Ritornare in presenza e provare l’emozione del primo giorno

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31 Gennaio 2021

“La civiltà del superfluo ha distrutto quel mondo contadino prenazionale e preindusriale che non viveva l’età dell’oro, ma l’età del pane, vale a dire l’epoca in cui si consumavano i beni necessari, e non quelli superflui che rendono superflua la vita”

Domani ricomincerà la scuola, quella in presenza. Perché la scuola nonostante sia stata argomento di dibattito anche da parte di chi non ha mai messo piede in una scuola, e campo di battaglia su cui le forze politiche si sono sempre scontrate, non è mai terminata. Ha semplicemente osservato le regole del distanziamento sociale che ci hanno imposto, si è adeguata, ha fatto salti mortali per non venire meno al proprio compito educativo. La tristezza di una vita sacrificata tra le mura domestiche la abbiamo colta anche attraverso uno schermo, la paura del contagio ancora aleggia nell’aria; di Covid si parla da quasi un anno, un anno in cui è venuta a mancare la socialità, la relazione con l’altro, il confronto che spesso lo stare dinanzi ad uno schermo scoraggia, a volte impedisce.

Le strade sono ormai piene di persone che reclamano uno spazio a lungo negato, una libertà serrata da perimetri troppo stretti. Nonostante ci sia da parte degli alunni ancora qualche reticenza a esporsi perchè sanno che dovranno affrontare autobus affollati, dovranno indossare mascherine, imporsi una disciplina che vieterà loro di abbracciarsi o scambiarsi affetto, c’è la voglia di poter ritornare a guardarsi negli occhi, a scambiarsi, anche solo con quelli, sorrisi.

Certo preferirebbero che la classe ritornasse in presenza tutta e non doversi adattare a forme di didattica mista che vedrà la classe ridotta a metà, manca, ancora, quello che in una scuola è di fondamentale importanza: il rapporto col territorio. Sono state sacrificate, infatti, uscite didattiche, l’esplorazione del luogo, la visita ai musei, alle chiese, gli stage in azienda, che in un istituto tecnico turistico sono pilastro dell’insegnamento.

Imparare vuol dire trasformare le conoscenze in competenze, il sapere è tecnico pratico, e senza la dimensione della prassi, si rischia di svuotare di contenuto l’apprendimento, riducendo le conoscenze a mere nozioni.

C’è il problema, poi, dei ragazzi più fragili, quelli che hanno bisogno della relazione viva con l’insegnante perché trovano nell’insegnante una guida capace di seguirli, ecco forse la didattica a distanza ha sacrificato

quelli più deboli.

TAG: coronavirus
CAT: scuola

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