Cronaca
A letto con il nemico
Una giovane donna è sposata ad un uomo violento che alterna momenti di attenzioni a momenti di crudeltà. Era “A letto con il nemico”, film tratto dall’omonimo romanzo, in cui Julia Roberts interpreta la parte della moglie maltrattata, con il lodevole intento di accendere i riflettori sul tema delle violenze domestiche perpetrate ai danni delle donne. Sono pochi i casi di chi, per rifarsi una vita riesce a fuggire lontano, la maggior parte delle volte questo non avviene perché, sfortunatamente, se una donna cerca di allontanarsi da una relazione tossica, sono i numeri a parlare del fenomeno che non è un solo caso mediatico, quando avviene un caso ogni tre giorni non è una donna che sparisce, neppure “il solito femminicidio” che occupa le pagine dei giornali, è un crimine che nella maggior parte dei casi è perpetuato all’interno di legami creduti familiari. Donne uccise dalla mano aguzzina di fidanzati, compagni, mariti e padri, forse a seguito del rifiuto di un matrimonio imposto o di scelte di vita non condivise. A mezzo stampa si legge una distribuzione geografica dei crimini abbastanza omogenea lungo il Paese sebbene si possano notare alcuni “addensamenti” nell’hinterland milanese e nel napoletano. Che sia con un coltello da cucina, a mani nude, con un corpo contundente, arse vive o avvelenate, i casi di femminicidio non conoscono discriminazione degli strumenti di tortura, perché non si tratta di un giallo da leggere indossando i panni del detective, purtroppo del crimine da analizzare non è un furto inspiegabile o un apparente suicidio, è la morte di una delle tante donne, intenzionalmente voluta, avvenuta tra le mura di casa, a cui non si può associare il termine di raptus, è la fase parossistica dopo una serie di abusi nascosti nel tempo, prima di essere assassinate. Era il 12 settembre 1993, quando a soli 16 anni, il caso di Elisa Claps, in Basilicata, dilagava nella nazione come una delle storie di cronaca più tormentate, catalogate poi come uno dei primi femminicidi ad opera di Danilo Restivo: prima di consegnare l’assassino nelle mani della giustizia, tempo è trascorso assieme a lungaggini burocratiche.
La scena del crimine, abilmente ricostruita da Pablo Trincia nella docuserie “Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps” trasmesso in Tv, ha riportato alla mente immagini raccapriccianti, il corpo di Elisa giaceva esanime nella chiesa potentina ad oggi menzionata per il macabro ricordo e i drammi di una famiglia e della collettività cittadina di Potenza, in Basilicata. Scene angoscianti del delitto della sedicenne, le tappe di una vita squarciata da tredici pugnalate e recisa nei capelli. I resti del corpo, rinvenuto in abiti squarciati, non lasciavano spazio alla fantasia, mettendo in evidenza il modo agghiacciante in cui la mano dell’assassino aveva agito. Un assassino definito in vario modo: “strano”, un “povero fessacchiotto”, ritardato, goffo, insicuro, freddo, depravato e calcolatore, manipolato dalla sua stessa famiglia e sopraffatto da una figura paterna autoritaria. L’atroce caso di Giulia Cecchettin, di soli 22 anni, continua a far parlare dall’11 novembre 2023, per la stessa ferocia degli atti compiuti dall’ex fidanzato Filippo Turetta, suo coetaneo. Il ragazzo, quasi emulando le modalità di aggressione di Danilo Restivo, ha dapprima colpito la vittima con calci e pugni, ne ha reciso ciocche di capelli rinvenute dagli investigatori del caso, accoltellando poi Giulia con venti colpi e abbandonato il corpo nel Lago di Barcis, nel Pordenonese. Filippo, descritto come un molestatore assillante, un ragazzo introverso, geloso, possessivo, solo, depresso, apparentemente perbene, non vedeva un futuro senza Giulia, anche a causa degli studi mai conclusi, mentre la ragazza era in procinto di concludere il suo percorso universitario. Non ultimo il femminicidio di Pamela Genini: la ragazza di soli 29 anni, che attirava gli sguardi di tutti, uccisa a Milano il 14 ottobre scorso con trenta coltellate dal suo ex compagno, l’uomo che mostrava attenzioni per lei, rivelatosi poi un mostro. Purtroppo questo caso, reca con sé oltre alla brutalità del crimine, l’aspetto forse più eclatante rispetto ai precedenti: tanti sapevano dei pestaggi subiti dalla ragazza che, seppur con il trucco, non riusciva a nascondere i segni sul viso… ma nessuno ha denunciato.
