Can You Hear The Drums, Fernando?
Botero se n’è andato. E ci ha lasciato in eredità le sue opere ma non solo. Ci ha lasciato una specie di allegria perenne che ci pervade quando siamo di fronte ai suoi lavori. Perché davanti alla Monna Lisa ingrassata non si può non sorridere. L’opulenza delle forme, dilatate fin quasi ai limiti del quadro, occupa quasi tutto lo spazio disponibile. Perfino il suo sorriso, l’elemento più discusso ed enigmatico del capolavoro di Leonardo da Vinci, si perde nel faccione della Giocondona, felice di mostrare a tutti la sua abbondanza seppur composta come nell’originale.
Ma Botero non era interessato al grasso di per sé, la sua era una pura ricerca sulla dilatazione dei volumi, come ebbe spesso a dire. Sbaglia chi lo pensa ossessionato dall’obesità, quelli siamo noi. Noi oggi diamo all’obesità una valenza negativa perché si è scoperto che causa gravi problemi al corpo ma dal punto di vista estetico, e nell’arte l’estetica è assai importante, agiscono altri meccanismi. C’è chi apprezza le forme generose, sia maschili che femminili, nonostante il diktat degli stilisti che pensano a un mondo fatto di creature filiformi che non esiste. Botero, coi suoi esperimenti di espansione dei confini del corpo nei suoi soggetti, dà un senso estetico al tutto e lo rende gradevole o, quanto meno, non disdicevole, non condannabile, non stigmatizzabile. Riempie, colma dei vuoti.
Anche la rivisitazione speculare del Dittico di Piero della Francesca, coi duchi di Urbino dilatati che riempiono il quadro quasi totalmente porta a uno sguardo benevolo sull’opera, che, comunque, resta sempre compostamente rinascimentale. Un Rinascimento debordante. Manca, ovviamente, quell’aura di malinconia che caratterizza il dittico originale, coi due sposi uno di fronte all’altro (ma la duchessa era già morta l’anno prima del dipinto e il marito volle farle quasi un omaggio, facendola ritrarre come se fosse ancora in vita e rendendola immortale nell’opera di Piero), e manca anche quel rapporto tra vicino e lontano che invece c’è in Piero, col paesaggio sullo sfondo pieno di dettagli. In Botero tutto lo spazio è riempito dai duchi espansi.
Le immagini circensi, dove tutti, dal giocoliere al pagliaccio, dal domatore all’equilibrista sul cavallo, cavallo compreso, sono allargati, con tinte accesissime, testimoniano come questa visione barocca di Fernando Botero, ricca, esuberante, diventi, alla fine, postmoderna ante litteram, coniugando canoni diversi provenienti da ovunque, sia nel tempo che nello spazio, e fondendoli insieme nella felicità di stare al mondo, un mondo di colori e di volumi dove viene esaltata la pienezza della vita. Le sue creature non sembrano soffrire, anche se non esprimono mai contentezza o tristezza, le espressioni sono cristallizzate nella dilatazione, come se, in fondo, spettasse allo spettatore assegnargliele, l’autore resta neutrale davanti alle emozioni.
Perfino La Passione di Cristo, dove spuntano comprimari vestiti in moderno, quasi che fosse una sacra rappresentazione come si fanno nei paesi del Mediterraneo cristiano e, probabilmente, anche nell’America Latina, è popolata di creature abbondanti, quasi che avessero sbagliato la taglia del costume o che i partecipanti, per quell’anno, fossero stati tutti fuori misura. La vividezza del colore rende il tutto più accettabile, come se dopo la Passione ci fosse la bicchierata degli attori.
L’ingombrante ballerina classica che, spalle allo specchio, si azzarda a sfidare la gravità sulla punta della scarpetta rossa ci comunica che nulla è impossibile.
Il ritratto della famiglia tutta femminile, dove le varie età sono comprese, viene arricchito dalla famiglia di gatti, opulenti anche loro, persino nei quadri appesi alle pareti sullo sfondo i personaggi sfoggiano forme generose.
Quando poi dalle due dimensioni si passa alle tre diventa più chiara la visione dell’autore riguardo all’espansione dello spazio. Le sue sculture lo colmano, letteralmente, e gli occhi di chi guarda fanno sentire le persone in un mondo più normale, perché, anche se le intenzioni dell’autore sono diverse, la società di oggi vive l’obesità come un complesso, come un qualcosa da eliminare assolutamente.
L’elisir d’amore, deliziosa opera di Donizetti, fu presentata di recente A Verona e a Palermo secondo la visione di Botero, come un circo, coloratissimo come i suoi quadri, e sarebbe stato bello vederne altre. Certo, le opere buffe si prestano di più. Pier Francesco Maestrini e Joshua Held si sono cimentati in un divertente Barbiere di Siviglia in stile Botero, con costumi esagerati che rendevano i personaggi ancora più grotteschi, anche perché parliamo di una comicità rossiniana di due secoli fa e se rendi l’opera un cartone animato tridimensionale sopra le righe e dal vivo hai già vinto la partita.
Ci mancherà, Botero, anche perché questa sua maniera parodistica di rappresentare il mondo e, soprattutto, il suo passato toglieva l’eccessiva seriosità dei ritratti di re e regine, di ammiragli impettiti nelle loro uniformi, che nei suoi quadri scoppiavano da tutte le parti, come se non riuscissero a contenere quei corpi.
Anche Rubens, altro pittore di forme assai opulente, con donne debordanti senza paura, in tempi lontani dal nostro, siamo certi che avrebbe dato la sua approvazione.
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