa da cui scappare. La domanda che resta è se si può fare qualcosa per stare alla larga dalla palude del diritto comunitario. Mi sembra di capire che si possa fare in due modi. Il primo è emettere gli eurobond in modo che siano privi di rischio: Angelo Baglioni ed io abbiamo mostrato che questo potrebbe essere fatto depositando garanzie reali (come è stato fatto per il meccanismo europeo di stabilizzazione, ESM), e questo neutralizzerebbe l’articolo 125 e la sua banda. L’altra cosa è rifugiarsi nel diritto privato. In un intervento provocatorio che ho rivolto ai giuristi, ho chiesto: perché i privati non fanno una scatola (una SPV), ci mettono sopra un nome carino del tipo, “Fuck 125”, comprano 3000 miliardi di titoli e emettono 2000 miliardi di titoli “blu” (titoli a rimborso prioritario), e 1000 miliardi di titoli “rossi” (titoli subordinati a maggior rischio)? Ovviamente il problema di azzardo morale sarebbe presente anche qui, ma non rientrerebbe sotto la mannaia dell’articolo 125, e gli altri pregi degli eurobond (liquidità e sicurezza del mercato) sarebbero mantenuti. Il relatore ha risposto alla domanda provocatoria con un’altra domanda: cosa ne penserebbe il mercato? Un’invasione di campo: la fattibilità nel mercato sono affari nostri, e non dei legali, e alla vigilia del Quantitative Easing ci sono state proposte in tal senso. Un gruppo di economisti aveva fatto questa proposta alla vigilia del lancio del Quantitative Easing, e io stesso ho fatto uno studio di fattibilità con un amico di Banca d’Italia. Anche su questo, quindi, la parola sul futuro dell’Europa passa dalla politica e dalla burocrazia al mondo dei privati: speriamo che il mondo del mercato, tanto biasimato in questi anni, possa riscattarsi raccogliendo la sfida.

TAG:
CAT: Istituzioni UE, Politiche comunitarie

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