Tutto è iniziato nei giorni immediatamente successivi alla vittoria di Trump negli Usa, rinforzandosi dopo la Brexit anglosassone. Molti giornali riportano i commenti di numerosi elettori britannici ed americani, mostrando con tutta evidenza come parecchi di loro non abbiano chiaramente inteso il significato della propria scelta, soprattutto nel Regno Unito.
E questa storia rinverdisce un vecchio tema, tornato attuale in questi anni di crescente populismo, quando parecchie indagini puntualizzano come le scelte di voto siano divenute a volte troppo superficiali, o troppo legate agli aspetti “emotivi” del proprio rapporto con la politica. La domanda che circola, più o meno provocatoriamente, è la seguente: la democrazia è davvero il miglior sistema per governare un paese? E soprattutto, una democrazia in cui è evidente che non tutti sono pienamente informati, o consapevoli delle conseguenze delle proprie scelte, può davvero funzionare?
Alcuni commentatori negli States arrivano addirittura a proporre, non si sa quanto ironicamente, una sorta di democrazia a punti, o perfino un diritto di voto basato sul superamento di determinati test d’intelligenza applicata, legati al livello di informazione sulla cosa pubblica e sulla politica. In Italia, ad esempio, recenti inchieste giornalistiche sulla conoscenza dell’appuntamento del 25 aprile, tra la popolazione, mettono in evidenza situazioni spesso imbarazzanti; cosa si festeggia? “la liberazione dall’Impero Austriaco”, “la festa dei lavoratori”, “la festa della Repubblica”; il 25 aprile di che anno? “del 1968”, e così via, fino a “boh, l’importante è che sia vacanza…”.
Qualcuno ha ipotizzato perfino che, per evitare il voto disinformato, sarebbe opportuno tornare all’antico, quando ancora non esisteva il suffragio universale. All’inizio del secolo scorso, il diritto di voto spettava solamente ai maschi appartenenti alle classi alte, o medio-alte, con un elevato livello economico-culturale, e si estese successivamente a quelli in possesso almeno della licenza elementare, allora ancora piuttosto rara.
Il corrispettivo odierno sarebbe quello di far votare i soli laureati, vale a dire poco più del 25% dei maggiorenni, una quota molto simile a quella derivante della riforma Giolitti del 1912, quando l’elettorato attivo era pari al 24% della popolazione, la metà circa dei maschi italiani. Cosa succederebbe dunque se si tornasse indietro di 100 anni, con l’apertura beninteso anche alle donne laureate?
Le indagini ci dicono che il risultato finale sarebbe il seguente: in prima posizione il Partito Democratico con quasi il 30%, seguito dalla Lega con il 25%, dal Movimento 5 stelle con il 15% e da Forza Italia con il 10%. Un’Italia dunque parecchio differente da quella attuale.
E se si facesse votare, al contrario, il popolo meno acculturato, quello che è arrivato solamente alla scuola dell’obbligo? Qui le cose sono ancora più chiare: Lega al 40%, il M5s al 27% e il Pd relegato ad un misero 13%. L’idea che il Partito Democratico abbia perso nettamente il contatto con le classi più povere e con scarsa scolarizzazione trova qui un’ulteriore conferma, se si considera inoltre che il voto degli operai se lo contendono Lega (42%) e M5s (31%), con il Pd soltanto a poco più del 7%.
Come diceva il buon Renzo Arbore: meditate, gente del Partito Democratico, meditate.
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La visione falsata di democrazia: diritto di voto solo a chi la pensa come vogliono loro. Non si arrendono all’idea che avendo privilegiato solo le lobby economiche favorendo banche e multinazionali, non possono ricevere il voto delle classi sociali che hanno tradito. E questa loro pretesa di far votare solo i laureati, molti dei quali sono scappati dall’Italia perché qui non avevano un futuro, dimostra che i potenti, quando devono ottenere un risultato, scelgono i più stupidi per attuare le loro politiche, perché solo uno stupido può pensare che la soluzione ad un problema, come quello di non essere nuovamente rieletto, dipenda dall’elettorato e non dalle politiche decise quando era al potere. Della serie: ho fatto quello che mi è stato detto di fare dal banchiere ed il popolo non apprezza il mio servilismo?
Ma mica è detto che un laureato voti meglio di un non laureato. Io sono laureato, ma il PD ormai se lo scorda il mio voto. Il che non significa che mi buitterò nelle nicchie dei puri e nostalgici di sinistra. Ma nemmeno che mi arrendo al M5S. Francamente non so chi votare, ma so bene chi non votare. Uscendo però dal “pèarticulare”, ma chi l’ha detto o scritto che una democrazia si regga sui più colti? ammesso poi che una laurea faccia l’uomo colto. E’ un classico spostare il problema. Addossare al votante il fallimento politico di un partito.
Vota solamente chi passa un test di storia, ragioneria e diritto civico, le cui domande sono preparate con un anno di anticipo: solamente chi studia ed impara voterà, e sarà un voto molto più responsabile di quello attuale. La ragioneria è indispensabile per educare i pentastellati e leghisti, che non riescono a comprendere il concetto di deficit e dei problemi sempre peggiori che questo comporta nel tempo
Interessante punto di riflessione, gli elettori da sempre preferiscono chi promette tre volte Natale, soldi per tutti e contemporanemente con un tocco di magoa azzerare il debito pubblico! Piu’ che far votare i laureati serve una legge per far votare chi usa il cervello, ma e’ impossibile aime’ .