Il progetto CLIL a scuola funziona davvero?

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20 Gennaio 2019

Poliglottia: Ormai da qualche anno in Italia si insegnano discipline non linguistiche in una lingua veicolare diversa dall’italiano. Vorrei approfittare di questa intervista per chiederLe se funziona. Quali esperienze ha di insegnamento in una lingua veicolare diversa dall’italiano? La domanda richiede di motivare la sua autorità in qualità di esperto, teorico e pratico. Ricordiamo ai lettori che questa esperienza, in diversi sistemi dell’istruzione, è identificata dall’acronimo CLIL, Content and Language Integrated Learning, cioè apprendimento integrato dal punto di vista linguistico e contenutistico. Una vera rivoluzione, per la scuola italiana.

Techne Maieutike: Mi sono formato come docente CLIL seguendo i corsi di specializzazione universitari organizzati dal Ministero attraverso le Università. Prima di iniziare questo corso non ero un neofita, avendo già lavorato nell’ambito del progetto Lingue 2000 (storia in tedesco) e del progetto Esabac (storia in francese), ma anche negli anni novanta del secolo scorso, all’epoca in cui abitavo e studiavo in Germania. Non è mancata l’esperienza dell’insegnamento come docente di lingue (francese, tedesca, italiana) né come formatore di insegnanti (SILSIS, TFA, Esabac) presso l’Università Statale e l’Università di Milano-Bicocca. Infine, dal 2016 insegno in italiano e tedesco presso la Scuola europea di Francoforte, vera palestra di plurilinguismo.

Poliglottia: Impressionante. Lasciamo però la sua esperienza dal 2016 a un’altra occasione e concentriamoci sulla questione dei cambiamenti, delle trasformazione che determina in un docente.

Techne Maieutike: Quando si impara un nuovo metodo (nel corso di più di vent’anni di insegnamento ne ho sperimentati davvero tanti) si diventa un altro insegnante, abbandonando definitivamente l’idea che per insegnare basti conoscere qualche contenuto in modo più o meno approfondito e imitare ciò che facevano i nostri insegnanti.

Grazie al metodo CLIL ho capito di essere più docenti in uno, e ho scoperto una serie di caratteristiche che si adattano perfettamente a una definizione basata sulle competenze…

Poliglottia: Ecco proprio qui vorrei soffermarmi: Cosa deve saper fare un docente?

Techne Maieutike: Deve saper gestire, innanzi tutto, il cosiddetto code-switching. Il cambiamento di codice è un fenomeno spontaneo dei bambini (e degli adulti) bilingui, ma anche una delle manifestazioni tipiche della presenza di diverse lingue e culture nelle lezioni CLIL.

In secondo luogo, dovrebbe saper gestire il problema delle interferenze (spesso divertenti, magari anche volute, talvolta imbarazzanti o frustranti, foriere di malintesi), dei prestiti, dei calchi, della comprensione del linguaggio non verbale. Queste situazioni si sono palesate sin dalle prime esperienze di insegnamento e apprendimento di una lingua o in una lingua, ma negli ultimi anni li ho rivisti manifestarsi in mia figlia, tanto che i suoi esempi, trascritti con regolarità, sono stati integrati nella versione italiana, da me tradotta, di Bilinguismo. Miti e realtà, di François Grosjean, Milano 2015.

Poliglottia: Riflettere sul metodo CLIL ci permette anche di individuare alcuni dei nostri punti deboli nella lingua straniera, per esempio la fonetica inglese, e anche di rafforzare e affinare gli strumenti di verifica, ma i corsi di formazione universitari presentano al riguardo alcuni problemi, non trova?

Techne Maieutike: Sì. Mi ha più volte lasciato perplesso un certo scollamento tra la ricerca propriamente linguistica e la didattica disciplinare. Non sono tuttavia mancati suggerimenti importanti: se i file powerpoint usati dai docenti universitari specializzati in linguistica sono risultati per lo più insoddisfacenti dal punto di vista del sapere disciplinare, gli strumenti per madrelingua, per esempio quelli della Cambridge, semplici ma autentici e storicamente rigorosi, si sono rivelati perfetti per lavorare sui contenuti con classi quinte e con studenti in possesso di certificazioni linguistiche B2/C1 (cioè avanzate). E sono anche i preferiti dagli studenti.

Come tutti i percorsi universitari privi di un buon coordinamento, i corsi CLIL presentano una certa ridondanza, ma il difetto principale risiede sicuramente nel peso dato a esercizi di tipo quasi meramente linguistico (tipo fill in the gaps, spesso difficili da risolvere e in fondo un po’ inutili, o divertissements fatti con siti online che nulla hanno a che vedere con l’apprendimento), mentre sfugge la finalità disciplinare (contenutistica e piuttosto impegnativa) del “nostro” CLIL.

Poliglottia: Cosa intende con “nostro”? Parla del CLIL effettivamente svolto nelle scuole?

