Come abbiamo smesso di imparare. Discendere

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22 Aprile 2021

Ciò di cui non si può dire, si deve mostrare.

Con questo pensiero AMM pigiava il tasto rosso dell’ascensore per fare cinque gradini e arrivare all’ammezzato della colazione. Non senza avere lasciato cinque euro in un foglio, fermato da un Pocket Coffee, sulla nicchia di ingresso dell’armadio.

Grazie, AMM.

Vergato con una stilografica a inchiostro ad acqua blu, di quelle per chi non sa usare la china. Il suo sorridere radioso al cameriere indiano al piano lo faceva sentire bianco, ricco, superiore. Aveva tralasciato di contare l’unica cosa da contare. Superata la seconda metà del mese, senza quei cinque euro non sarebbe riuscito a pagare la citybike per tornare in stazione. Non sapere rinunciare a sentirsi privilegiato, comprando la propria schiavitù, era la sua specialità.

L’ascensore vuoto illuminato con lo specchio era una immagine perfetta del suo più intimo interiore. Appeso alla corda delle sue paure discendeva dalle profondità del sonno, alla veglia deserta di desideri e avventure di un concorso in cui si presentava con lo stesso entusiasmo di un manzo al macello. Noi prenderemo questo ruolo, “whatever it takes”.

E whatever era tutta la sua vita prima di allora. Nulla. In ascensore ricordava tutto. Lo spazio della breve discesa di cinque gradini allo specchio gli dava tutto il tempo per rivedere al contrario i tre momenti che lo avevano portato in quella situazione di grande disagio. Avere sbagliato la giacca in una cena con gli ordinari, avere sbagliato una citazione riparando in ritardo con un’altra ancora meno opportuna, e avere invitato a un convegno, di quelli fatti per pura raccolta punti, un tizio famoso ma in miseria che in gioventù aveva rubato la fidanzata al suo mentore. Il pensiero che forse era mancato a se stesso prima di tutto, nemmeno lo sfiorava. Lasciamolo a contemplare la sua discesa, con il campanello di arrivo e il sipario della porta metallica dell’ascensore che si apre di fronte al buffet.

TAG: precari, scuola
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