Il sicilianismo, la mafia e le classi dirigenti siciliane

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5 Marzo 2023

Perché meravigliarsi della vocazione sicilianista che emerge dai pizzini di Matteo Messina Denaro, basta rileggere le carte del processo Notarbartolo per rendersi conto del fatto che l‘ideologia sicilianista abbia trovato sempre convinte adesioni fra i mafiosi e qui ne raccontiamo un passaggio.

Settembre 1901, il processo di Bologna per l’omicidio di Emanuele Notarbartolo, prima vittima eccellente di mafia, chiama in causa quei membri della aristocrazia e della borghesia palermitana che, in qualche modo avevano avuto rapporti con l’on.le Raffaele Palizzolo, considerato il mandante del delitto.

Fra i chiamati a deporre, come informato sui fatti, c’è Ignazio Florio Jr, classe 1869, l’uomo più ricco della città oltre che grande manovratore politico, oggi protagonista della saga che tanto successo di pubblico sta riscuotendo.

Il Florio era stato, peraltro, il beneficiario di quelle operazioni spregiudicate a danno del Banco di Sicilia che erano state in parte sventate dal Notarbartolo con l’opposizione, appunto, del Palizzolo.

Del Palizzolo erano stati denunciati i suoi rapporti con elementi mafiosi e, addirittura, delle vere e proprie solidarietà che lo raffiguravano come un esponente di spicco del sodalizio criminale.

Pare, almeno così si desume da alcune cronache giornalistiche, che il Florio si manifestasse infastidito quando si trovò di fronte l’avvocato Maggia che, senza mezzi termini gli chiese: “Potrebbe dirci il commendatore Florio se è vero che a Palermo esiste la mafia?.”

A quella domanda diretta, evidentemente indignato, il Florio rispose senza alcuna esitazione con queste parole :”La maffia? Non l’ho mai sentita nominare!”

Con sarcasmo, il pubblico ministero che conduceva l’accusa nel processo, si lasciava andare a questo commento :” Già, la maffia, un’associazione che delinque contro le persone e le proprietà, e di cui talvolta si servono anche nelle elezioni”.

Un commento che sembra andare a segno, visto che il Florio, perdendo la sua studiata compostezza, si alza in piedi e con un tono di voce visibilmente alterato grida : “E’ incredibile come si calunnia la Sicilia! La mafia alle elezioni! Mai! Mai!”.

Interviene alla fine lo stesso Presidente del collegio giudicante il quale chiede : “Dunque lei esclude che le elezioni in Sicilia si facciano con la mafia e i quattrini”.

Florio ha il tempo di ricomporsi e, come un funambolo approfitta di quella domanda per togliersi una fastidiosa pietruzza dalla scarpa infatti aggiunge: ”Ecco, per essere esatti, devo dire che in una recente occasione socialisti spesero centomila franchi per battere la lista monarchica”.

Lanciata quest’accusa Florio abbandonò sgarbatamente la tribunetta dei testimoni. Particolare significativo: di questo interrogatorio non si fece alcun cenno nella stampa siciliana che dava invece vasto risalto al fronte sicilianista del comitato Pro-Sicilia.

 

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CAT: Criminalità, Storia

Un commento

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  1. aldo-ferrara 1 anno fa

    Delizioso affresco storico-politico di uno Studioso, come Pasquale Hamel, di rara e maturata capacità di analisi della complicata realtà siciliana. In essa si embricano potere, politica, pressioni sin dai tempi dello scandalo della Banca Romana di Tanlongo, contro cui il j’accuse di Napoleone Colajanni fu tra le poche voci di contrasto politico, non tanto versus Giolitti quanto Crispi, vero bersaglio del dito puntato. Il salto temporale che ci porta dal 1892, cento anni esatti prima di “mani pulite”, agli anni cinquanta non è foriero di alcuna modifica quando a potere, politica, pressioni e banche si aggiunge il sangue delle prime guerre di mafia. Mi (e Vi) chiedo se oggi in Sicilia si apprezzi davvero un reale o sostanziale cambiamento a contrasto della possibile percezione di una mafiosità impalpabile come da cipria di maquillage.

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