Cronaca

Il caso di Emanuela Orlandi è solo un fenomeno mediatico. E il colpevole ringrazia

Il caso Orlandi solo un fenomeno mediatico, illusorio e stucchevole

16 Novembre 2025

La scomparsa di Emanuela Orlandi non ha nulla di misterioso come vogliono fare credere gli organi di informazione. Non c’è nulla di inquietante in questa saga che spinge i media a dare notizia prima che queste siano verificate, come sta succedendo con la Casa del Jazz, l’ennesimo covo sospettato di ospitare le spoglie mortali di Emanuela Orlandi. Scavi che seguono quelli avvenuti finora in giro per Roma.

Ormai, dovrebbe essere chiaro a tutti che il giallo della “ragazza con la fascetta” è diventato solo un “fenomeno mediatico” in cui si rincorrono voci di corridoio. Un teatro pieno di rivelazioni che di clamoroso non hanno nulla, perché nulla è verificato e quando è verificato porta tutti al punto di partenza, come un gioco dell’oca in cui le pedine sono costrette a ripartire sempre da zero. Sicché si ha ormai la certezza che, più che cercare la verità sulla sparizione della giovane studentessa di musica, si voglia solo mandare avanti un romanzo con puntate una più noiosa dell’altra.

E da quel remoto 1983, da quando Emanuela Orlandi ebbe la sfortuna di finire nelle mani della persona sbagliata, di cui non si è mai saputa l’identità, che i media si sono avventati su un mistero che non trova soluzione, con al centro il Vaticano, il “male assoluto”, chiamando in causa papi, cardinali, vescovi, arcivescovi, monsignori, preti, sacerdoti, tutti sospettati di pratiche pruriginose, di riti satanici, di messe nere, di festini hard con al centro minorenni che andavano e venivano dalle sacre stanze del Cupolone, nella più totale distrazione degli agenti del Kgb che non aspettavano altro per sputtanare la Santa Sede agli occhi dell’opinione pubblica mondiale.

Pur di attirare lettori e telespettatori e far cassa con le vendite, i media hanno tramutato un caso di cronaca in un affare di Stato. Un intrigo dalle mille sfaccettature. Un giallo destinato a rimanere tale se tutto il clamore che si è sollevato intorno al dramma di questa ragazza di quindici anni, figlia di un dipendente della Santa Sede, non fosse frutto di una perversa spirale mediatica che non accenna ad attenuarsi solo perché il mistero Orlandi è un piatto troppo ghiotto per essere mollato, con un pubblico troppo ammalato di misteri per essere abbandonato.

Eppure, i primi magistrati che si occuparono del caso Orlandi avevano preso in esame lo scenario purtroppo più realistico quando sparisce un’adolescente: uno stupro, con tanto di delitto e occultamento di cadavere, con fondate possibilità che la vittima conoscesse il suo carnefice. La prima fu Margherita Gerunda che si disse convinta che Emanuela fu violentata e uccisa dopo essere stata attirata in un agguato. Sulla stessa linea di pensiero fu anche il magistrato Domenico Sica, secondo cui dietro la scomparsa di Emanuela si nascondeva una storia con “un adulto molto vicino alla ragazza”. Perfino Gennaro Egidio, avvocato storico della famiglia Orlandi, ne era convinto: “I motivi della scomparsa della ragazza sono molto più banali di quanto si è fatto credere finora. Emanuela rapita per essere scambiata con Ali Agca? Ma no. Ripeto. La verità è molto più banale, ma non per questo meno amara”. 

Non furono creduti, anzi furono ignorati dai media che hanno preferito mescolare nel torbido, avventurandosi in teoremi che hanno fatto la fortuna di quelli che il magistrato Giovanni Malerba definì una “una pletora di mitomani, visionari, radioestesisti, sensitivi, medium, veggenti, truffatori, sciacalli, detenuti e latitanti” già nella requisitoria del 1997. Dal giorno in cui Emanuela Orlandi fece perdere le sue tracce sul Corso Rinascimento, dopo essere uscita da una scuola di musica, stampa e televisione hanno fatto a gara a chi le sparava più grosse, creando un pentolone dentro cui ficcarci di tutto: Ali Agca, i lupi grigi, la Stasi, la pista bulgara, la pista turca, la pista inglese, la banda della Magliana, Enrico De Pedis, l’immancabile Paul Marcinkus, lo Ior, il Banco Ambrosiano, i prelati porconi. Mancano solo le scie chimiche e gli alieni e il campionario delle cospirazioni planetarie può dirsi completo.

I giornalisti che si sono occupati del caso Orlandi sono stati una legione, esibendosi tutti in scoop uno più inconcludente dell’altro. Anni di indagini per rimanere tutti fermi sul Corso Rinascimento, al 22 giugno 1983, senza che nessuno di loro facesse mezzo passo in avanti verso la soluzione del caso. Ciò che accomuna questi personaggi è l’aver alimentato la messinscena, l’aver intinto la lingua nell’olio nero dei racconti apodittici e a volte esoterici. Le loro inchieste a volte nascondevano la sincerità di sapere, altre volte celavano mere speculazioni. La trasmissione Chi l’ha visto? ha costruito le sue fortune sul giallo della “ragazza con la fascetta”, dando spazio a mitomani che hanno fatto ritrovare flauti fasulli e omettendo di dire che la telefonata che aprì la pista malavitosa partì dentro la Rai e non all’esterno.

Lo stesso Pietro Orlandi sembra ormai interessato più a calcare le passerelle mediatiche che a conoscere la verità su sua sorella, cambiando piste con rivelazioni che sembrano sempre sul punto di realizzarsi, ma che finiscono puntualmente per rivelarsi dei falsi d’autore. E la giostra ricomincia a girare più vorticosa di prima. Pietro Orlandi, nel tentativo di mantenere viva l’attenzione su questo mistero, ha cercato di orientare le indagini della Commissione Parlamentare, suggerendo di focalizzarsi solo su piste e sui personaggi che lui gradisce, lasciando da parte altre potenziali linee di indagine. Questo modus operandi porta a una percezione sempre più radicata che le sue aspirazioni siano ormai dirette più verso la notorietà personale che verso una genuina ricerca delle circostanze della scomparsa della sorella.

La narrazione sul caso continua a fluire, alimentata da notizie incerte o palesemente false, pubblicate solo per assicurarsi un pubblico interessato ai miti e alle leggende metropolitane, con al centro il Vaticano, diventato il capro espiatorio sui far ricadere la sparizione di Emanuela Orlandi. Un caso di cronaca nera che i media hanno ingigantito all’inverosimile, tra inchieste velleitarie e programmi suggestivi. Un teatro schizzinoso che ha finito non solo per  divulgare una narrazione mendace del caso Orlandi, ma ha anche protetto-seppur indirettamente-il vero colpevole della morte della ragazza che, nascosto nell’ombra, è rimasto libero e impunito fino a oggi.

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