Non chiudete quella porta. Finalmente, un barlume di critica al Modello Milano

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18 Dicembre 2019

«Ah! Je respire enfin!» dice Pelléas emergendo dagli opprimenti sotterranei del castello, inalando avidamente aria libera. È un po’ la sensazione che si prova in queste ultime settimane trovandosi a leggere qua e là su giornali e siti web qualche critica al modello Milano, da quasi un lustro letteralmente inattaccabile, protetto da una censura feroce e puntigliosa.

Certo, qua e là – molto su queste medesime pagine – qualcuno ha cercato, prima, di raccontare le imperfezioni e i problemi di una città sempre più diseguale, distaccata dalla realtà del resto del paese ma anche dalle sue più strette periferie, immersa nel culto narcisistico dell’autocelebrazione: Giuseppe Imbrogno in Milano come Piattaforma estrattiva, Alessandro Coppola in Milano, qualità della vita. La vera grande questione è quella dell’abitare e Milano, Italia. La politica dei divari è nel nostro futuro. Innumerevoli articoli di Arcipelago, di Barbacetto, di Milano X  e di OffTopic, e più raramente Il giornale dell’Architettura con gli articoli di Davide Borsa, analizzano da anni con pazienza le politiche urbanistiche e sociali che si susseguono con continuità affossando proprietà e società pubbliche a favore degli interessi privati, mentre testate come Lo stato delle città di Napoli Monitor , e, negli articoli di Luigi Mastrodonato, Internazionale hanno pubblicato inchieste sull’abitare. Ma fino a ora si è trattato di tracce sottili, respinte ai margini del campo editoriale, occupato quasi per intero da peana assoluti, trascrizioni di comunicati stampa ufficiali, se non di deliri da ottimismo forzato di website nati apposta per esaltare questo nuovo sex-appeal milanese. Analizzare criticamente decisioni politiche sul presente e il futuro urbano è stato in questi anni non solo difficile (le proposte inesorabilmente bocciate o ammorbidite), ma controproducente: nei rari casi di pubblicazione, i critici sono stati sbeffeggiati (“gufi”, à la Renzi), delegittimati (“xxx chi?, sempre à la Renzi) o espulsi.

È quello che è successo in effetti anche al ministro Provenzano, che per avere osato dire in tv che Milano ” attrae ma non restituisce nulla” si è beccato del terrone lamentoso più una nutrita serie di altri improperi.
Poi però è arrivata una mazzata dal nord, da uno dei migliori giornali (ancora per poco) europei, The Guardian: Milano ha successo, sì, ma come molte altre città effervescenti sta depredando la ricchezza dei territori periferici. Urca, come fai a dare del terrone al Guardian? Ai tempi Berlusconi definiva il Financial Times un giornale comunista, ma nella città modello non si può cadere così in basso. Che fare? meglio stare zitti e fare finta di niente, passerà.

E invece, in questo novembre nero, il sasso non cade nel vuoto, ed ecco Il foglio traditore se ne esce con un pezzo lunghissimo e in fondo benevolo di Michele Masneri, il più amato degli italiani. La crudeltà sta tutta nel titolo, sbattuto in prima pagina: Contro Milano.

A quel punto si scatena l’inferno, l’indignazione dei milanesi traditi dai media più affezionati, la rabbia contro il “bresciano emigrato a Roma”, sintetizzati dalla esagitata risposta di Marina Terragni sullo stesso Foglio dopo qualche giorno e ribaditi a voce nell’incontro “Contro Milano, Viva Milano” organizzato prontamente dai lib di Rivista Studio nel tempio della Triennale per ricondurre ogni eretico dissenso all’armonia.

Ma la crepa, nella sfera perfetta della narrazione Milanottimista, è ormai aperta: un’energia a lungo repressa comincia a tracimare, e compaiono articoli nei luoghi più impensati. Sempre su Gli Stati Generali spopola un’intervista di Chiara Alessi a Marco De Michelis intitolata Attenti al buonumore di Milano: il rischio è Venezia. Quelli che fanno più male potrebbero essere la classifica degli Expat – che attribuisce a Milano solo due punti in più che a Roma, scandalosamente in basso nell’elenco – e quello di Luigi Mastrodonato non su Internazionale, ma su Wired.

Qui Mastrodonato fa un passo avanti rispetto alle giuste osservazioni del ministro Provenzano e del Guardian, che danno per scontato il successo “interno” milanese ma segnalano la diseguaglianza che produce a livello territoriale, l’effetto “idrovora” e non più “locomotiva” nei confronti del Sud, dell’Italia, ma anche del proprio hinterland. Mastrodonato mette in evidenza le diseguaglianze che il modello Milano produce al suo interno, il disagio abitativo, gli stipendi bassi, e poi la pessima qualità dell’aria e le morti che produce ogni anno, ma soprattutto la percezione alterata che i milanesi si ostinano ad avere di Milano, e che pretendono di imporre agli altri.
«È questo il grande problema di Milano, quello di essere analizzata in termini relativi, non assoluti. Milano eccelle nella narrazione, da una parte per l’abilità di chi la racconta, dall’altra per il suo “fare meglio di”, che non vuol dire fare bene. Il problema è che a continuare a negare la vera Milano, si finirà per spianare la strada a una tensione sociale che già c’è, ma che per ora si vuole e si riesce a silenziare.
Parlare della Milano silenziata – quella dell’inquinamento, del disagio abitativo e via dicendo – non significa fare il male di Milano, quanto l’esatto contrario. Aiutarla a essere più inclusiva, più sostenibile, più virtuosa di quanto già non sia sotto molti aspetti. Aiutarla, insomma, a essere più cool. Per davvero».

