A tirar giù i monumenti si cancella ogni memoria. E non è cosa buona

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14 Giugno 2020

La furia iconoclasta che divampa mi lascia di stucco.

Non avevo compreso la portata della questione sino a che è partita una campagna tutta italiana, che ha al suo centro la crociata contro la statua di Indro Montanelli presso i giardini a lui dedicati a Milano, in Porta Venezia.

La questione esplode in relazione alla grandi manifestazioni di massa che si sono avute in U.S.A. dopo l’uccisione di George Floyd. Un’onda robusta e naturalmente condivisibile che ha significato il rigetto della violenza sistematica della polizia americana nei confronti degli afroamericani in particolare ma, mi verrebbe da dire, in generale.  Ed ecco, dunque, partire con la demolizione di statue che richiamano al passato schiavista o alla sopraffazione bianca sugli afroamericani.

La mia conoscenza degli U.S.A. passa attraverso la letteratura (e pochi viaggi). È, dunque, limitata. Ma una cosa mi è chiara, avendo letto tutti i romanzi di James Lee Burke ambientati nel profondo sud della Louisiana, i folgoranti libri di Chester Himes – scrittore afroamericano che con le sue storie travolgenti criticava i suoi stessi fratelli per l’indolenza con cui si rassegnavano, negli anni ’70 alla subalternità ai bianchi – le divertenti ma crude novelle di Hap e Leonard (tra l’altro ottimamente riportate in serie TV) di Joe Lansdale: la questione “razzista”, negli Stati Uniti pulsa e sanguina ancora vigorosamente. Arrivando poi ai grandi romanzi western di Larry McMurtry e A.b. Guthrie  si comprende invece come la ricerca di una sempre nuova frontiera da scoprire, la lotta come fondamento dell’affermazione di potere e la violenza come mezzo per ottenerlo siano dati fondativi della cultura americana. Insomma, per tagliarla corta, mi vien da dire che la situazione in U.S.A. è molto complicata e le ferite ancora fresche; fatico, dunque, ad avere un’opinione netta sulla rimozione dei monumenti in quel (grande) Paese.

Ma qui in Italia, sinceramente, mi chiedo: a chi giova questa furia iconoclasta?

Penso che fare battaglie per rimuovere statue di personaggi controversi sia un errore. Ricordo – scavando nelle mie reminiscenze accademiche –  il libro dal titolo  “Gli elementi del fenomeno architettonico” di Ernesto Nathan Rogers (tra l’altro anche grande intellettuale ebreo antifascista, fuggito in Svizzera per salvarsi dal fascismo) in cui – parlando del “monumento” nella città – spiegava che “ammonire e ricordare (moneo e memini) hanno la stessa radice semantica e da essa acquista valore la parola monumento”. E, non a caso, parlava del monumento in relazione alla memoria.

Mi ha sempre colpito questo passaggio: il monumento ci fa ricordare il passato e ci ammonisce rispetto al futuro. Ci invita, dunque, a essere coscienti della nostra transitorietà, tenendo desta la consapevolezza che la Storia è il sedime su cui le città in cui viviamo sono costruite.

Chiaro: la rimozione di monumenti inneggianti alle tirannie quando queste crollano è anelito insopprimibile di libertà. Ma, in società (ancora) libere, che senso ha cancellare ogni memoria? A mio avviso nessuno.

Anzi, facendo emergere le pulsioni contrastanti rispetto ad alcuni personaggi i monumenti potrebbero aiutare la dialettica democratica a comprendere ciò che era la barbarie di certe pratiche e ciò che è (si spera) la civiltà di oggi.

E poi c’è il fatto principale legato alla rimozione dei segni della storia nella città: si cancella la memoria.  In un’epoca in cui di memoria non ve n’è più, il procedere con la costante rimozione di ciò che è contraddittorio o addirittura ributtante, pensando che tutto questo porti ineluttabilmente al bene, è una marchiana ingenuità.

Innanzitutto perché si legittima una continua lotta “simbolica”, sfocando la visuale sulle ragioni strutturali delle disuguaglianze che ancora sopravvivono: occupandosi oltremodo del simbolico si tralascia il “reale”. Poi perché la tabula rasa rispetto a una passato che ci ammonisce è pericolosa: rischia di chiudere, in fondo, spazi alla democrazia. In un Paese come il nostro in cui – come mi ricordava un amico – “il senso comune si confonde col buonsenso”, ci vorrà poco per vedere masse di persone – di senso comune e mosse da buonsenso – indignarsi di fronte alla violenza iconoclasta e reclamare – con forze reazionarie – “ordine e disciplina” .

A quel punto, di statue, se ne erigeranno di nuove. E temo che a noi, che in fondo siamo democratici e liberali in diverse sfumature, quelle statue non piacerebbero.

P.S. – ho visto la fotografia della statua di Montanelli con della vernice rossa. In fondo penso che più che rimuoverla, proprio alla luce di quanto ho detto qui, avrebbe senso lasciare un po’ di quella vernice sulla statua. A monito rispetto all’onta di cui si macchiò Montanelli in gioventù e a ricordo rispetto al furore iconoclasta di questi giorni.

@Alemagion

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TAG:
CAT: Architettura e urbanistica, discriminazioni

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