Caro Presidente, la democrazia è una questione di credibilità

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3 Gennaio 2016

Lettera aperta al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella

Signor Presidente,
mi perdonerà se La importuno con un messaggio condiviso esclusivamente a titolo personale, da persona semplice, senza alcuna velleità di rappresentare alcuna categoria o posizione di partito. Sentendomi per nascita, cultura e istruzione una delle tante minuscole componenti del magnifico Paese che Ella rappresenta, ho ritenuto opportuno riflettere sulle Sue parole e scriverLe in merito al primo discorso di fine anno da Lei pronunciato qualche giorno fa.
Ho seguito con estremo interesse i temi sui quali ha voluto richiamare l’attenzione generale, malgrado viva questa fase storica con estremo disagio per una classe politica che, personalmente, considero poco mal equipaggiata culturalmente e moralmente; ho avuto modo di apprezzare soprattutto quei passaggi dedicati alle classi meno abbienti, agli ultimi, a chi soffre, a chi non riesce ad uscire e riemergere da situazioni personali ed economiche piuttosto critiche. Ho apprezzato, invece, solo in parte il Suo senso della realtà. Non che mi aspettassi delle invettive contro qualcuno o qualcosa. Conosco bene l’importanza morale e politica pertinente al ruolo che ricopre, eppure mi sia concesso di aggiungere qualcosa, nel solco di una dialettica costruttiva e genuinamente democratica.

La nostra società, Signor Presidente, necessita di essere sensibilizzata e guidata alla riscoperta dei valori della propria umanità, valori che vanno affermati con forza sulla scorta di esempi da seguire. In questo non credo di esprimere concetti molto distanti da quelli che Ella ha sottolineato in questo passaggio: «La quasi totalità dei nostri concittadini crede nell’onestà. Pretende correttezza. La esige da chi governa, ad ogni livello; e chiede trasparenza e sobrietà. Chiede rispetto dei diritti e dei doveri. Sono numerosi gli esempi di chi reagisce contro la corruzione, di chi si ribella di fronte alla prepotenza e all’arbitrio. Rispettare le regole vuol dire attuare la Costituzione, che non è soltanto un insieme di norme ma una realtà viva di principi e valori». Le Sue parole appaiono chiare e condivisibili, lusingano quel sentimento di dignitosa onestà che è propria della gente semplice. Eppure, Signor Presidente, in qualità di cittadino italiano, avverto la forte necessità di chiederLe uno sforzo in più, di utilizzare le Sue energie e la Sua esperienza affinché questa parole non siano lettera morta, in un momento storico in cui la distanza tra politica e popolazione ha raggiunto dimensioni destano non poche preoccupazioni e inquietudini. Non basterebbe questa lettera aperta per tracciare con la dovuta esattezza i numerosi episodi nei quali la politica italiana ha dato evidenti segni di inadempienza, tradendo le aspettative, le speranze e i sogni di numerosi concittadini.

Signor Presidente, la classe politica attuale è il prodotto di una legge elettorale incostituzionale, una disfunzione che ha contribuito a un ulteriore distacco tra elettorato attivo ed elettorato passivo. Una tendenza che in mancanza di valori va estendendosi in modo inquietante in tutta Europa, la stessa che Lei intende difendere. Certo, vi sono altri attori non politici che incidono negativamente sui processi decisionali, in primis un sistema finanziario non regolamentato a livello globale; eppure in Italia la crisi democratica viene avallata da un sistema che vede l’attuale classe politica legittimata soltanto per il principio della continuità istituzionale, malgrado l’incostituzionalità della legge elettorale così come la Corte Costituzionale, di cui Lei era allora un autorevole esponente, ha stabilito nel dicembre 2013. Signor Presidente, riconoscendo nella Sua figura un’espressione rispettabile e morigerata, Lei dovrà convenire di essere paradossalmente un’espressione diretta di una classe politica a-popolare, ossia carente del consenso popolare necessario ad assumere decisioni cruciali per il nostro Paese, dunque privo di autorevolezza.
Il peccato originale di una classe dirigente figlia di nessuno, pertanto non espressione popolare ma autoreferenziale del potere, non verrà espiato attraverso l’Italicum, un sistema elettorale che non garantisce scelta su basi popolari e territoriali, pertanto inadatto a misurarsi con il consenso reale, ossia quello che nasce dal basso e non propinato attraverso i soli canali mediatici. Il principio della governabilità, Signor Presidente, seppure importante non dovrebbe in alcun modo mettere in discussione la rappresentanza popolare, così come sosteneva uno dei grandissimi padri nobili della Repubblica, Aldo Moro: «Il richiamo al dovere di governare non può essere assunto come un’apertura a qualunquistiche facilità, quasi che esso abbia in se stesso, in qualsiasi circostanza, la propria giustificazione».

