L’illusione securitaria di delegare ad altri la nostra incolumità

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14 Aprile 2015

I recenti avvenimenti di cronaca – lo schianto dell’aereo tedesco sulle alpi francesi e l’irruzione di un imputato armato nel tribunale di Milano – mettono in moto una serie di riflessioni circa gli equivoci di una presunta sicurezza garantita da sistemi apparentemente “perfetti”, pensati per efferati terroristi e messi in crisi da normali cittadini. La vicenda dell’aereo evidenzia il paradosso grazie a cui il pilota è rimasto fuori dalla cabina a causa di un dispositivo che avrebbe dovuto cautelarlo, facendo apparire grottesche tutte le soluzioni a posteriori per risolvere questo ennesimo bug di sistema. Il caso milanese, invece, rivela come a fronte della militarizzazione dello spazio fisico – edificio o piazza che sia – l’inconveniente sia dietro l’angolo, magari “travestito” da avvocato.

Ma la questione, al di là di questi due tragici eventi, è più ampia e riguarda il nostro modo di vivere  la città e di fruire gli spazi urbani in generale. L’illusione securitaria che ossessiona sindaci e prefetti sta via via rivelandosi tale perché è chiaro come la presenza pervasiva di telecamere non garantisca né la prevenzione né, ormai, la risoluzione dei crimini. Basti pensare alla madre di Ragusa o al duplice omicidio di Pordenone: nel primo la qualità delle immagini ha aiutato a costruire una tesi accusatoria difficile da sostenere fino in fondo, nel secondo si è scoperto che le telecamere poste dal comune erano soltanto scatole vuote incapaci di registrare alcunché. E la richiesta di videosorveglianza crescente svela la volontà di delegare ad altri (al mitico “grande fratello”? alla macchina di Person of Interest?) la nostra incolumità, incapaci di leggere eventuali situazioni pericolose o potenzialmente rischiose. Anche perché le categorie interpretative tradizionali, basate normalmente su stigma sociali e pregiudizi, non servono più.

La periferia non è più un focolaio di criminalità così come la bellezza dei borghi non può essere ancora considerata salvifica e produttrice di virtù (non a caso, in Italia, gli ultimi omicidi efferati hanno avuto come location posti tutt’altro che “brutti” come Perugia, Cogne…). La città è diventata ancora più complessa, indifferente alla zonizzazione funzionale e sociale che avrebbe dovuto pianificarla, e non sarà attraverso le telecamere o le ruspe spazza-rom che potremmo capirla.

Probabilmente dovremmo nuovamente appropriarci degli spazi, sforzarci di trasformarli in luoghi, fare in modo di non delegare ad altri ciò che da qualche tempo abbiamo voluto dimenticare. Ovvero che lo spazio pubblico non è una dicitura ma una volontà.

E ricordarci quando, da bambini, lo steward ci portava a visitare la cabina di pilotaggio dove il capitano indicava pulsanti e leve. Senza guardarci come potenziali terroristi.

TAG: insicurezza, periferia, spazi urbani, urbanistica
CAT: Architettura e urbanistica, Terrorismo

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