Valditara e Salvini: chi sono i ragazzi e i bambini “stranieri”?
Sproloqui e congiuntivi sbagliati nel post su X di Valditara collegato all’ultima sparata di Salvini sul numero massimo di “stranieri” ammissibili nelle classi delle scuole italiane. Persino il PD è ricomparso (dopo un colpevole ritardo) nel dibattito sulla scuola italiana , facendo le pulci al congiuntivo sbagliato (singolare e non plurale) di Valditara – “nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte” – anche se nel post del ministro dell’istruzione saltano all’occhio non solo il cattivo italiano, ma anche i cattivi concetti.
Il primo è quello di “stranieri”, perché non dobbiamo dimenticarci che un ragazzo nato in Italia da genitori stranieri rimane straniero fino a 18 anni, per via del vigente istituto dello ius sanguinis, mentre, per esempio, negli Stati Uniti sarebbe americano dal giorno stesso in cui nasce sul suolo americano, visto che negli Stati Uniti vale un principio diverso, quello dello ius solis.
Paese che vai, costumi che trovi: il ministro Valditara usa con disinvoltura il termine “stranieri” (anzi, lo usa in modo un po’ dispregiativo), come se non sapesse che molti di questi stranieri sono nati in Italia ed è bene che si sentano italiani, il prima possibile, perché si integrino nel nostro paese, concetto ben diverso dall'”assimilazione” proposta da Valditara nel suo post: “Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali della Costituzione, etc”, (ma che brutto quel “sui”…). E poi, sempre nello stesso post, leggiamo anche quell’incredibile incitamento a insegnare la “musica italiana”: e qui ti chiedi se gli studenti del bel paese non dovranno imparare “O sole mio”, da cantare la mattina con la mano sul cuore, prima di iniziare le lezioni.
Anyway, al di là delle battute, c’è una profonda differenza tra il concetto di integrare e quello di assimilare. Quando si parla di integrazione, ci si riferisce per esempio al rispetto (dovuto) alle religioni differenti dalla nostra, mentre l’assimilazione significa rendere “uguali” gli stranieri al popolo dominante del paese dove sono emigrati. Per fare un esempio di cosa sia l’assimilazione, non si può che citare i “Campi di rieducazione” cinesi destinati agli abitanti dello Xinjiang di religione mussulmana, che non solo forniscono manodopera a prezzi stracciati per le aziende cinesi, ma funzionano anche come luogo di brainwashing dei detenuti, sottoposti a corsi forzati per migliorare la loro fiducia nella bontà dell’azione del Partito Comunista Cinese, e di fatto per terrorizzarli su quello che significherebbe esprimere delle opinioni dissonanti rispetto a quelle accettate in Cina come “patriottiche”, una volta che dovessero uscire dai campi di rieducazione.
La parola “assimilazione” non dovrebbe quindi essere utilizzata, vista la laicità dello stato italiano, che non è né teocratico né comunista, e quindi non chiede ai suoi cittadini di essere simili (secondo Salvini e Valditara, simili agli italiani, anche se quest’ultima categoria è sempre più indefinita), ma solo di comportarsi laicamente e nel rispetto del solito e citatissimo articolo 19 della Costituzione: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
Ci si chiede allora se questi ragazzi “stranieri” che Valditara e Salvini vorrebbero in misura non superiore al 20% nelle classi italiane, non siano classificati come tali solo su una base di una legge – lo ius sanguinis – che molti vorrebbero cambiare, anche senza arrivare alla modalità americana, ma almeno a quella di poter ricevere la nazionalità italiana dopo avere conseguito un primo ciclo scolastico: in questo si parla di ius scholae.
Il fatto di di definire i bambini e i ragazzi “stranieri” senza chiedersi se non siano nati in Italia e non parlino già perfettamente l’italiano è di fatto un’operazione biecamente razzista, perché tiene conto solo della loro etnia di provenienza (non so neanch’io come definirla, mi mancano le parole per concetti che non sono abituata da usare). Tra l’altro, in Italia, le etnie di provenienza non sono neanche utilizzate nelle classificazioni relative ai dati anagrafici, come invece succede negli Stati Uniti, perchè nei loro censimenti anagrafici esiste un campo dedicato alle “categorie razziali”, ufficialmente cinque: americani bianchi, afroamericani, nativi americani, americani asiatici, nativi hawaiani, americani di due o più etnie, e adesso sembra che ne stia per comparire una sesta: i latinos (ispano-americani).
