Lega: il destino di Salvini, il nome, lo statuto. Tutte le questioni sul tavolo

4 Ottobre 2022

Dopo i risultati elettorali della Lega si apre una fase di scontro interna al partito. Resisterà la leadership di Matteo Salvini al malcontento che monta nel suo partito? E quali sono le strade che, a fronte degli equilibri politici e delle regole statutarie, possono portare alla sua sostituzione?

Molti esponenti storici (ad esempio Bossi, Maroni e Castelli) chiedono un cambio di rotta e di vertice, ma nonostante il rispetto che alcune personalità suscitano nel mondo leghista, bisognerà aspettare di capire quali saranno le decisioni dei dirigenti attuali e dei parlamentari neo-eletti, che sono stati scelti in gran parte da Matteo Salvini in persona.

In questa resa dei conti interna si mettono in dubbio la gestione politica del segretario e le scelte fatte sino ad ora nei governi ai quali la Lega ha partecipato. Il nord leghista non ha mai accettato il compromesso sul reddito di cittadinanza fatto nel governo “giallo-verde”. Questa concessione al Movimento 5 Stelle non è stata bilanciata da quello che era invece il cavallo di battaglia leghista: l’autonomia.

Il tema centrale dello statuto

Il consiglio federale tenutosi il 27 settembre ha decretato: “Salvini non si discute”. Questa affermazione equivale ad una riconferma alla guida del partito e alla richiesta di un posto di prestigio nel nuovo governo. Gli stessi membri di quel consiglio non sono però assolutamente soddisfatti della situazione.

Mentre il Governatore della Lombardia Attilio Fontana si schiera dalla parte del segretario, molti altri esponenti di spicco (come il Governatore del Veneto Luca Zaia e il Governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga) sono assolutamente contrariati dai risultati elettorali.

Già a giugno si era vociferato di una richiesta di un congresso straordinario che avrebbe avuto come obiettivo il cambio del nome da Lega per Salvini Premier (nome che ha sostituito il vecchio nome Lega Nord per l’Indipendenza della Padania) a, più semplicemente, Lega. Un’altra importante richiesta riguardava il ritorno alla partecipazione alle decisioni di partito delle varie federazioni locali, commissariate dal segretario.

Ora si torna a parlare del nome, ma questo ci porta ad analizzare nel concreto come questo potrebbe avvenire.

Consultando l’articolo 3 dello statuto del partito si legge che la denominazione è «Lega per Salvini Premier», e che il simbolo e la denominazione possono essere emendati dal consiglio federale attraverso apposita modifica statutaria, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 19.

Vediamo allora che l’articolo 19 afferma che le modifiche dello statuto, del simbolo, della denominazione e dei regolamenti sono approvate dal congresso federale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei presenti.

Affinché questo cambiamento possa avvenire Salvini dovrebbe quindi convocare un congresso federale che voti a maggioranza assoluta la modifica della denominazione del partito.

Per compiere tutti i congressi locali e gli adempimenti utili per arrivare al congresso servirebbe però almeno un anno, e molti esponenti stanno cercando di capire come velocizzare queste fasi intermedie.

Alcuni leghisti sottolineano inoltre che lo statuto afferma che il segretario rimane in carica per 3 anni sino a nuovo congresso, mentre Salvini è già al quarto anno di segreteria.

Le mosse dei “dissidenti”

Salvini non sembra intenzionato a cedere il passo e per questo motivo alcuni esponenti di spicco del partito si stanno mobilitando per attuare un rinnovamento al vertice.

La mossa più interessante è quella di Umberto Bossi. Il “Senatur” ha fondato in questi giorni la corrente “Comitato del Nord” che, pur agendo all’interno del partito, rappresenta uno strappo con Salvini e un aggregatore per i tanti esponenti contrari all’attuale linea politica.

L’iniziativa di Bossi (che riporta la parola Nord, sparita invece dalla lega di Salvini) ha incoraggiato chi ritiene che l’autonomia sia irrinunciabile e sta riunendo molti sostenitori.

L’europarlamentare Gian Antonio Da Re afferma che il voto è stato contrario a Salvini e che molti militanti tesserati hanno votato Fratelli d’Italia proprio per dare un segnale all’attuale segretario. Da Re afferma che dopo un risultato del genere Salvini dovrebbe dimettersi, e sta organizzando una raccolta firme per chiedere un congresso secondo i termini dello statuto.

Molti esponenti locali, soprattutto in Veneto, sono contrariati non solo dal risultato, ma anche dalla svolta nazionale che considerano fallimentare. La richiesta è quella di un ritorno ai territori e alle loro necessità. Il Veneto è la culla del secessionismo e vedere gli elettori della Lega votare per un partito centralista come quello della Meloni è stata una sconfitta.

L’assessore regionale veneto Roberto Marcato dichiara di non sentirsi rappresentato dallo slogan “Dio, Patria e Famiglia” (interessante ricordare che Bossi sosteneva di essere erede dei partigiani e giurava che non si sarebbe mai alleato con i post-fascisti, idea ribaltata completamente da Salvini che negli anni ha avuto voti anche da ambienti di estrema destra), e mostra con orgoglio il simbolo della vecchia Lega Nord e l’ideale ancora vivo dell’indipendentismo veneto.

Nella Lega salviniana il federalismo si è trasformato in patriottismo (un amore difficilmente credibile quello per l’Italia, visto il precedente amore per la Padania), lo slogan “Prima il Nord” è diventato “Prima gli italiani”, e il Sud precedentemente insultato è diventato terra di conquista elettorale (consenso peraltro già disperso).

Proprio questa linea politica è, a detta di molti, uno dei motivi che ha allontanato la Lega dai suoi iniziali tratti distintivi oltre che dal suo tradizionale elettorato. Quest’ultimo potrebbe essere attratto da nuove realtà simil-leghiste, come ad esempio la neonata “Alleanza per l’Autonomia” dell’ex ministro Pagliarini, che ha appena annunciato due grosse manifestazioni (una in Veneto e una in Lombardia) che si terranno tra tre settimane.

Come andrà a finire?

Non c’è dubbio sulla volontà di molti tesserati, soprattutto in Lombardia e in Veneto, di ottenere un congresso, e rimane probabile il cambio di nome (se Salvini rinuncerà a una dicitura ormai superata dai fatti e dalla realtà), ma è molto più difficile che la Lega cambi leadership.

Questo per due motivi. Il primo è l’elezione di una pattuglia di 95 parlamentari di fede salviniana, il secondo è la mancata disponibilità di due personalità politiche che avrebbero consenso e numeri nella corsa contro l’attuale segretario, ossia Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Fedriga, al contrario di Zaia (che non vuole abbandonare il Veneto), ha più esperienza “romana” e potrebbe essere una buona alternativa per la ricostruzione.

Poi si sa che nella politica tutto può cambiare, soprattutto se, al di là delle regole statutarie, ci fosse qualche leader leghista in attività disposto a farsi carico di una rottura esplicita, e non fatta trapelare solo attraverso i retroscena dei giornali. Finora non è successo, anche per proteggere la Lega in campagna elettorale. Succederà adesso, oppure l’opportunità di stare al governo partecipando alla divisione di posti e ministeri basterà a sopire ancora una volta il malcontento?

TAG: Bossi, congresso, elezioni, fedriga, lega, nord, salvini, zaia
CAT: Partiti e politici

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