Il punto è esattamente questo, una banalità che oggi suona quasi sovversiva: la critica protegge la società, la censura (il regime incontrastato del marketing, dello storytelling, della narrazione, della propaganda, del positive journalism) la uccide. E basta riguardare le preziosissime visualizzazioni del voto strada per strada elaborate dal laboratorio Datainterfaces di Fondazione ISI per rammentare l’avanzata imperiosa della Lega dalle periferie (San Siro, Giambellino, Sant’Ambrogio, Barona, Corvetto in particolare) verso il centro tra le Politiche 2018 e le Europee 2019.

A sinistra, la percentuale dei votanti lega nelle Politiche 2018. A destra nelle Europee 2019. Il blu-viola tende a zero, il giallo tende a 50%

Un anno, quello, in cui la critica è stata completamente bandita. Per cambiare rotta, è fondamentale tenere aperta la breccia mediatica sul modello Milano.

TAG: censura, critica, disuguaglianze, modello milano, propaganda
CAT: Milano

3 Commenti

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  1. miche-cremonesi 4 anni fa

    La breccia di Porta Tosa!

    Facezie a parte, l’autocritica è doverosa e in sintonia con uno dei tratti milanesi più belli: il pragmatismo.

    Ma oltre a questo, credo che il male principale del Milanottimismo sia la scarsa curiosità di noi milanesi per situazioni “fuori Milano”, che siano lontane da stereotipi modaioli del momento (tipo quanto è indie scoprire la Provincia e/o il Giappone). Poca conoscenza delle periferie, dell’hinterland, delle province più vicine, per non parlare di altre regioni e modelli sociali del Paese: un curioso oblio che sembra colpire anche i milanesi di prima generazione, intenti ad affrancarsi dalla “polvere” del fuori Milano (ma perché?)

    Risultato: un auto-referenzialità che ci distanzia dal Paese, che ci rende malvisti, che non ci fa capire alcune logiche di orientamento (politiche, sociali, di costume)… e noi rischiamo di non accorgercene, troppo presi dal luccichio dell’ultimo building in costruzione.

    Da due anni lavoro a Verona, e ho potuto vivere sulla mia pelle alcune contraddizioni milanesi: spero tanto che questo Milanpessimismo si sviluppi come un bell’antidoto a tante risposte di comodo a cui noi milanesi siamo abituati!

    Grazie STATI GENERALI per l’attenzione su questo argomento!

    Rispondi 1 0
  2. miche-cremonesi 4 anni fa

    La breccia di Porta Tosa!

    Facezie a parte, l’autocritica è doverosa e in sintonia con uno dei tratti milanesi più belli: il pragmatismo.

    Ma oltre a questo, credo che il male principale del Milanottimismo sia la scarsa curiosità di noi milanesi per situazioni “fuori Milano”, che siano lontane da stereotipi modaioli del momento (tipo quanto è indie scoprire la Provincia e/o il Giappone). Poca conoscenza delle periferie, dell’hinterland, delle province più vicine, per non parlare di altre regioni e modelli sociali del Paese: un curioso oblio che sembra colpire anche i milanesi di prima generazione, intenti ad affrancarsi dalla “polvere” del fuori Milano (ma perché?)

    Risultato: un auto-referenzialità che ci distanzia dal Paese, che ci rende malvisti, che non ci fa capire alcune logiche di orientamento (politiche, sociali, di costume)… e noi rischiamo di non accorgercene, troppo presi dal luccichio dell’ultimo building in costruzione.

    Da due anni lavoro a Verona, e ho potuto vivere sulla mia pelle alcune contraddizioni milanesi: spero tanto che questo Milanpessimismo si sviluppi come un bell’antidoto a tante risposte di comodo a cui noi milanesi siamo abituati!

    Grazie STATI GENERALI per l’attenzione su questo argomento!

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  3. evoque 4 anni fa

    Citare un sé-dicente giornalista come Barbacetto a proposito di chi critica Milano, a mio avviso, non è cosa né buona né giusta: ricordo benissimo le balle, la disinformazione di Barbacetto su Expo…Ricordo anche l’altro articolo citato: l’intervista a Marco De Michelis da cui emergeva, secondo l’intervistato beninteso, che niente va bene, che Citylife è cheap, o quasi.Insomma, se parli degli aspetti positivi,- indubbi – di Milano sei un propagandista, sei ammanicato; se ne parli male accentuando, mi raccomando, le criticità, fai vera informazione.Una domanda (retorica): se gli investimenti stranieri preferiscono Milano invece di altre parti d’Italia, invece della penosa capitale, per esempio, sarà mica colpa di Milano? La Giunta Sala davvero non sta facendo niente per le periferie? La classifica del Sole 24 sulla qualità della vita che vede Milano al primo posto è stata forse commissionata dalla Giunta Sala? Parafrasando Nanni Moretti, mi vien voglia di dire mi si nota di più se parlo bene di Milano o se ne parlo male?

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