In morte di Luca Ronconi, l’uomo che ha inventato la regia teatrale

21 Febbraio 2015

E ora come riassumere tutto il lungo viaggio teatrale di Luca Ronconi? Come ritrovare le parole per raccontare decenni di creazioni, di meraviglie, di sorprese? Però ne scrivo subito, a caldo, perché tale è la notizia che non si può non reagire.

Se n’è andato in modo inatteso, il più grande regista italiano del dopoguerra. Da anni in dialisi, Luca Ronconi, classe 1933, non pensava minimamente di fermare la sua instancabile attività: e anche noi cominciavamo a crederlo eterno. Bello come il sole, pieno di energia, già lo attendevano i 200 provini per il Centro Santa Cristina, la sua invenzione umbra, dove si dedicava alla formazione e dove avrebbe fatto una masterclass per giovani attori (ed erano oltre 600 le domande di giovani e giovanissimi che volevano lavorare con lui). Lo attendeva l’Opera di Roma, mentre a Milano va in scena Lehmann Trilogy, la sua ultima maratona da regista al Piccolo Teatro, la casa che lo ha accolto dopo il Teatro Stabile di Torino e quello di Roma.

Luca Ronconi ha segnato la ricerca, l’innovazione teatrale dal 1966, quando debuttò da regista: prima era stato attore, intellettuale e stimato. Ma non sarebbe stata la recitazione la sua strada. Ha scelto la regia, ha inventato la regia, e così facendo ha rinnovato l’arte dell’attore, ha inventato la drammaturgia dello spazio.

Difficile ora, provare a puntualizzare quanto quel suo stile sia stato innovativo e rivoluzionario, quanto le sue scelte – spesso attaccate, discusse – abbiano profondamente mutato il fare teatro (e il fare cultura) in Italia e in Europa. Lo spazio ricreato già con I Lunatici al palazzo ducale di Urbino, poi con il memorabile Orlando Furioso, del 1969; poi ancora reinventato nell’Orestea claustrofobica del 1972. Lo spazio esplorato nel lungo Laboratorio di Prato, vera fucina di una modalità critica di andare in scena e di pensare il luogo – che fosse il Metastasio, o il Magnolfi o il Fabbricone – come cifra da decifrare. E ancora la Bovisa ricreata per un esperimento scientifico e filosofico come Infinities, oppure la sala presse del Lingotto restituita alla città per Gli ultimi giorni dell’Umanità (vi ricordare quante polemiche, allora, sui costi dell’impresa: e però di quello spettacolo ancora se ne parla). Ancora Torino, per il mirabile e folle progetto olimpico, con una serie di spettacoli montati contemporaneamente e capaci di affrontare temi scottanti e attuali: anche in quel caso polemiche, scontentezze, mugugni. Ma Luca Ronconi era là, dalle 6 di mattina alle due di notte, a montare, smontare, inventare i suoi lavori.

Inventore dello spazio, si diceva: ma anche creatore di uno stile interpretativo unico. Anticlassico, antinaturalista, antitragico: Luca Ronconi smontava dall’interno, destrutturava (se così vogliamo dire) la parola stessa, chiedeva ai suoi attori tempi, ritmi, sonorità capaci di svelare una ironica, dubitativa, costante messa in discussione del dettato del testo. Nessuno, come lui, sapeva leggere i testi: li attraversava in prove a tavolino rimaste memorabili per chiunque abbia avuto la gioia di assistervi. Lo stile interpretativo degli attori “ronconiani” (ma quanti ne ha formati?)  è stato una delle grandi rivoluzioni stilistiche e formali del dopoguerra.

Figlio dell’avanguardia e del teatro classico, Luca Ronconi ha spinto oltre ogni ostacolo la sua ricerca. Approdando ad esempio alle “edizioni teatrali” di romanzi celebri. Ricordo ancora come una delle più grandi emozioni di spettatore l’apertura del Pasticciaccio brutto di via Merulana, sul finire degli anni Novanta sul palcoscenico del Teatro Argentina.

Dunque spazio, attore, e infine drammaturgia: pochi come lui hanno forzato le maglie della drammaturgia, in una ricerca instancabile di nuovi testi, di un nuovo repertorio da creare anche al di là del teatro stesso. Non solo classici e contemporanei, ma testi scientifici, libretti d’opera, romanzi: tutto passava al vaglio della sua regia.

Ha sviscerato opere paradigmatiche, svelandone inusitati sensi e possibilità. Ha dilatato tempi, ha reso eterni momenti insondabili, ha distillato modalità diverse, altre, di affrontare le partiture. E ancora: attenzione costante allo spettatore, esattamente il contrario di quel che sosteneva la vulgata comune che voleva un Ronconi generalmente noioso, irrispettoso del pubblico. Il regista affidava al pubblico il ruolo non facile di completare, resistendo, le sue visioni sceniche: allo spettatore il compito di elaborare quei blocchi enormi di testo, quei moloch d’opera, patendo e vivendo al pari dell’attore in scena. a volte esagerava, lo sapeva bene, ed era il primo a scherzarci su: “dura solo cinque ore”…

Geniale e irascibile, ironico e coltissimo, con quel suo parlare sempre borbottando con un filo di voce, Luca Ronconi si è forse confessato, svelato più che altrove in un’opera recentissima, considerata forse ingiustamente “minore”, quel Pornografia in cui si identificava, e non poco, con il protagonista.

Di fatto, sempre accompagnato da un nucleo di attori appassionati e straordinari – inutili citarli qui, sono tra i migliori d’Italia – Luca Ronconi ha il merito di essere stato un alfiere del teatro italiano capace di catalizzare l’attenzione della stampa nazionale e internazionale. Attorno a lui si è compattato un gruppo – forse va detto – che ha determinato le sorti della vita culturale italiana, a partire dal famoso Convegno di Ivrea del 1967.

Però, oggi che il Maestro se n’è andato, non vi è dubbio che la scena italiana, la cultura italiana saranno orfane di un padre autorevole, folle, geniale, a suo modo generoso. Luca Ronconi ha dedicato tutta la sua vita al teatro, lo ha fatto senza risparmiarsi, sino all’ultimo. Ha portato bellezza, cultura, poesia, dialettica, contrasti, dubbi, domande. Ha portato in scena sogni e incubi: li ha raccontati, spettacolo dopo spettacolo, commedia dopo commedia. Ha scelto il teatro, ne ha fatto la ragione della sua vita. E ora il teatro – che troppe volte l’ha discusso – sicuramente lo rimpiangerà a lungo. Un mondo finisce, un teatro chiude il sipario sulla sua storia. Il futuro è tutto da inventare: e mai come oggi, perso un paladino di questa portata, si tratterà di trovare nuove strade, nuove possibilità, nuovi alfieri per dare alla scena la stessa forza che gli ha regalato, negli anni, Luca Ronconi.

TAG: Centro Santa Cristina, Luca Ronconi, Piccolo teatro di Milano, Teatro di Roma
CAT: Teatro

2 Commenti

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  1. michele.fusco 9 anni fa

    Andrea, ne abbiamo parlato proprio l’altra sera. E adesso, mi viene da dire seguendo la tua traccia, le tue parole finali? Dopo la morte dei grandi – attori come registi – non ci appassiona più per nessun altro. Questa allora è la fine del teatro? Non so darmi una risposta. Ma ti abbraccio, sapendoti triste. Michele

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  2. robertoghedini 9 anni fa

    Avete ragione entrambi, Andrea e Michele: quando scompare un grande uomo, il vuoto che lascia è tanto maggiore quanto più grande è l’eredità a noi affidata.

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