No, non riuscirete a mettere noi vecchi contro i giovani

25 Giugno 2016

No, non siamo noi vecchi ad avere chiuso le porte d’Europa ai giovani che spingono.     Non siamo noi i nemici, gli avversari, gli egoisti che pensano solo a quel che resta da vivere e degli altri chissenefrega. Questa rappresentazione della Brexit non è più neanche sotterranea, non viene diffusa dal solito disordinato circuito social, ma da solidi analisti che scelgono la via più conflittuale e demogogica: mettere gli uni contro gli altri, consegnarci a una lotta tra padri e figli che nessuno ha mai voluto nè cercato. Immaginare che attraverso i numeri di questa consultazione referendaria si potrà configurare un conflitto sociale di portata planetaria non solo è irresponsabile, ma soprattutto altra cosa dalla realtà. Nessun britannico, dei moltissimi vecchi che lo hanno fatto, ha votato “Leave” pensando così di assestare una pedata ai giovani che in questa Europa volevano restare. Nessuno lo ha fatto perché ogni vecchio sa perfettamente in quale casella sta vivendo, sa se è ancora in gioco, sa se sta per essere messo ai margini, sa perfettamente se è stato espulso dal circuito produttivo. Di tutte queste posizioni il vecchio può trarre la morale che desidera, può anche fare pensieri distruttivi, per carità, ma non potrà mai modificare il suo destino. Quando si ha piena consapevolezza di sè, quando una categoria ha piena consapevolezza di sè e magari  va al voto, di qualunque voto si tratti, non ha più bisogno di un nemico di abbattere,   nel nostro caso i giovani. Voterà secondo la sua espressione spirituale di quel momento, secondo i sentimenti, la profondità, le amarezze. Farà un bilancio, sì, farà ogni volta un piccolo bilancio della propria esistenza. E poi metterà la sua croce su un simbolo. Su un Sì o su un No. (Se vogliamo proprio banalizzare, visto che vi piace così tanto, è stato molto più visibile il rancore degli elettori del Pd che sono scappati in massa tra le braccia della Raggi.)

Diceva una studiosa qualche tempo fa: le nostre società non sanno neanche mettere a reddito l’enorme potenziale “vecchi”. Lo diceva molto responsabilmente, e anche con un pizzico di cinismo, pensando a come le città li abbandonano a loro stessi. Non riescono a “vederli” nemmeno con il simbolo del dollaro nella pupilla, non ci fanno neppure i soldi. Troppa fatica, troppa indagine psicologica. Li lasciano a chi invece li considera di più, quei gruppi d’infami che ogni mattina partono per approfittare delle loro fragilità. Ogni voto è un treno che passa. E quando quel treno passa, noi non sappiamo quali condizioni di spirito ci troveremo a vivere, non abbiamo idea delle sollecitazioni interne (o anche esterne) che premeranno sulla nostra anima. Moltissimi lavoratori, provati da anni di stenti, di marginalizzazione, di espulsione dal lavoro, da zero prospettive, hanno votato “Leave”. Ma chi ha il diritto di considerarli irresponsabili, di puntare il dito, di pensare che quell’espressione pienamente legittima del proprio stato sociale (che dura ormai da anni) rappresenta in realtà un’infamia nei confronti dei loro figli?

Visto dall’Italia, purissima terra dei cachi, questa storia del voto «padri contro figli» è paradossale. Se c’è un Pese che vota sul rancore e sul livore, sulle divisioni sociali, sulle simpatie del momento, su mors tua vita mea, questi siamo noi! Ma è possibile volare un attimo più alto, pensando che nessuno in questi anni ha avuto nulla di garantito (al di là dei soliti statali assistiti e non licenziabili), che tutti abbiamo perso (o rischiato di perdere) il lavoro, vecchi o giovani che si fosse. E che a nessuno salterebbe in testa di considerare i giovani maramaldi nei confronti del vecchi solo perché votano per un’Europa più unita e più giusta. Possiamo, se volete, fare una prova o meglio una controprova. Parametriamo le due categorie, mettiamole vicine in una qualunque delle occasioni elettorali che ci capitano nella vita, e scopriremo che chi ha una prospettiva di vita più esigua, chi il futuro lo immagina solo per ipotesi, voterà diversamente da chi il mondo lo ha nelle mani e spera davvero di farlo girare nel verso giusto. Sarebbe così in un condominio, figuriamoci in Europa. Poi certo, se abbiamo la pretesa intellettuale che alle urne si presentino centinaia di migliaia di Vittorio Foa, quello che fu il più ragazzo di tutti i vecchi, beh allora è meglio scendere dalla nuvoletta e ritornare su questa terra.
Ps. A chi scrive, avendo toccato i 62, piace considerarsi “vecchio”, non tanto per una questione anagrafica, quanto – piuttosto – per il carico di responsabilità che l’età comporta. Consapevole che, britannico, avrei votato convintamente per restare dentro, ma neppure per un minuto con l’idea che così facendo avrei aiutato i giovani. Ogni espressione pubblica della nostra autodeterminazione è sacra e inviolabile. Lo è nel (presunto) bene. E così nel (presunto) male.

TAG: Brexit, voto generazionale
CAT: Politiche comunitarie

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