La categorizzazione secondo la razza di origine è un peso da cui molti americani vorrebbero liberarsi, e non credo proprio sia il caso di introdurla in Italia (anche se mi aspetto che il duo Valditara-Salvini potrebbe presto proporre qualcosa di simile). Bisognerebbe invece che si possa per lo meno arrivare allo ius scholae, per il quale un bambino nato nel nostro paese da genitori stranieri, soprattutto se ha frequentato la scuola materna e quella primaria, e che parla un ottimo italiano, possa diventare subito cittadino italiano, senza dover entrare nella fantomatica regola del 20 per cento di “stranieri” (disposizione già peraltro esistente nel nostro ordinamento, ma credo mai applicata da nessuno).
Il fatto che poi in Italia non sia previsto un campo “razza o etnia” nelle nostre anagrafiche, significa che i ragazzi stranieri che Salvini e Valditara propongono di contingentare nelle classi di italiani dovrebbero essere classificati come stranieri sulla base di un’attenta analisi dei nomi e cognomi. Nelle scuole dovrebbe quindi comparire una nuova figura: l’analizzatore delle origini dei cognomi. L’unica misura che potrebbe invece aver senso – a proposito delle competenze linguistiche da acquisire – è che gli insegnanti segnalino quali sono i bambini e i ragazzi che hanno bisogno di qualche lezione in più di italiano, perchè appena arrivati in Italia.
Se invece l’accento continua a essere quello sul concetto di “straniero”, il passo è breve, a questo punto, dalle leggi razziali del ’38, che videro l’espulsione dalle scuole italiane di tutti i ragazzi con un cognome ebraico, indipendentemente dal fatto che parlassero perfettamente l’italiano e fossero assolutamente integrati nelle scuole e nella società degli anni trenta (e molti di loro non vivessero in famiglie che praticavano attivamente la religione ebraica).
L’allegra coppia che non sa maneggiare i congiuntivi (ricordiamoci che Salvini, pur provenendo da una buona famiglia milanese, non è riuscito a fare l’università) sta quindi gettando tonnellate di mer*a su questi poveri ragazzi che in classe sono seduti di fianco a qualcuno che parla come loro, vive come loro, naviga nelle stesse acque (perché vivono nelle stesso quartiere), ma che, a differenza loro, ha il diritto di dirsi italiano, mentre un tale diritto verrà concesso a chi ha i genitori stranieri, ma magari parla bene anche in bergamasco, solamente a 18 anni, dopo impervie fatiche burocratiche.
Credete davvero che questi futuri cittadini voteranno per partiti che hanno parlato di loro con disprezzo? No, direi di no, anche perché le ricerche dimostrano che nessuno è “naturalmente” razzista, soprattutto i ragazzi cresciuti in società multietniche o meglio multipolari, come bisognerebbe dire adesso. Il razzismo è una cosa un po’ da vecchi, parola che posso usare – “vecchi” – perchè io lo sono: ho sessantacinque anni e vengo quindi dispensata dalle accuse di ageism (pregiudizi basati sull’età delle persone). Sarebbe meglio se il nostro ministro dell’istruzione cominciasse a occuparsi seriamente di come combattere la segregazione abitativa, che finisce per coincidere con la segregazione scolastica. Ovvero: se abiti in un periferia disagiata, colpita da quella che oggi si definisce “povertà educativa” (di fatto povertà pura e semplice), finirai in una scuola che probabilmente non ti consentirà di frequentare con profitto un liceo, ma resterai impigliato in uno di quegli istituti professionali dove si concentrano i più alti tassi di bocciatura in Italia.
E cosa fa la fata turchina, vestita di rosa e di azzurro come nella favole (la nostra Presidente del Consiglio) mentre il ministro dei trasporti e quello dell’istruzione straparlano di stranieri da assimilare? Tace. Certo, non li contraddice, ma tace, visto che l’arte del tacere è stata praticata, a lungo e con successo, dalla signora Meloni. E a chi pensate che andranno i voti degli italiani un po’ di destra, che hanno paura dell’invasione migratoria, della sostituzione etnica, e di essere soppiantati da altre razze (scusate se uso questa parola)? I voti andranno alla fata turchina, con un’aria più rassicurante, quasi materna, meno incazzosa di quella coppia di rancorosi signori, sempre col ghigno e sempre col mugugno.
Arrivederci, my dears, alle elezioni europee, e poi qualcuno dovrà decidere cosa fare della Lega e dei suoi ministri…
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