Per evitare la Brexit, gli italiani a Londra saranno cittadini di serie B

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23 Febbraio 2016

Tutti contenti, almeno in apparenza. Per evitare la Brexit, la fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il governo di Cameron ha ottenuto uno “statuto speciale”. Così il premier britannico può fare una campagna pro-Ue nel referendum, come sta avvenendo da qualche giorno, non senza tensioni interne ai conservatori. Eppure, tra tanto magno gaudio per l’intesa raggiunta, si insinua un dubbio: il cedimento di Bruxelles alla richieste di Londra segna una capriola all’indietro per i diritti dei cittadini comunitari. Nel tentativo di tenere i britannici sotto l’ombrello europeo è stata fatta una concessione dolorosa. E in Gran Bretagna il passaporto farà la differenza.

La norma principale dell’accordo riguarda infatti il welfare. Gli stranieri, indipendentemente dal Paese di provenienza, non avranno accesso ai sussidi per 4 anni. La durata può essere estesa a 7 anni. In pratica un cittadino italiano, trasferitosi a Londra per “cercare fortuna” o banalmente per trovare lavoro (come accade sempre più spesso), non avrà gli stessi diritti di un britannico. Di fronte alla legge, di fatto, saranno cittadini di serie B. Immaginate se una cosa del genere fosse stata soltanto proposta in Italia da Matteo Salvini: ci sarebbe stata una insurrezione. Invece su molti mezzi di informazione è passata una versione edulcorata dell’accordo, quasi che fosse destinato solo ai lavoratori “dell’est Europa”. E invece no: riguarda tutti gli europei. Il riferimento all’est Europa è calzante solo perché in tanti decidono di trasferirsi nel Regno Unito per fornire manodopera in cambio di adeguati stipendi. Esattamente come avviene per gli italiani, spesso giovanissimi, che iniziano con la ricerca di un’occupazione per tentare un avanzamento della carriera professionale o per scappare alle scarse opportunità presenti nel Paese natìo.

Certo, non significa, almeno in teoria, che i sussidi saranno negati a prescindere. Ci sarà una valutazione caso per caso. Ed è proprio questo margine di discrezionalità che introduce un principio nuovo, quasi sconosciuto, per la generazione che è cresciuta senza le barriere in Europa, la generazione Erasmus, con la possibilità di circolare liberamente per provare a costruirsi un futuro altrove: il passaporto fa la differenza per l’accesso ai diritti. Piaccia o meno è così. Pur di scongiurare la Brexit, un altro dei capisaldi dell’Unione, alla pari di Schengen, finisce per capitolare con la motivazione del pragmatismo. Il “regalo” fatto a David Cameron è un piccolo riconoscimento al sentimento di neo-nazionalismo che non riguarda certo l’isola del Regno Unito.

TAG: Brexit, cameron, Londra
CAT: Londra

3 Commenti

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  1. eugenios 8 anni fa

    Il regno unito tende ad applicare il concetto di unione europea con una distorsione campanilista, massimizzando i profitti a scapito dei lavoratori stranieri che data la florida economia britannica, potrebbero essere protetti dalle misure sociali valide per i loro cittadini. E’ l’europa dei paradossi e delle personalizzazioni estreme, in cui un paese si appropria di risorse economiche e posti di comando, un altro dei soli privilegi,lasciando l’onere di confrontarsi con la rigidità procedimentale al resto dei paesi membri. Attendiamo, poco fiduciosi, gli sviluppi.

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  2. riccardo-fumagalli 8 anni fa

    Premetto che dare, parzialmente, ragione a Cameron probabilmente mi causerà un attacco di emorroidi ma mi prendo il rischio.
    A mio parere questa idea non è così sbagliata. Stefano, quoto la tua frase:
    “In pratica un cittadino italiano, trasferitosi a Londra per “cercare fortuna” o banalmente per trovare lavoro (come accade sempre più spesso), non avrà gli stessi diritti di un britannico.”
    Più precisamente questo cittadino italiano avrà meno diritti anche di me, che in UK ci sono da 8 anni. E così tutti gli altri cittadini, a prescindere dalla nazionalità, che hanno lavorato e versato tasse per il tempo necessario per qualificarsi ai benefit. Gli aiuti di stato vengono elargiti a chi il lavoro lo perde oppure perde le condizioni che inizialmente rendevano un cittadino perfettamente abile al lavoro. Dando benefit da subito si finirebbe a pagare le vacanze alla gente, come succedeva già una decina di anni fa prima che chiudessero un po’ il rubinetto.
    In più gli immigrati EU che reclamano “qualche tipo di benefit” (che può essere una full allowance o un minimo di aiuto sull’affitto) sono una percentuale irrisoria. Che poi questi dati vengano camuffati per fare la solita propaganda popolar-nazionalista è un’altra storia.

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