Rituali e rimozioni architettoniche rafforzano o cancellano la memoria?

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28 Giugno 2021

“Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra mezzo e fine vi è esattamente lo stesso inviolabile nesso che c’è tra seme e albero”

Sulla polemica riguardante i calciatori della Nazionale, sul gesto di inginocchiarsi per solidarizzare con il movimento antirazzista Black Lives Matter, interviene Saviano secondo cui “Si inginocchia chi vuole rendere rispetto a chi è vittima, segnare simbolicamente il proprio impegno perché le cose cambino”. Con quel gesto così simbolico, ricorda Saviano, ci si ispira a ciò che fece Martin Luther King a Selma quando furono arrestati centinaia di attivisti perché chiedevano il diritto di voto per gli afroamericani. Saviano spiega, poi, il significato del gesto: “La nostra è una lotta solidale. Noi ci inginocchiamo per mostrare che è una lotta d’amore verso l’altro e che quindi è risolvibile anche la crudeltà altrui, inginocchiandosi e provando un nuovo cammino. Si rifà ad un passo del Vangelo, quando Cristo si inginocchia per pulire e lavare i piedi degli apostoli”.
Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà delle idee e dello spirito attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e di simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio.
Se un atto simbolico serve a solidalizzare con una causa, non è vero, però, il contrario: la distruzione di un simbolo, come ad esempio una statua, non determina la scomparsa di un evento, un periodo storico, né serve a approfondirlo e criticarlo.

Il 2020 è l’anno in cui una parte d’America condanna e cancella Theodore Roosvelt e Woodrow Wilson, iniziando dalle loro statue. Il primo non darà più il benvenuto ai visitatori del Museo di Storia Naturale a New York.
Teddy Roosvelt, cugino di terzo grado di Franklin D. Roosvelt, fu uno dei pionieri dell’ambientalismo e dei parchi naturali, fu l’interprete della cosidetta “Era progressiva”, guidò un’offensiva contro i monopoli capitalistici usando la legislazione antitrust, vinse anche un Nobel per la pace.
La sua rimozione dalla scalinata d’ingresso è stata decisa dal sindaco democratico Bill De Blasio, d’intesa con la direzione del museo. Ciò che ha condannato quella statua è la scena che raffigura: il ventunesimo presidente degli Stati Uniti è a cavallo; a piedi, ai suoi lati, ci sono un indiano d’America e un nero, a simboleggiare la sottomissione delle due etnie. Già molto tempo prima il Museo di Storia naturale aveva aggiunto al piedistallo una placca con un commento critico sull’ideologia razzista del primo Novecento, per spiegare ai visitatori il contesto storico in cui nacque la statua.
La statua, commissionata nel 1925 e inaugurata nel 1940, resa celebre da “Una notte al museo” con Ben Stiller, offenderebbe perché descrive neri e indigeni come popoli soggiogati.
Non è bastato ad evitare la rimozione della sua statua, il fatto che Woodroom Wilson si fece artefice del liberalismo umanitario, che appoggiò il diritto all’autodeterminazione dei popoli dopo la prima guerra mondiale, in aperto contrasto contro gli imperialismi inglese e francese. Wilson, uomo del Sud, si macchiò di indulgenza verso il razzismo e il segregazionismo.
La campagna di rimozione delle statue ha minacciato persino colui che vinse la guerra civile e spianò la strada all’abolizione della schiavitù: Abram Lincoln. Il Freedmen’s Memorial di Washngton rappresenta Lincoln eretto, mentre un ex schiavo nero è ancora in ginocchio davanti a lui, nell’atto di liberarsi dalle catene.
Nella guerra delle statue c’è qualcosa che ricorda altri movimenti iconoclastici: dalle Guardie Rosse maoiste che negli anni Sessanta distruggevano templi buddisti e biblioteche confuciane, ai talebani afgani che fecero esplodere antiche statue di Buddha. Il rito della cancellazione fu praticato da Stalin e Mao quando nelle fotografie ufficiali scomparivano alti dignitari comunisti caduti in disgrazia.
Il confine culturale tra razzismo esplicito, negazionismo, revisionismo storico e relativismo culturale, in realtà, non è netto.
La condanna a 22 anni e mezzo di carcere di Derek Chauvin, l’agente che ha ucciso George Floyd, fa riflettere sul razzismo sistemico collegato da sempre alle diseguaglianze razziali. Nonostante la diversità, le forti distinzioni gerarchiche presenti negli USA richiamano il sistema di caste indiano.
Martin Luther King si reca in India nel 1959, reduce dall’aver guidato una delle prime grandi manifestazioni non violente di disobbedienza civile: il boicottaggio degli autobus pubblici di Montogomery, in Alabama, dopo l’arresto di Rosa Parks, che aveva rifiutato di concedere il suo posto ad un bianco. Il pastore afroamericano, col suo viaggio-pellegrinaggio, vuole scoprire il paese di Gandhi, il profeta disarmato che ha ispirato i suoi metodi di lotta. Durante la sua visita ad un liceo frequentato dai figli degli intoccabili, viene presentato dal preside come un intoccabile venuto dagli Stati Uniti d’America.
In effetti ambedue le nazioni adottarono metodi simili per mantenere rigide linee di demarcazione tenendo separate le caste, hanno esiliato i popoli nativi – gli Adivasi in India, i Native Americans negli Stati Uniti – in territori remoti ai margini invisibili della società, hanno applicato un amalgama di leggi per relegare in basso i gruppi inferiori, il terrore e la violenza per tenerli in quella posizione.
Anche le prescrizioni della religione induista ricordano quelle suprematismo bianco americano. Come nel fondamentalismo indù per i divieti di mescolanza genetica, così nel Sud degli Stati Uniti un nero che avesse osato toccare una donna bianca poteva rischiare la vita.
Somiglianze si riscontrano anche nella sacralità dell’acqua: i dalit non dovevano contaminare la fontana dove si abbeveravano i bramini e altre caste superiori; nel Sud dell’America viene applicato in modo rigoroso la segregazione di piscine e fontanelle d’acqua.
Proprio come l’India, insomma, la società degli Stati Uniti ha visto il prevalere di un sistema di caste, gerarchie rigide, che hanno giustificato oppressione, sfruttamento, ingiustizie.

L’importanza dell’esternazione dei gesti, della ritualità comunicativa dei simboli dipende, allora, dal fatto di non essere banalizzati in un puro atto estetico ma realizzi una presa di coscienza di valori condivisi. Di contro, la distruzione di tracce nel paesaggio architettonico di una gerarchia razziale da sempre esistita negli Stati Uniti, non servirà a cancellare per sempre l’offesa, purificando il panorama.

TAG: Storia
CAT: Architettura e urbanistica, discriminazioni

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