Pippo non lo sa, ma è lui il miglior alleato di Renzi
Quando si tratta di fare le pulci al PD, davvero non si ha che l’imbarazzo della scelta. Da renziano deluso potrei continuare a battere sul ferro di ciò che non va. Dalle promesse mancate all’aggressività rivolta tutta a sinistra, dai nuovi Cencelli all’idea di partito che non condivido, dalle riforme raffazzonate all’inconsistenza della cultura politica sottostante. Come fattore – non secondario – di disagio dovrei aggiungere anche la mia allergia agli spin doctor, lobbisti e influencer vari arruolati per vendere meglio l’azione del rottamatore. Mi riferisco ai terzisti in tuta mimetica, da Rondolino & Velardi all’impagabile Massimo Micucci, che giusto un paio di giorni fa si è profuso in una “Reductio ad AutOp” degli antirenziani, mettendo assieme Toni Negri e Gianni Cuperlo in una ridicola riscrittura della storia della Sinistra italiana, evidentemente rivolta agli analfabeti politici (gli stessi che confondono “i sessantottini” e il Sindacato dai palchi della Leopolda).
Ciò detto, qualche alleanza quasi altrettanto bizzarra – ma reale – fa parte della cronaca di questi giorni. A vederli l’uno di fianco all’altro, Civati, Cuperlo, Miotto, Fassina e D’Attorre fanno proprio uno strano effetto. Tutti assieme appassionatamente, da una parte i resti della Ditta, dall’altra quello che anni fa si sarebbe ancora potuto confondere con un Renzi (più) di sinistra, ossia Pippo Civati, sempre con un piedino sulla soglia della scissione, ma ancora dentro il partito, se non altro per non dargliela vinta «a quello lì» (che vi sia una componente personale in certi mal di pancia mi pare evidente). La parabola di Civati è in fondo quella di un liberale di sinistra che, trovando il proprio spazio politico progressivamente occupato dal carro di Renzi – un carro ormai talmente carico di gente da essere sul punto di piantarsi, si è visto costretto a spostarsi ancora più a sinistra o verso il M5S, guardando spesso più all’esterno che non all’interno del partito. Proprio come Renzi, sebbene dalla parte opposta.
Per forza di cose, Pippo si è quindi trovato a far sua una certa retorica movimentista, neogiacobina, la stessa che fu dei girotondi, ad essere il riferimento interno di #occupypd e a sposare il tormentone sui “101”. Fa un certo effetto, quindi, vederlo oggi al fianco di qualche sospetto prodicida, a quei Cuperlo e quei Fassina che nella primavera del 2013 venivano fischiati da chi occupava i circoli del partito, a chi ha praticato per primo l’appeasement con Berlusconi, arrivando anche a farci un governo assieme, meno di tre anni fa. Sarà forse il comprensibile senso di impotenza di fronte al consenso renziano a farli unire in improbabili armate Brancaleone. Purtroppo credo che quello stesso senso di impotenza li stia portando anche a perdere il lume della ragione. È davvero triste vedere Cuperlo e Fassina graditi ospiti degli eurofobi Bagnai e Borghi – i due economisti di riferimento di Salvini, della nuova destra e delle varianti rossobrune. Spero solo che i socialdemocratici della Ditta non vogliano fare la stessa fine che hanno fatto i comunisti, nel lungo processo di marcescenza che è seguito all’89…
Ancora più triste è però vedere Pippo Civati fare da spalla a Marco Travaglio per la presentazione di un libro di Davide Vecchi, che questa volta ci promette di raccontare «la vera storia di Matteo Renzi». Non l’ho letto, né credo che lo farò, ma immagino si tratti di una collazione di fatti, fatterelli e insinuazioni già serviti dal Fatto Quotidiano con il tipico stile da «Der Stürmer» che tanta fortuna ha portato a Travaglio e a quelle lenze dei soci di Chiarelettere. La presenza di Civati a quella presentazione è un passaggio simbolicamente molto importante. Anche Pippo sembra essere caduto nell’errore fondamentale che una parte del centrosinistra ha compiuto negli ultimi vent’anni: credere che il consenso dell’avversario si possa battere con le macchine o macchinette del fango del caso. In generale, scelte di questo tipo sono il sintomo di una grande confusione e di una grande debolezza, e pazienza se ad esser debole e confuso è qualche capocorrente. Il punto è che così svanisce ogni possibilità di un’opposizione responsabile.
Forse ingenuamente, più di una volta ho pensato che il PD sarebbe dovuto diventare come il Labour Party, un partito in cui varie anime – quella più liberale, quella più socialdemocratica – possono convivere senza distruggere un’intera storia politica, un partito che può sopravvivere alla – meritata – sconfitta del blairismo e all’inadeguatezza del brownismo perché un giovane leader-innovatore può guidarlo al di là dei «factionalism and psychodramas».che ben conosciamo anche a casa nostra. Non so davvero se il problema principale sia la mancata fusione di tradizioni politiche troppo diverse. In ogni caso, per fare le fusioni ci vogliono i fonditori, cioè i leader giusti. E forse il grande problema – per ora irrisolvibile – di questa penosa fase di transizione della sinistra italiana è proprio questo: Renzi non è Blair, Bersani non è Brown e, ormai non ci sono più dubbi, Civati non è Ed Milliband.
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