Techne Maieutike: Sì. In un consiglio di classe nel quale è presente anche un docente di lingua, il docente della disciplina non linguistica svolge il ruolo del mediatore dei contenuti, non dell’insegnante di lingue, tranne nei (certo non rari) momenti in cui, anziché usarla come strumento, è costretto a esplicitare la pronuncia di un termine, a correggere qualche errore che impedirebbe la comprensione, a chiarire concetti difficili o inusuali e, in particolare, nel momento della restituzione di testi scritti, dalla risoluzione di esercizi banali alla redazione di un saggio breve in lingua straniera, come per esempio le olimpiadi di filosofia, svolte su due canali, italiano e lingua straniera (www.philolympia.org), anche se paradossalmente, alle selezioni regionali per la lingua straniera si tende a proporre tracce in italiano, da tradursi da parte degli studenti.

Poliglottia: Ne avevo sentito parlare. Gli organizzatori si sono persino sorpresi delle perplessità sollevate dai docenti, adducendo che, in Italia, le domande sarebbero state formulate in italiano anche per il compito in inglese, e che gli studenti “esterofili” avrebbero dovuto tradursele da soli. Con lo stesso principio, alle finali internazionali in Belgio i nostri studenti dovrebbero tradurre dal nederlandese, in Cina dal cinese…

Techne Maieutike: Proprio così. Mi sono dunque reso conto di ciò che è richiesto ai docenti, ma anche ai discenti (purché in possesso di una certificazione B2, perché per i principianti il discorso sarebbe molto diverso); dell’importanza del lavoro sul testo originale, più che su di un testo semplificato e semplicistico; del fatto che i diversi metodi didattici che usiamo in italiano, mutatis mutandis, tendono a ripetersi anche nella lezione in lingua straniera (dalla lezione frontale al lavoro di ricerca e al progetto, dal lavoro di coppia a quello di gruppo, dal tema argomentativo al saggio breve, passando per il dibattito regolamentato), ragion per cui occorrerebbe anche una riflessione sui metodi di insegnamento in italiano.

Poliglottia: Mi sembra che il metodo CLIL abbia stimolato anche una riflessione sui BES: i Bisogni Educativi Speciali, cioè i problemi culturali, economici, linguistici ecc. che condizionano l’apprendimento.

Techne Maieutike: Ma anche sui veri e propri disturbi dell’apprendimento (come la dislessia), che richiedono una formazione psico-pedagogica specifica. Su questo noi insegnanti abbiamo ancora molto da apprendere, come ho potuto rendermi conto svolgendo il ruolo di referente per gli alunni stranieri e per i cosiddetti DSA (studenti affetti da dislessia, disortografia, discalculia ecc.). Di fatto, durante una lezione CLIL impariamo a riformulare in modo più semplice (chiaro, comprensibile) questioni complesse (tramite definizioni ostensive, persuasive o stipulative, denotative o connotative, sinonimiche o per genere e differenza); a sviluppare strumenti di lavoro e di comprensione variabili e molteplici; a far riferimento al destinatario, alle persone con cui lavoriamo e ai loro bisogni, usando spesso schemi o visualizzazioni (le “mappe concettuali”) per agevolare la comprensione di tutti.

Poliglottia: Come si sente, all’interno dei docenti CLIL. Le sembra di essere diventato un punto di riferimento? In fondo, ha contribuito a formare numerosi insegnanti, attraverso i corsi di specializzazione universitaria e il progetto ESABAC, il doppio diploma italiano-francese, che richiede una diversa metodologia di insegnamento per la storia.

Techne Maieutike: Io sostengo una versione non del tutto “ortodossa” del CLIL, benché lecita, e cioè quella del non eguale peso dato agli elementi disciplinari e linguistici, con la prevalenza dei primi. Mi capita sempre di sentirmi dire “questo non è il vero CLIL”, dal critico di turno. In realtà, uno standard non esiste…

Poliglottia: Quali sono, ancora, le conseguenze per un docente che decide di insegnare la sua disciplina in un’altra lingua?

Techne Maieutike: Direi che le conseguenze sono totalizzanti: persino sull’annosa questione della valutazione degli insegnanti stabilita da uno dei più gravi fallimenti del governo Renzi…

Poliglottia: Gravi? Molti non hanno affatto apprezzato il tentativo…

Techne Maieutike: Il fallimento è grave per le conseguenze. La valutazione degli insegnanti avviene di fatto, tanto da noi che in altri Paesi. Il problema è semmai come farla. La lotta di retroguardia che si è combattuta in Italia qualche anno fa ha rifiutato la riforma “Renzi”  in quanto ufficialmente non accettava che i presidi potessero, in modo monocratico, decidere quali fossero gli insegnanti migliori, che avrebbero ricevuto un premio economico (assolutamente inconsistente, per la verità), ma in realtà non si voleva che un insegnante potesse essere valutato nel merito, altrimenti si sarebbe lottato per i giusti criteri di valutazione, che devono essere impostati sul lavoro svolto a scuola, sui risultati dal punto di vista degli studenti, ma anche sui titoli, sulle pubblicazioni, sulle specializzazioni e, in una parola, sulle competenze dell’insegnante… ma lasciamo perdere, ormai il treno l’abbiamo perso.