Il possesso, la gelosia, i disturbi della personalità – non sempre manifesti – la mancanza di controllo degli impulsi, sono gli stati emozionali che sommati scaturiscono nel modus operandi e nelle sevizie brutali che mettono fine alla vita delle donne che hanno un’unica colpa, quella di aver offerto al proprio compagno di vita una mano amica anche nei momenti in cui è emerso il comportamento psicotico. I carnefici sono persone con personalità complesse, razionali ma squilibrati, troppo lucidi per essere definiti malati di mente, al punto da risultare perbene agli occhi della gente che non immagina quali turbe possano celarsi dietro un uomo apparentemente gentile e amorevole ma che in realtà è un maniaco seriale affetto da feticismo, un delinquente che concentra le sue perversioni sessuali riducendo il corpo in brandelli, che recide ciocche di capelli per conservare segretamente e in eterno il ricordo della propria vittima. Sempre più spesso ascoltiamo il dualismo dei termini maschilismo e femminismo. Il maschilismo, nato nella notte dei tempi, è un’espressione del sistema patriarcale, su cui si basava la nostra società, quella strutturata intorno alla leadership maschile che attribuiva all’uomo l’idea del più forte per natura, adatto al comando, alla gestione della cosa pubblica, mentre alla donna attribuiva, per natura e delicatezza di fattezze, competenze legate alla famiglia e alla vita domestica. Concezione ormai da sfatare, perché da tempo le donne hanno rilevanza politica in diversi stati del mondo: la donna ha una pluralità di ruoli che non riguardano meramente l’ambito domestico, come tradizione vuole, la donna esprime nel migliore dei modi tutte le sue sfaccettature, espressioni culturali e posizioni lavorative. Le ideologie possono però influenzare il pensiero e il modo di agire se intrise di intolleranza, odio e disprezzo altrui, al punto tale da alimentare conflitti e comportamenti che inevitabilmente tenderanno a degenerare. Se il femminismo che sta prendendo piede come movimento di civiltà in difesa delle donne assumerà involontariamente gli stessi atteggiamenti del maschilismo non si farà altro che generare un’ulteriore guerra, quella dei sessi, degli insulti e della violenza.
La società presenta tuttavia ancora margini di disuguaglianze di potere tra uomini e donne: se rimane ancora l’idea della mascolinità dominante che contribuisce alla violenza di genere, se le norme culturali continueranno a stabilire ancora una subordinazione della donna ammettendo che la violenza si può tollerare per paura di denunciare gli abusi anche in ambito familiare, allora la domanda è “É per colpa di un uomo insano di mente o anche i fattori sociali contribuiscono a fomentare l’uccisione di giovani vittime?” La diffusione da parte dei media di contenuti violenti e subliminali può istigare comportamenti inappropriati e anche la famiglia è chiamata sotto accusa… le dinamiche familiari variano in modo incontrollato: l’uso smodato della tecnologia, stress, pressioni lavorative, separazioni, divorzi azzerano il tempo da dedicare all’attenzione e al dialogo con i figli, motivo che contribuisce ad accentuare atteggiamenti lesivi spesso sconosciuti ai genitori. Sono le stesse famiglie riluttanti ad accettare che uno dei loro membri possa avere un problema comportamentale e che possa arrecare un giudizio sociale sul proprio ruolo genitoriale, essere giudicati dalla comunità o far scoprire dinamiche familiari fragili e complesse, abilmente taciute agli occhi della gente. Casi di femminicidio accadranno ancora e il ricordo di Elisa, Giulia, Pamela farà tornare alla mente la loro tragica scomparsa, ancora donne entreranno a far parte dell’elenco dei nomi delle stragi che hanno richiamato grande attenzione mediatica…auspichiamo che la società possa intervenire con sforzi coordinati e determinazione se non si vuole che i singoli “nomi” rimangano fatti di sensazionalismo momentaneo diventando fonte di stanchezza dell’informazione perché, se non compresa o non prontamente denunciata, la violenza attecchisce già nel silenzio delle mura domestiche. Solo con la giusta attenzione possiamo disperdere il buio perché ignorare gesti o parole apparentemente prive di senso può condurre a perdere voci preziose.




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