Signor Presidente, in assenza di meccanismi che vincolino la rappresentanza popolare, come posso io, cittadino italiano, illudermi di esigere qualcosa da questa classe politica? In nome di cosa ci viene chiesto sacrificio e spirito di coesione quando è la discussione ad essere spesso denigrata sotto i colpi di una maggioranza autoreferenziale? Per non parlare dei privilegi ai quali questa classe politica non intende rinunciare nemmeno in parte, seppure come puro atto simbolico, col preteso di presentarsi sotto una luce diversa agli occhi degli elettori. Realisticamente, Signor Presidente, e qui tocchiamo a un punto a Lei molto caro, come è possibile condurre una guerra seria all’evasione fiscale quando sono sempre i più deboli a pagare? Secondo l’Oxfam nell’anno appena cominciato in Italia l’1% dei ricchi deterrà più della metà della ricchezza nazionale. Ci sarà mai la possibilità di vedere maggiori sacrifici da parte di chi davvero detiene la ricchezza in questo Paese? La nostra classe politica, persa tra proclami e inutili tattiche di comodo, non ha mai fatto concretamente qualcosa per aiutare gli ultimi, salvo elargire bonus sventolati come caritatevole benevolenza pur di non incidere mai a livello strutturale. Gli ultimi sono e restano sempre i primi a pagare.

Signor Presidente, non è solo la crisi economica, che colpisce con particolare violenza soprattutto il nostro Sud, a fare spavento: si registra l’incapacità in questo Paese di dialogare, di confrontarsi, di venirsi incontro. Lei, politicamente nato nella Prima Repubblica, riconoscerà certamente il ruolo attivo che non solo la società civile, ma anche i partiti hanno sempre ricoperto nella storia repubblicana. Oggi più che mai i partiti vivono una crisi molto profonda ed i malfunzionamenti dovuti a derive di natura leaderistica insieme all’impossibilità di sviluppare in senso democratico queste strutture ha portato alla denigrazione di un organismo democratico funzionale fondamentale. Agli occhi di molte persone i partiti, ossia gli enti che esprimono la classe politica, godono di una pessima fama, considerati alla stregue di  comitati elettorali. Trampolino di lancio per rampanti carrieristi, i partiti hanno perso propria funzione originaria: svolgere un ruolo di mediazione tra stato e società.
Occorre ristrutturare i luoghi e le forme di discussione in seno ai partiti affinché ritornino sedi di libero confronto, di partecipazione e palestra politica. Qualora i partiti dovessero essere definitivamente distrutti, la mediazione tra stato e società verrà inevitabilmente meno con catastrofiche conseguenze per l’intero sistema democratico. A Lei, Signor Presidente, chiedo con forza di adoperare le proprie energie affinché questo tema sia presente nell’agone politico, incalzando le attuali forze politiche al fine di stabilire delle chiare regole di selezione e che queste vengano vincolate per via costituzionale. Solo attraverso la creazione di luoghi di discussione più aperti, più partecipativi e più attivi sarà possibile scongiurare il pericoloso avanzare del vuoto di democrazia che si sta gradualmente registrando. Solo così sarà possibile arginare la disaffezione elettorale generata dalla frustrazione popolare, una conseguenza dovuta ad una continua procrastinazione delle regole che disciplinano le dinamiche delle selezioni ed impediscono ai partiti di adeguarsi ad una realtà civile estremamente mutevole. Fino a quando lo spirito delle comunità verrà depistato, Signor Presidente, sarà difficile sacrificarsi di buon lena per il Paese di cui oggi Lei rappresenta la massima autorità. Si tirerà a campare ricorrendo a qualunque mezzo e l’illegalità, ancora una volta, troverà in questo un terreno fertilissimo nel quale getterà i propri semi della discordia, gli stessi che hanno segnato la Sua vita e quella della Sua famiglia.

Concludo rivolgendoLe un sincero augurio di Buon Anno e che la sua presenza al Quirinale possa riconciliare gli italiani con la politica nel solco degli alti valori repubblicani ai quali tante persone hanno dedicato l’intera esistenza, a volte con esiti tragici pur di restare fedeli alla propria missione democratica e civile.

TAG: democrazia, discorso di fine anno, politica italiana, quirinale, sergio mattarella
CAT: Quirinale

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