Un emendamento per salvare le partite Iva dal nuovo (folle) regime dei minimi

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4 Dicembre 2014

Il nuovo regime forfettario di cui al disegno di legge di stabilità 2015, che ha ottenuto il via libera alla Camera, non risponde minimamente alle attese dei piccoli imprenditori e dei giovani lavoratori autonomi ma, a dire il vero, nemmeno alle esigenze del Paese.

Non solo. Esso, a parte l’aumento dell’aliquota dal 5% al 15% (che si commenta da sè), si pone in netto contrasto con gli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 53 (principio di capacità contributiva) della nostra carta costituzionale. Ne è prova evidente la differenziazione, in funzione dell’attività svolta, delle soglie di ricavi/compensi per accedere al regime agevolato e dei coefficienti di redditività in base ai quali determinare il reddito imponibile.

Il nostro ordinamento è fondato (o lo dovrebbe essere) su un principio semplicissimo: chi guadagna di più, deve pagare di più, indipendentemente da chi è e dall’attività che svolge.

Decidere, sulla base di presunzioni, l’accesso differenziato a un regime fiscale agevolato in funzione dell’attività svolta non è in linea con questo principio. E’ un evidente fuor d’opera che sia lo Stato a decidere in base all’attività svolta se posso o non posso, a parità di volume d’affari, accedere a un regime fiscale agevolato.

Peraltro, come sottolineato da molti commentatori, il limite di 15.000 euro fissato attualmente per tutte le attività professionali è evidentemente un non senso. Una soglia così bassa non è giustificata, impedisce ab origine l’accesso al regime agevolato e aumenta il rischio di evasione, specie in considerazione delle conseguenze gravose di uscita dal regime.

I diversi coefficienti di redditività finiscono inoltre con equiparare situazioni che non sono indice della medesima capacità contributiva, anche a parità di attività lavorativa. Un professionista che durante il periodo di imposta sostiene spese importanti (inerenti naturalmente) determinerà l’imposta sulla base dello stesso reddito imponibile di chi invece spese non ne ha sostenuto.

Per fare un esempio concreto, a parità di ricavi pari a 10.000 euro, due professionisti applicheranno l’imposta sostitutiva del 15% sullo stesso reddito imponibile pari a 7.800 euro (coefficiente di redditività pari al 78%), indipendentemente dalle spese concretamente sostenute dagli stessi.

In seguito alla decisione del Consiglio Ue (n. 2013/678) e del 15 novembre 2013 che ha autorizzato l’Italia ad aumentare la soglia di esclusione dall’Iva fino a 65.000 euro, ci si aspettava per le partite iva una riforma diversa, di tutt’altro spessore. Capisco che innalzare la soglia dei ricavi a 65.000 euro mantenendo l’aliquota attuale del 5% sarebbe stato eccessivo ma prevedere un sistema di tipo diverso sarebbe stato opportuno.

Una soluzione, che ho già peraltro illustrato in altre occasioni, potrebbe essere quella di prevedere un sistema progressivo, basato su una soglia di ricavi massima maggiore di quella attuale  (fino a 45.000 euro), uguale per tutti e tre aliquote crescenti in funzioni del reddito, determinato secondo la disciplina attualmente in essere (reddito di impresa o di lavoro autonomo costituito dalla differenza tra l’ammontare dei ricavi o compensi percepiti e le spese sostenute).

In pratica, se il reddito:

– è pari o inferiore a euro 15.000, si applicherà un’imposta sostitutiva pari al 5%;

– tra 15.001 e 30.000 euro si applicherà un’imposta sostitutiva pari al 10%;

– tra 30.001 e 45.000 euro si applicherà un’imposta sostitutiva pari al 15%.

Un sistema così delineato darebbe ai giovani imprenditori e professionisti una prospettiva di crescita e una grossa spinta al Paese.

Una cosa è dire: superata la soglia dei ricavi fissata a 15mila euro, devi passare al più oneroso regime ordinario, un’altra sarebbe dire: man mano che cresci paghi qualcosa in più (un 5% in più) fino alla soglia massima di reddito pari a 45.000 euro (preciso che prevedendo quale limite dei ricavi euro 45.000 difficilmente qualcuno potrà avere un reddito imponibile di 45.000 euro. Questo vorrebbe dire infatti avere costi zero, il che è praticamente impossibile).

Il sistema risulterebbe non solo conforme a Costituzione (essendo rispettati i principi di uguaglianza e di capacità contributiva) ma avrebbe anche un chiaro effetto positivo per lo Stato, sia in termini di crescita economica, sia in termini di recupero del sommerso.

Peraltro, calcoli alla mano, il sistema come configurato attualmente, risulta, nella molteplicità dei casi, in presenza di costi anche modesti, addirittura meno conveniente rispetto al regime ordinario. E ciò in virtù delle detrazioni da lavoratore autonomo non contemplate in un regime di tipo forfettario.

Ci si auspica quindi che, nel passaggio al Senato, il testo subisca delle modifiche tali da rendere il sistema giusto e soprattutto utile al Paese.

Qui uno spunto è stato dato (più di uno spunto in realtà: in calce c’è infatti proprio il testo dell’emendamento).

TAG: partite iva, regime dei minimi
CAT: Legislazione

3 Commenti

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  1. tommaso.leso 9 anni fa

    Mi si può spiegare perché un pensionato o un lavoratore dipendente che guadagnano 45mila euro l’anno deve pagare un’aliquota media del 31,08%, mentre un lavoratore autonomo deve pagare un’aliquota media del 10%? Sempre per via degli articoli 3 e 53 della costituzione, eh.

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    1. primo non è vero, paga molto di più del 10%, secondo perchè è lui che crea lavora e mantiene sia il dipendete che il pensionato (quest’ultimo in realtà non paga nulla di tasse, come del resto i dipendenti statali, che sono tax-consumer)

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  2. giorgio-infranca 9 anni fa

    Innanzitutto sono rapporti non paragonabili, l’uno connaturato dal rischio “imprenditoriale” con tutto quello che comporta gli altri no e poi ricordiamoci che stiamo sempre parlando di un ipotetico sistema fiscale di vantaggio pensato per favorire le nuove attività, la produttività e in generale il PIL del Paese. Ha una ratio ben precisa. Se l’economia gira e gira bene, magari anche il lavoratore dipendente è più tranquillo nel proprio posto di lavoro.

    Quanto poi ai numeri l’ipotesi riguarda(va) ricavi massimi pari a euro 45000 ai quali devi sottrarre i costi che, per un lavoratore autonomo, tra affitto e collaboratori, come minimo sono pari a euro 15000.
    Quindi se parliamo di reddito imponibile dovresti far riferimento a un lavoratore dipendente con un reddito di circa 30.000.
    Vedrai che l’aliquota non si discosta di molto da quella del 15% (e non del 10%) da me immaginata nella proposta.
    Comunque non temere. La proposta seppur arrivata in Senato non è passata. Dovremmo comunque smetterla di fare questi paragoni. A mio avviso non portano a niente. Ciao.

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