Cronaca

La nuova goliardia che ferisce: quando ridere delle proprie mogli diventa violenza invisibile

1 Settembre 2025

Nei luoghi di lavoro, durante le pause caffè o nei momenti conviviali, capita spesso di ascoltare un certo tipo di battute. Non sono le classiche ironie sul tempo, sul capo o sul traffico: sono battute sulle mogli, sulle compagne, sulle partner. Frasi che iniziano con un “Ah, mia moglie non capisce mai…”, “Se sapessi che incubo a casa…”, “Le donne? Sempre a lamentarsi…”.
Sono parole apparentemente innocue, pronunciate con il sorriso di chi vuole “sdrammatizzare”. Ma dietro quel velo di goliardia si nasconde un fenomeno più subdolo e pericoloso: la normalizzazione di una cultura che svaluta le donne e mette in discussione la dignità delle relazioni di coppia.

In certi contesti, non prendere parte a questo coro di scherni equivale a sentirsi esclusi, derisi a propria volta. Difendere la propria moglie, mostrarsi rispettosi, viene percepito come un segno di debolezza, come se la virilità passasse attraverso il disprezzo della donna con cui si condivide la vita.
Il paradosso è evidente: l’uomo che ama e protegge viene etichettato come “meno uomo” rispetto a chi svende la propria compagna per una risata superficiale. Questo meccanismo è l’esempio lampante di come la pressione sociale agisca anche sui maschi: li spinge a perpetuare atteggiamenti degradanti pur di essere accettati nel gruppo.

Molti potrebbero obiettare che “sono solo battute”. Ma le parole hanno un peso, sempre. Ridere di chi amiamo davanti ad altri, trasformare la partner in oggetto di scherno, significa partecipare a una forma di violenza psicologica normalizzata.
La violenza non è soltanto fisica o verbale diretta: è anche svalutazione costante, è ridicolizzare, è trasmettere l’idea che l’altro conti meno. Se nella sfera privata queste dinamiche sono dolorose, nel contesto pubblico assumono una forza ancora maggiore: l’umiliazione diventa spettacolo collettivo.

Ogni relazione si fonda su rispetto reciproco, fiducia e riconoscimento del valore dell’altro. Quando uno dei due partner viene sistematicamente sminuito – anche indirettamente, tramite “battute innocenti” – la relazione subisce un logoramento silenzioso.
La moglie o compagna che percepisce questo atteggiamento potrebbe sentirsi tradita, non tanto per la battuta in sé, quanto per il gesto simbolico: l’uomo che, davanti agli altri, decide di allearsi con il branco e non con lei. Il messaggio è chiaro: per integrarsi socialmente, lui è disposto a sacrificare la sua dignità.

Andare controcorrente, interrompere questi meccanismi, non è facile. Chi difende la propria partner viene spesso accusato di essere “succube”, di “non avere polso”. In realtà, la vera forza sta proprio nel non piegarsi a questo modello di virilità distorta.
Rispettare la propria compagna non è segno di debolezza, ma di maturità e consapevolezza. È saper costruire un rapporto autentico, basato su valori che non hanno bisogno di essere messi in discussione per compiacere gli altri.

Cambiare questa cultura significa partire dalle parole. Ogni volta che un uomo rifiuta di ridere di sua moglie, ogni volta che qualcuno fa notare l’assurdità di certe battute, si compie un piccolo atto di resistenza.
Il linguaggio non è neutro: plasma i pensieri, modella i comportamenti, crea realtà. Se normalizziamo lo scherno verso le donne, favoriamo una società che tollera, giustifica e banalizza la violenza di genere. Al contrario, se iniziamo a dare valore al rispetto, possiamo trasformare radicalmente le dinamiche sociali.

Ogni gesto, ogni parola, ha un impatto anche sulle nuove generazioni. I figli che osservano padri deridere le madri interiorizzano il modello del disprezzo come parte naturale della mascolinità. Viceversa, quando vedono un padre che rispetta e difende la propria compagna, imparano che amare significa custodire, non ridicolizzare.
Non è un dettaglio: è la base su cui si costruiscono le relazioni future, la percezione di sé e dell’altro, il senso stesso di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Smettere di ridere delle proprie compagne non è un invito a spegnere l’ironia o a censurare l’umorismo. È piuttosto un invito a scegliere con consapevolezza di che cosa ridiamo e a spostare il bersaglio delle nostre battute.
Prendersela con chi amiamo non è umorismo, è complicità con una forma di violenza culturale. La vera sfida è dimostrare che si può essere uomini, amici, colleghi e compagni di risata senza sacrificare il rispetto per le donne.
E forse, un giorno, non sarà più necessario giustificarsi per aver difeso la propria moglie: sarà semplicemente la normalità.

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