Poliglottia: Anche il CLIL dovrebbe essere impostato sulle competenze, anche quelle che aveva appena elencato. Nei suoi percorsi di apprendimento e di osservazione che cosa ha imparato?

Techne Maieutike:  Mi chiede se sia stata utile l’osservazione delle lezioni CLIL svolte da colleghi e colleghe? Inizialmente ben poco, perché ero partito con l’intenzione di trovare il modello ideale del docente CLIL, esattamente quello che è descritto nella normativa italiana ed europea.

Invece, ho visto piuttosto modellini poco ideali e molto sbagliati. A volte il problema erano addirittura le conoscenze disciplinari e il metodo didattico sarebbe stato inadeguato in qualsiasi lingua. Per lo più, chi in questi anni ha praticato il CLIL su incarico del Dirigente scolastico raramente aveva acquisito le competenze linguistiche e/o metodologiche necessarie.

Ovviamente, sarei troppo presuntuoso se non sapessi che tutti commettiamo errori, e che dagli errori si impara moltissimo, purché si adotti un certo tipo di inferenza: non meramente deduttiva, ma formulazione di ipotesi e controllo induttivo dell’efficacia, e solo dopo applicazione di una regola.

In tal modo, osservando persone che asserivano di aver eliminato il metodo della lezione frontale e di aver reso la lezione interattiva, mi sono reso conto che, semplicemente, avevano trasformato la lezione frontale in una lezione parzialmente dialogata. Con “partecipazione degli studenti”, però, dobbiamo intendere qualcosa di molto diverso: dal lavoro di ricerca al lavoro di gruppo, dal dibattito (previa ricerca) al progetto, anche teatrale, dalla discussione alla elaborazione scritta (sia in forma di testo argomentativo, sia in forma di materiale didattico).

Un altro errore cui ho dovuto assistere, presso una collega di biologia e una collega di storia dell’arte, è l’applicazione del “metodo della traduzione”.

Poliglottia: Anch’io sono un traduttore. Vuole forse negarne l’utilità?

Techne Maieutike: In generale, non ho nulla contro la traduzione. Talvolta può essere necessaria per chiarire, talaltra un buon esercizio di interpretazione (un’inferenza abduttiva, secondo la semiotica e la teoria traduttologica di Eco). Tuttavia, la lezione impostata sulla traduzione, in cui la docente si limita a far leggere una frase e a chiedere di tradurla, non ha niente a che vedere con la lezione CLIL.

Mi è persino capitato di vedere gli studenti dire alla docente come il metodo fosse inadeguato alle finalità, e di sentire, come risposta, che la lezione in inglese l’avrebbero fatta con la docente di lingua straniera.

Poliglottia: Sì, conosco il problema. Il paradosso è che spesso nemmeno il madrelingua possiede le competenze linguistiche necessarie: ignora la corretta pronuncia dei termini disciplinari e non è in grado di spiegarli.

Techne Maieutike: Proprio così. Mi sono persino trovato a dover intervenire in aiuto dei madrelingua, usando semplicemente un’applicazione del dizionario Oxford, con i file audio della pronuncia. Qui l’errore principale è stato l’improvvisazione e la mancanza di preparazione da parte, soprattutto, del docente madrelingua. È in questo contesto che ho visto l’inutilità di certi esercizi come il riempimento delle lacune o la grammatica: né la docente disciplinare né il docente madrelingua erano in grado di risolverli in modo sicuro e condiviso.

In definitiva, anche questi errori sono riconducibili al vero punto debole di tutto il progetto: non c’è praticamente collaborazione o progettazione condivisa a livello di gruppo CLIL o consiglio di classe. In teoria, si potrebbe creare un referente CLIL con adeguate competenze linguistiche, didattiche, metodologiche, ma l’anarchia tipica del consiglio di classe rappresenta un ostacolo difficilmente superabile.

TAG: CLIL, competenze, Content and Language Integrated Learning, formazione insegnanti, Lingue straniere a scuola, Multilinguismo, Riforme a scuola
CAT: scuola

2 Commenti

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  1. saulagana 5 anni fa

    Articolo interessante. “…ma l’anarchia tipica del consiglio di classe rappresenta un ostacolo difficilmente superabile.” L’anarchia del consiglio è figlia della ben più diffusa anarchia della società italiana. Un problema al momento irrisolvibile.

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  2. epimeleia 5 anni fa

    Concordo su tutto riguardo al CLIL, d’altronde abbiamo avuto modo di confrontarci in merito durante questi anni. Auspico anche io un ridimensionamento dell’ottica linguistica, a favore di quella disciplinare non linguistica. D’altronde se questi corsi sono gestiti interamente dai dipartimenti di lingue dell’università, il taglio probabilmente è inevitabilmente quello. Si rischia però di perdere la specificità e anche le potenzialità del CLIL, anche nei termini delle ricadute interdisciplinari e trasversali (rivolte alle competenze). Grazie del tuo intervento, che mi sarà utile anche per un confronto con i colleghi dei CLIL Team di cui ho fatto e faccio parte.

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